Com’è che Israele e Hamas alla fine si sono accordati

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L’accordo raggiunto venerdì tra Israele e Hamas per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza entrerà in vigore alle 8:30 del 19 gennaio. Non è molto diverso dalle proposte che venivano avanzate da mesi, e che finora erano sempre fallite: quello che è cambiato è il contesto internazionale, che ha spinto Hamas e il governo israeliano di Benjamin Netanyahu ad accettare i termini del negoziato, dopo alcuni giorni di problemi e questioni irrisolte.

Nel corso dell’ultimo anno di trattative entrambe le parti hanno posto condizioni e negoziato duramente, ma in più di un’occasione, quando un accordo sembrava quasi raggiunto, era stato Netanyahu a ritirarsi, in alcuni casi aggiungendo all’ultimo nuove condizioni che era impossibile soddisfare. Per mesi Netanyahu è stato accusato di sabotare volontariamente i negoziati per il proprio tornaconto politico: a giugno del 2024 il presidente americano Joe Biden disse che c’erano «tutte le ragioni» per pensare che Netanyahu stesse prolungando la guerra per garantire la propria sopravvivenza politica. Le cose però sono cambiate negli ultimi mesi.

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Il governo di Netanyahu è sostenuto da alcuni partiti dell’estrema destra ebraica contrari a ogni tipo di accordo, che in più di un’occasione nell’ultimo anno avevano minacciato di far cadere l’esecutivo in caso di cessate il fuoco a Gaza. Proprio negli scorsi giorni Itamar Ben Gvir, il ministro della Sicurezza nazionale e leader di un partito di estrema destra, ha detto: «Nell’ultimo anno, usando il nostro potere politico, siamo riusciti a evitare più e più volte che questo accordo andasse avanti».

– Leggi anche: Anche Israele ha approvato il cessate il fuoco a Gaza, infine

Finché la guerra fosse proseguita Netanyahu sarebbe rimasto al governo, avrebbe ritardato il dibattito sulle responsabilità dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e allontanato i processi per corruzione a suo carico, cominciati prima della guerra. A questo ha contribuito la debolezza dell’amministrazione americana di Biden, che in un anno e mezzo di guerra non è riuscita a influenzare il primo ministro israeliano nonostante i numerosi tentativi di raggiungere un cessate il fuoco.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a dicembre del 2024 (AP Photo/Maya Alleruzzo, Pool, File)

Ma negli ultimi mesi la posizione di Netanyahu si è rafforzata: Israele ha vinto rapidamente la propria guerra contro Hezbollah in Libano e grazie a una serie di circostanze l’Iran, nemico storico di Israele, si è eccezionalmente indebolito. La rivoluzione in Siria ha poi messo fine al regime del dittatore Bashar al Assad, un altro rivale storico di Israele.

Anche Hamas si è indebolito: a ottobre Israele ha ucciso il capo del gruppo nella Striscia di Gaza, Yahya Sinwar, e benché stia continuando a combattere e anzi abbia arruolato migliaia di nuovi membri, il suo sostegno tra la popolazione della Striscia è ormai molto basso. Da tempo sembrava che il gruppo si stesse preparando a un cessate il fuoco, al punto che aveva perfino ripreso negoziati riservati con l’Autorità palestinese.

Un ruolo importante l’ha avuto probabilmente la vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi dell’anno scorso. Trump ha detto che avrebbe scatenato «l’inferno» contro Hamas se non avesse restituito gli ostaggi israeliani entro il 20 gennaio, giorno del suo insediamento. Al tempo stesso, i giornali israeliani hanno scritto che Steven Witkoff, il negoziatore inviato da Trump in Israele, è stato piuttosto brusco anche con Netanyahu, segno che il presidente eletto statunitense voleva ottenere una vittoria politica rapida e prendersi il merito di aver ottenuto il cessate il fuoco a Gaza, e che ha fatto pressioni da entrambe le parti.

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Ora che l’accordo è stato raggiunto, il governo di Netanyahu rischia di cadere. Ben Gvir aveva più volte minacciato di ritirare il proprio sostegno in caso di approvazione del cessate il fuoco. Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze anche lui estremista di destra, ha detto che avrebbe continuato a sostenerlo solo se, dopo il rilascio degli ostaggi, Israele riprenderà la guerra fino alla distruzione completa di Hamas. Entrambi hanno votato contro l’accordo, ma finora non si sono dimessi né hanno preso o annunciato altre decisioni politiche.

Secondo alcuni giornali israeliani Netanyahu potrebbe approfittare del nuovo contesto politico, e del sostegno della nuova amministrazione Trump, per far entrare nel suo governo nuove forze che renderebbero inutili le minacce dell’estrema destra.

Palestinesi a Deir al Balah festeggiano pe ril cessate il fuoco, il 15 gennaio 2025

Palestinesi a Deir al Balah festeggiano per il cessate il fuoco, il 15 gennaio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

In ogni caso, lo stesso governo Netanyahu si sta tenendo aperta la possibilità di riprendere i combattimenti se i negoziati dovessero andare male o la situazione lo consentisse: sabato sera in un discorso alla nazione ha detto chiaramente che Israele «si riserva il diritto a riprendere i combattimenti». Yossi Fuchs, il capo di gabinetto del primo ministro, aveva chiarito giovedì che l’accordo «include l’opzione di riprendere i combattimenti alla fine della fase uno se i negoziati sulla fase due non si sviluppano in una maniera che consenta il raggiungimento degli obiettivi della guerra».

L’accordo prevede tre fasi, di cui soltanto la prima è già definita: durerà 42 giorni e prevede il rilascio di 33 ostaggi israeliani in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi. Durante la fase uno, continueranno i negoziati per le fasi due e tre, in cui dovrebbe essere trovato un accordo per il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e il ritiro graduale dell’esercito di Israele dalla Striscia di Gaza.



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