«E questa a chi appartiene?». Quando in estate tornavo ad Alimena, il paese di mia nonna con quattromila anime spalmate su un fianco delle Madonie, con i cugini arrivati da altre regioni facevamo un gioco. In piazza, il luogo dello struscio, la nostra sfida era cercare negli sguardi della gente che ci incrociava quella precisa domanda (di chi fossimo figli e nipoti) e costringerli a pronunciarla davvero. Chi ci riusciva, vinceva.
A quel punto partiva l’associazione del soprannome con cui il nonno era noto in paese con tutta la rete degli zii emigrati: il cerchio si chiudeva solo dopo che i flussi di persone in entrata e in uscita erano chiariti. Così ogni anno: crescendo si cambiava, si diventava di nuovo “straniero” in paese, e quella mappatura aveva lo scopo di far sentire tutti mezzi parenti. Anche oggi ne servirebbe una. Siamo tutti sempre più nomadi, del resto. Ma sempre più gente parte, viaggia, e poi torna. La ragione? È la nostalgia del sentirsi comunità. Mezzi parenti, appunto.
Ritagliarsi un posto
Gaia Costantino, per esempio, ha lasciato la Puglia per la Silicon Valley, passando per Torino (laurea al Politecnico in Ingegneria) e Milano, per poi tornare a Torre a Mare. A casa. Esperta di marketing e digital advertising, ha fondato tre anni fa Puglia Women Lead per promuovere le competenze digitali e l’inclusione, organizzare eventi come “il bootcamp”, il campo d’addestramento, sull’intelligenza artificiale dove duecento ragazze hanno programmato assistenti virtuali.
Crescono gli expat
È così che, nella mappa di quel paesino, si è fatta spazio non solo con il cognome del nonno ma anche con tutto ciò che aveva raccolto in giro per il mondo. Gaia è una expat, una di quelli calcolati nel “Rapporto Italiani nel Mondo 2022” della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana, secondo cui tra coloro che abbandonano l’Italia quasi il 42 per cento hanno meno di 34 anni: tra il 2006 e il 2022, in particolare, la mobilità italiana è cresciuta dell’87 per cento (e del 94,8 per cento quella femminile). Expat lo sono stati anche Domenico Pastore e Gianluca Vegliante, i fondatori di Monaci digitali, uno spazio coworking aperto in un’ala della Certosa di Padula, dalle parti di Salerno: lì dentro transitano i nomadi digitali che lavorano e partecipano ai “ritiri spirituali”, ovvero conferenze dedicate all’innovazione tecnologica.
Ma anche i monaci veri passano e sbirciano. Liz Cirelli, nata a Londra da genitori pugliesi, ha fatto avanti e indietro dall’Italia per prendersi cura prima della madre e poi del padre: alla fine, quando è rimasta sola, ha scelto le radici. Ha lasciato Londra per Roseto. E ha aperto la sua grande casa trasformandola in cohousing dove tiene sessioni di meditazione e ospita chi lavora dai Monaci digitali.
La teoria dell’innesto
Benvenuti nell’epoca della “tornanza”, quella di chi viaggia per tornare con lo zaino pieno di novità alle origini, ovvero in luoghi spesso isolati, di periferia, e sempre più abbandonati. Ad intercettare tra i primi la tendenza, sono stati Antonio Prota e Flavio Albano, due pugliesi incontratisi per caso all’università di Bari dopo anni all’estero. Volevano costruire un racconto sull’innovazione, dando la parola agli italiani sparsi nel mondo, e si sono accorti che quel progetto portava ad altro, perché ad accomunare le storie di tutti quegli expat era il desiderio di tornare in Italia. Lasciando città, come New York, dove non si vedevano né anziani e neppure in un futuro a loro misura.
La “tornanza” è un fenomeno
Tornare a casa, in sostanza: un luogo, come scrive Franco Faggiani in Basta un filo di vento (Fazi), dove ci si è sentiti davvero felici perché il paesaggio consola e l’amicizia è prima di tutto accoglienza. Chi ritorna, allora, può apportare novità in certi luoghi segnati dal disagio economico e abbandonati. «È la teoria dell’innesto per cui l’emigrato di ritorno rappresenta un vantaggio per chi è rimasto» racconta Albano. Ha 38 anni e quando è tornato a Gravina ha ideato La tornanza, un movimento culturale che vuole far rivivere i borghi italiani e che si ispira nell’etimologia alla “restanza”, la teoria dell’antropologo Giovanni Teti che si riferisce a chi resta in un luogo. Tornanza è un movimento ma anche un saggio, due video-podcast con una ventina di storie, un progetto e altro.
Cervelli in fuga che tornano a casa
«Chi torna e chi è rimasto devono potersi incontrare e dialogare in un luogo e a cadenza regolare, ecco perché abbiamo creato un hub con sedi itineranti e un Festival per raccontarsi esperienze e idee, e creare comunità. Poi un Academy, un luogo che offre corsi sull’auto-imprenditorialità per diventare tornanti (partirà a marzo). Chi torna sa che non può trovare ciò che ha lasciato altrove ma può portare modernità. Chi resta invece deve trovare i soldi, ma anche la motivazione per fare le cose, e questa energia potrà arrivargli appunto dal cervello in fuga tornato a casa. Da questo incontro nasce la miccia dell’innovazione» aggiunge.
Il confronto con la realtà
È la miccia necessaria contro lo spopolamento ma anche contro lo spaesamento, ovvero lo stordimento di chi non sa cosa fare anche quando ci sono i fondi. Ovvero: da dove si parte? Se ne parlerà il 27 febbraio a Bari durante il Tornanza Forum, un evento che riunirà tornanti, restanti, arrivanti ed erranti, dove ci saranno tavole rotonde e si firmerà il Manifesto nazionale per la rigenerazione dei borghi. A marzo invece prenderà il via la Tornanza Camp, l’Erasmus delle tornanti, ovvero un percorso dedicato a sei donne imprenditrici selezionate che vivranno sessioni di formazione itinerante in quattro borghi con una tappa internazionale. «Davanti a queste storie di ritorni è giusto pensare di poter frenare il fenomeno dell’abbandono di certi luoghi. Invertire la tendenza però è impossibile, almeno per i prossimi vent’anni» precisa Franco Arminio, residente in quell’Irpinia dove ha avviato la sua crociata anti-spopolamento molti anni fa.
I “tornanti” possono lasciare un segno
«La rivoluzione completa si può fare con una politica che non vede l’Italia come un Paese dove ci sono solo pianure e città come Roma e Milano. Ovvero, si può davvero innovare in questi luoghi solo se arrivano ricette politiche tagliate su misura, perché le aree interne abbandonate liguri sono diverse da quelle calabresi. I paesi non moriranno, ma la situazione antropologica del passato è irripetibile» precisa Arminio che ha appena pubblicato Accorgersi di essere vivi con Guidalberto Bormolini (Ponte alle Grazie). Ciò che i “tornanti” fanno è necessario e bello, insomma, ma – aggiunge – servono anche treni, ospedali, scuole in questi luoghi. E non solo. «Va anche ripensato il rapporto tra i luoghi. La politica del Pnrr in questo senso è sbagliata perché non serve capire come spendere soldi ma come risolvere problemi. Servono in sostanza politiche centrate sulle persone fisiche e i tornanti andrebbero aiutati in questo senso» precisa.
«È vero, nella grande città la comunità non funziona e la gente torna in paese perché ne sente il bisogno. Ma attenzione, la comunità è anemica e svuotata, se paragonata a quella di un tempo. Siamo tutti soli, vittime del consumismo. I tornanti però un segno possono lasciarlo, vanno ascoltati» conclude. Come accade in Trifole. Le radici dimenticate di Gabriele Fabbro, un film in onda su Prime Video in cui il recupero delle tradizioni e la riscoperta del territorio si svolge tra le Langhe e Londra.
Expat, ancora una tappa
Le mete degli expat-tornanti a volte sono le montagne, altre le aree interne, altre il sud. Accade a Catania, dove Michele Smantello, Luigi Sutera e Giorgio Carlisi hanno deciso di riaprire Ménage, il ristorante più antico della città, ispirato agli anni Venti, nel centro storico.
Uno è tornato dall’Australia, l’altro da Barcellona e un altro da Saint-Tropez. «Abbiamo puntato tutto sulle nostre passioni e sulla voglia di fare qualcosa di bello nella nostra terra» raccontano. «È finita l’epoca in cui per avere successo dovevi restare tutta la vita lontano da casa. Adesso il futuro è qui. Viaggiare e fare esperienze all’estero è importantissimo, ma bisogna tornare, credere nelle proprie idee e investire». E questi ragazzi a chi appartengono, si chiederanno i siciliani. Appartengono al futuro e al mantra della tornanza: “Sei tornato, ma il tuo viaggio non è finito”.
iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link