Craxi, ricordi e polemiche. «Qui a Hammamet la sinistra non è mai venuta»

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Adesso tutti lì, ad Hammamet. Dove addirittura s’è avviato, per il venticinquennale della morte di Bettino Craxi, celebrato ieri, il presidente del Senato, terza carica dello Stato. Ed è piena di significati la presenza in Tunisia di Ignazio La Russa. I tempi cambiano, ed ecco allora che tornano a galla sulla scorta del presente le vecchie vicende della storia italiana, quelle in cui il movimento sociale italiano – il partito in cui allora militava La Russa – era stato tra i più appassionati sostenitori dell’azione di Mani pulite che aveva portato il leader socialista ad espatriare dicendo: «La mia libertà è la mia vita».

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Adesso però siamo in tutt’altro clima. E la presenza ad alto livello della politica italiana nel cimitero tunisino di Bettino – oltre a La Russa, anche il vicepremier Tajani che afferma: «Craxi fu ingiustamente perseguitato dal giustizialismo» – impressiona perché è un tributo, positivo, che è in totale controtendenza rispetto all’abbandono, all’oblio, al fastidio con cui veniva vissuta la presenza dell’esule di Hammamet quando egli era in vita e anche quando la sua memoria, dopo la scomparsa di Bettino il 19 gennaio di 25 anni fa, non portava in Tunisia molti esponenti, anzi quasi nessuno, della politica italiana e rendere omaggio a uno dei protagonisti della nostra storia.

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RINGRAZIAMENTI
Stefania Craxi, la figlia, ringrazia dunque La Russa e Tajani. Ma lei stessa, nel bel libro appena pubblicato per Piemme e intitolato “All’ombra della storia. La mia vita tra politica e affetti”, racconta lo strazio umano e familiare di fronte al vuoto che intorno a Craxi si creò negli ultimi anni della sua esistenza. Tutti spariti, e tutti o quasi quelli che da Craxi avevano avuto moltissimo. «Ci siamo sentiti una famiglia di reietti – scrive Stefania – e nessuno ci rispondeva al telefono, nessuno ci chiamava. Provavamo un senso d’impotenza, d’isolamento, anche paura alcune volte». Eppure, oltre a vari coraggiosi tra cui Arafat la cui organizzazione dell’Olp era stata finanziata da Craxi e questo gli israeliani non lo hanno mai perdonato a Bettino, qualcuno arrivava. Per esempio Francesco Cossiga, che era affezionatissimo al segretario del Psi, o Pier Ferdinando Casini. Il quale è stato il primo presidente di uno dei due rami del Parlamento italiano a recarsi ad Hammamet e lo fece deponendo sulla tomba del leader socialista un mazzo di rose rosse, bianche e verdi e dicendo: «Credo che si debba chiudere una pagina della storia del nostro Paese con serenità». Vanno riconosciuti – incalzò il presidente della Camera nel gennaio del 2003 – i grandi meriti politici che ha avuto Craxi. Il suo disegno, la sua visione del socialismo, per un paradosso della storia ha vinto proprio quando lui è rimasto solo. Ed è ancora solo oggi».

Lo è rimasto fino alla fine, e che differenza tra la rimozione di prima e la rivalutazione attuale. «Passato il tempo delle invettive – sostiene La Russa – penso che Craxi debba essere studiato come una grande figura della storia. Qual è quello che io sento il debito più grande, oltre a quello di un dibattito serio e sereno sulla sua figura? È quello di non avere impedito che morisse all’estero, in esilio, non avere voluto che potesse curarsi in Italia».

In realtà, La Russa privatamente ad Hammamet era già andato, e così anche Tajani da presidente del Parlamento europeo. «Chi non è mai venuto – dice la primogenita di Bettino – sono gli esponenti del centrosinistra». O personaggi che molto hanno ricevuto da Craxi, come Giuliano Amato. E a proposito di vicesegretari del Psi, ecco Claudio Martelli il quale è piuttosto critico: «È un’operazione truffaldina quella di collocare Craxi a destra». Lo pensa anche l’altro figlio di Bettino, Bobo: «Mio padre è stato un uomo di sinistra. Del Psi è stato il leader, ma del Pse, che si oppone alle destre, è stato il fondatore».
Ora la destra, anche se non sembra in corso un ripensamento profondo della stagione della rivoluzione giudiziaria dei primi anni ‘90, omaggia Bettino vedendo in lui il primo leader italiano di sinistra che ha riconosciuto il valore della patria. Ma in realtà lo sentiva in maniera garibaldina e non da sovranista. Mentre nei decenni scorsi giusto i fedelissimi hanno visitato Hammamet.

I FEDELISSIMI
Soprattutto Donato Robilotta, Luca Iosi, Fabrizio Cicchitto, due volte Cesare De Michelis, Frattini e Sacconi, l’autista craxiano Manzi, Beppe Scanni che dirigeva l’Avanti, Stefano Carluccio di Critica Sociale e pochi altri e sempre quelli (ma nel 2020 andarono in Tunisia oltre ai soliti per esempio il socialista dem Nannicini, il renziano Faraone). I primi tempi dopo l’inizio dell’esilio nel ‘94, davvero l’isolamento di Craxi era spaventoso. Poi la situazione un pochino migliorò ma neanche tanto.

Racconta Robilotta: «Ai funerali c’erano Dini e Minniti. Quest’ultimo, sottosegretario di D’Alema a Palazzo Chigi, tentò di fare qualcosa per portare Craxi ad operarsi in Italia. Lui voleva tornare solo da uomo libero e non piantonato all’ospedale San Raffaele. Proprio io andai da Minniti a dirgli: telefonate a Bettino, o tu o D’Alema, e cercate di sbloccare la situazione. Anche il Papa si mosse in quella direzione. Ma la magistratura fu inflessibile: o arriva da prigioniero o niente».

Il rientro in extremis non ci fu. L’esule rimase tale. Ma adesso, anche se non c’è più, è meno solo di prima.

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