Nella notte tra lunedì e martedì sono comparsi a Napoli manifesti funebri che annunciano la fine dell’esperienza artistica di cyop&kaf, che dal 1994 ha dipinto la nostra città e altre in giro per il mondo, ha scritto articoli, diretto film, collaborato con scrittori, teatranti, musicisti, poeti, militanti politici. Nel dare notizia del suo scioglimento, il collettivo ha menzionato “la sopraggiunta mutazione dei contesti nei quali operava, delle persone con le quali interagiva e, non ultima, la sua propria trasformazione”, aprendo il futuro a strade nuove e diverse.
Già altre volte in questi anni (per esempio qui e qui) cyop&kaf aveva provato a motivare la sua insofferenza nel rapportarsi, utilizzando gli strumenti che ha maneggiato per trent’anni, a un mondo sempre più preda del servilismo e della stupidità. La prima volta, a memoria, risale a una dozzina d’anni fa:
Non fai in tempo a costruire un nuovo alfabeto che arriva la pubblicità a ingoiartelo. […] Probabilmente questa nuova droga del “ti guardo guardarmi guardare” è figlia di quel passaggio rivoluzionario che dalla diga dell’analogico ci ha scaraventati nel mare aperto del digitale. S’incassano colpi che non si riconoscono come tali e per il momento si è rinunciato a governare la nave (ma non all’inchino sottocosta del due punto zero). […] Ora mi pare che l’incendio sia unico e immenso e mi odio, perché l’ho attizzato anch’io, fosse anche solo mancando di quell’intransigenza che tempi come questo richiedevano. (cyop&kaf, se il martello è l’incudine – settembre 2012)
Insieme alle figure antropomorfe e ai personaggi che hanno popolato i muri, le saracinesche, le saittelle della città, rimangono nell’immaginario di chi ha osservato questo percorso alcuni momenti significativi (cult fu la mostra Diniego installata in strada alle spalle del Madre, durante la cui inaugurazione il presidente della regione Bassolino si beccò una bella bicchierata di vino rosso sulla camicia bianca da un noto esponente della sinistra antagonista cittadina). Nel 2013, c&k ha girato un film che è fondamentale per capire la tradizione del “cippo di Sant’Antonio”, anzi la condizione dei bambini e degli adolescenti in città, anzi i Quartieri Spagnoli prima della turistificazione, anzi la poesia tribale in una società in cui la barbarie si è fatta progresso. Insomma, ognuno ci veda ciò che ritiene.
(credits in nota1)
Da qualche tempo, nei quartieri popolari, i bambini e i ragazzini napoletani hanno deciso di anticipare di qualche ora – per sfuggire alla violenta repressione poliziesca di cui ogni fiamma che arde è diventata oggetto – l’incendio degli alberi nel giorno del cippo. Invece che la sera del 17 gennaio, gli alberi cominciano ad ardere nelle prime ore del giorno, poco dopo la mezzanotte.
Piglia ‘a butteglia ‘e Ferrarelle,
va’ addò benzenaro, spienne ‘ddoje lirelle
miettece pure ‘na mappina ‘ncopp’
e statt’ accort’ ca nisciuno se l’ammocca.
E se pure i fascisti mo’ debbono parlare
sai compagno cosa dobbiamo fare?
Boccia boccia boccia bam bam:
appicciamm’ ‘e fasciste cu tutt’o Quirinal’!
(99 posse, s’adda appiccia’)
Questa storia di anticipare il fuoco per fregare la polizia a qualcuno non va proprio giù.
Questa è una delle macchine dei carabinieri che è stata colpita da una sassaiola delle baby gang criminali che stanno operando durante questa notte. Una notte di follia. Via Salvator Rosa, piazza Mercato, la Sanità, Mergellina, Quartieri Spagnoli, tutti sotto assalto, tutti coordinati tra di loro tra baby gang legate alla criminalità organizzata e figli degli spacciatori, dei camorristi e dei delinquenti che affossano la nostra terra. […] Noi dovevamo prevenire, e dovevamo impedire presentandoci lì in modo blindato, coi carri armati se necessario! Non esiste che le forze dell’ordine debbano arretrare di fronte a questi criminali. […] La guerriglia a Napoli è una vergogna, noi non siamo in guerra, eppure di fatto le baby gang criminali lo stanno facendo assolutamente. […] Hanno preso i sanpietrini, come se fossimo in guerra, hanno tirato bombe carta. […] Ci sono tre quattromila ragazzini solo nella città di Napoli che sono armi pericolosissime, messi assieme, solo alla Sanità erano circa duecento, e noi abbiamo dovuto arretrare.
Voce fuori campo: Sta anche Brumotti qua!
Ma è mai pensabile che nel 2025 noi come città, come istituzioni, come civiltà veniamo messi sotto scacco da una banda di Unni legati alla criminalità? (francesco emilio borrelli, video pubblicato da napolitoday)
(credits in nota2)
Oltre al fuoco di Sant’Antonio, con la parola “cippo” a Napoli si fa comunemente riferimento a qualcosa di molto antico. Questo perché nel cuore di Forcella c’è un gruppo di pietre (appunto chiamato “cippo”) che risalgono al secondo o terzo secolo avanti Cristo, e che probabilmente facevano parte di una porta difensiva della città, la Porta Herculanensis, poi nominata Porta Furcibllensis o Porta Furcilla, dalla forma a Y del bivio stradale che conduceva alla stessa. Con i lavori per il Risanamento e lo sventramento della parte bassa di Forcella, nacque in quella zona una piazza, che fu detta inizialmente piazza delle Mura greche, proprio a causa delle scoperte archeologiche fatte. Successivamente fu ribattezzata piazza Vincenzo Calenda, come ancora oggi si chiama l’area antistante il teatro Trianon, dedicato alla memoria di Raffaele Viviani, e a partire dalla quale le guardie hanno dato la caccia ai ragazzini e ai loro alberi anche quest’anno, nella notte tra giovedì e venerdì.
‘E gguardie? Sempe a sfotterle, pe’ ffa’ secutatune;
ma ‘e vvote ce afferravano cu schiaffe e scuzzettune.
E ‘a casa ce purtavano: “Tu, pate, ll’hê ‘a ‘mpara’!”,
ma manco ‘e figlie lloro sapevano educa’.
A dudece anne, a tridece, tanta piezz’ ‘e stucchiune
ca niente maje capévamo pecché sempe guagliune!
(raffaele viviani, guaglione)
Fu lo stesso Sant’Antonio d’altronde – va ricordato per chiudere – a rendersi protagonista di un inganno e di un vero furto di fuoco (come i ragazzini gli alberi nei secoli a venire), senza che nessun poliziotto o Borrelli si mettesse tra le scatole. Leggenda vuole infatti che il santo, desideroso di donare un fuoco scaccia-malocchio ai suoi devoti, scese agli inferi per rubarlo al demonio. I diavoli che affollano il sottosuolo però non lo fecero entrare, rubandogli il bastone e scatenando l’ira del maialino che Sant’Antonio portava con sé, il quale cominciò a mettere sottosopra l’Inferno. Sant’Antonio pretese, per placare l’ira del suo animale, la restituzione del bastone, e una volta ottenuto si allontanò col porco al fianco.
Non sapevano, i diavoli, che quel legno era ferula dal midollo spugnoso, capace di trattenere viva la scintilla al suo interno senza che nessuno potesse vederlo. Così, una volta fuori, il santo poté liberare la fiamma e donare il fuoco purificatore agli uomini, cantando in segno di benedizione: “Fuoco, fuoco per ogni loco! E per mondo, fuoco giocondo!”. Da quel momento, diventò il nemico numero uno del demonio.
(a cura di riccardo rosa)
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¹ I ragazzi del segreto in: Il segreto, cyop&kaf (2013)
² Diego Abatantuono in: Attila, flagello di Dio, Pipolo e Castellano (1982)
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