La Giustizia “a ideologia” • Libertà e Giustizia

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Dalla separazione delle carriere dei magistrati al Ddl Sicurezza, dal paradosso di un “Daspo di capodanno” esteso fino a fine marzo alla proposta di “scudo penale” per gli appartenenti alle forze dell’ordine e al silenzio sullo scandalo dei suicidi in carcere: che ne è della Giustizia?

Parafrasando un noto addebito che la destra, sin dai tempi di Berlusconi, ha mosso al sistema della giustizia – che si tratterebbe cioè, quando coinvolge un esponente politico, di “giustizia a orologeria” – si potrebbe qualificare la visione del ministro Nordio come “giustizia a ideologia”, in quanto ogni iniziativa di questo governo in tema di giustizia appare mossa, non certo dalla necessità di sanare le tante difficoltà del sistema giudiziario, bensì dalla volontà di agitare delle bandiere ideologiche e di fomentare l’ostilità del paese nei confronti della magistratura.

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Che l’approccio dell’attuale governo al tema della giustizia sia di natura ideologica e propagandistica emerge in modo tale da togliere ogni dubbio dalle dichiarazioni, francamente grottesche, secondo le quali la cosiddetta separazione delle carriere dei magistrati coronerebbe “il sogno di Berlusconi”. Basta questa definizione a chiarire che siamo di fronte, in questo come in altri casi, a pessime riforme.

Ricordiamo cosa pensano le Camere Penali, notoriamente poco tenere nei confronti della magistratura, del cosiddetto pacchetto sicurezza: dopo la sua approvazione, nel settembre 2024, la Giunta delle Camere Penali ne ha denunciato la matrice populista, illiberale e autoritaria «caratterizzata da uno sproporzionato e ingiustificato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi e ai danni dei soggetti più deboli», definendolo come un tipico esempio di »diritto penale simbolico, che mira esclusivamente a lucrare consenso, facendo leva su di un sentimento di insicurezza a sua volta strumentalmente diffuso nella collettività».

Il DDL Sicurezza ha ricevuto osservazioni critiche e preoccupate dal Commissario europeo per la tutela dei diritti umani, con particolare riguardo alla criminalizzazione della protesta nelle carceri, la cui condizione è di per sé non conforme agli standard internazionali ed è stata oggetto di ripetute condanne a livello europeo.

Quello relativo alla protesta anche passiva nelle carceri costituisce uno dei punti sollevati informalmente dal Presidente della Repubblica Mattarella, insieme al rifiuto delle SIM ai migranti che non hanno (ancora) il permesso di soggiorno, alla permanenza delle donne incinte nelle carceri, alla lista delle opere pubbliche dove è vietato manifestare.

La matrice culturale alla base dell’ingiustificata moltiplicazione delle fattispecie di reato, che intendono colpire con la sanzione penale anche forme di disagio sociale e di dissenso politico, ha trovato nuova espressione nel cosiddetto Daspo di Capodanno – paradossalmente destinato a durare fino alla fine di marzo – con l’istituzione a Milano e l’estensione ad altre città d’Italia, delle “zone rosse”, nelle quali non possono stazionare “soggetti che assumono atteggiamenti aggressivi, minacciosi o molesti” o “che costituiscono un concreto pericolo per la sicurezza pubblica”. Come si vede, si tratta di categorie impalpabili, la cui individuazione è rimessa alla valutazione soggettiva della forza pubblica, con il rischio di un suo uso arbitrario e discriminatorio.

Che dire del ventilato provvedimento denominato “scudo penale” per gli appartenenti alle forze dell’ordine? Ad oggi, esso non risulta avere alcun contenuto definito, tuttavia forma oggetto di dichiarazioni e proposte, benché l’idea di base – destinare agli appartenenti alle forze dell’ordine un trattamento giudiziario diverso rispetto alla generalità dei cittadini – si configuri come evidentemente incostituzionale.

Ultima in ordine di tempo, è arrivata la realizzazione del “sogno di Berlusconi”, la proposta di separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e inquirenti; lo stesso ministro Nordio ne ha fornito una giustificazione puramente ideologica: secondo lui, servirebbe a smantellare le correnti nella magistratura. Da profana, fatico a capire il nesso.

Del medesimo sogno faceva verosimilmente parte anche l’abolizione del reato di abuso d‘ufficio, realizzata dal governo in carica nell’agosto 2024, con la conseguenza che condotte prevaricanti da parte di soggetti detentori di potere resteranno prive di sanzione, qualora non integrino reati gravi quali peculato, corruzione o concussione. In questo caso, il messaggio è: mani libere a chi gestisce il potere.
Risalta comunque la volontà di questo esecutivo di fare qualsiasi cosa tranne occuparsi delle reali criticità del sistema giustizia: le carenze di organico, sia di magistrati che di personale ausiliario, i problemi organizzativi, il malfunzionamento dei sistemi informatici, i difetti della riforma Cartabia, il susseguirsi di suicidi in carcere.

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Tutti continuamente denunciati dagli operatori pubblici e privati del sistema giustizia.
Si riaffaccia il dubbio che di giustizia ci si occupi essenzialmente per fare propaganda, all’occasione indossando una maschera securitaria oppure favorendo una qualche categoria, mentre si insiste nello scaricare sulla magistratura la colpa del malfunzionamento del sistema giudiziario e delle sue ricadute negative sulla vita dei cittadini.



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