Il 20 giugno 1983 la 15enne comunicò di voler partire in estate con sorella e cugina. Il fratello: «Nostro padre si irritò molto». La discussione fu citata in un comunicato del novembre 1984, come prova di possesso dell’ostaggio
Caso Orlandi, nel giorno in cui il fratello Pietro torna a organizzare una manifestazione in ricordo di Emanuela (dalle 16 in piazza Cavour, a Roma), fa discutere la nuova ricostruzione della sparizione della «ragazza con la fascetta», in quel lontanissimo 22 giugno 1983. Oltre che il contributo dell’amico della parrocchia Pierluigi Magnesio, che giovedì scorso davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta ha ribadito che Emanuela lo salutò sette giorni prima con una specie di commiato («Mi prese da parte, mi baciò e disse addio»), emerge ora un dettaglio sottovalutato. L’ulteriore novità riguarda anch’essa lo stato d’animo della quindicenne alla vigilia della scomparsa, ma soprattutto – ed è l’elemento più inquietante, di certo utile a fini investigativi – dimostra la capacità di «infiltrazione» dei rapitori nelle questioni di famiglia.
La cena a casa dello zio Mario
In sintesi, ecco cosa accadde, come ricostruito dal Corriere in base all’esame comparato di carte e testimonianze. Primo atto: Emanuela due sere prima di sparire, lunedì 20 giugno 1983, era con i genitori, le sorelle e il fratello a cena a casa dello zio Mario Meneguzzi, lo stesso che nei giorni successivi sarebbe stato scelto come “portavoce” degli Orlandi e in tempi recenti è stato accusato di molestie dalla nipote, Natalina, sorella maggiore della scomparsa. Fu durante il pasto serale che Emanuela se ne uscì con una frase che sbalordì tutti: «Questa estate vado in vacanza da sola», nel senso di non voler stare come al solito con tutta la famiglia, i grandi, come sempre accaduto in passato, salvo poi precisare di aver coinvolto nell’idea anche una delle sorelle e la cugina, entrambe sotto i 18 anni. Un’uscita estemporanea? Il capriccio di una ragazzina poco più che adolescente? Possibile. Ma vediamo.
L’arrabbiatura di papà Ercole
Il padre Ercole, persona severa, all’antica, si arrabbiò e la zittì dicendole «Non se ne parla nemmeno», e la cosa per tutti sembrò finire lì. Peccato che, alle 19 di due giorni dopo, il 22 giugno, Emanuela Orlandi non tornò a casa dopo la lezione di musica e da quel momento la famiglia piombò nell’incubo-rapimento. Quella «alzata di testa» della futura sequestrata più famosa del pianeta poteva significare qualcosa o fu casuale? Nessuno si pose il dubbio. Per mesi.
Il messaggio del novembre 1984
Fino a che – e siamo al secondo atto – si arriva al «Komunicato XX», il messaggio del 22 novembre 1984 firmato dal Fronte Turkesh, il settimo di questa misteriosa organizzazione, che dall’agosto 1983 si era aggiunta al telefonista detto l’«Amerikano» e ad altri soggetti che avevano inviato rivendicazioni dalla Svizzera e da Boston. I presunti rapitori, con il fine dichiarato di dare prova del possesso dell’ostaggio, all’interno del «Komunicato XX» resero pubblici sette particolari noti soltanto ai congiunti più stretti. Ed è proprio il primo a riportarci alla discussione in casa Meneguzzi. Eccolo: «Emanuela f
L’interpretazione di Pietro Orlandi
Fu lo stesso Pietro, nel 2011, al momento di ricostruire l’intera vicenda nel libro Mia sorella Emanuela, a ricordarsi e stabilire le sinapsi. «Ecco, ma certo! Ne parlammo a casa! Pochi giorni prima della scomparsa papà ebbe una discussione con Emanuela, quando eravamo a cena da mio zio Mario», cena che, tra l’altro, era già stata citata dal Fronte Turkesh nel terzo comunicato di un anno prima. Come andò? «A un tratto Emanuela
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Qualcuno riportò la lite all’esterno?
Ora la domanda è: come facevano coloro che a più riprese diedero prova del possesso o perlomeno del contatto con chi aveva preso la Orlandi (il Fronte Turkesh e l’Amerikano, di recente identificato tramite una perizia vocale in Marco Accetti), a sapere di questa discussione casalinga? Qualcuno dei presenti ne aveva parlato all’esterno, a persone poco fidate? O forse la stessa Emanuela, nella sua incolpevole ingenuità dei 15 anni? Il secondo tassello è questo, e apre scenari inediti sull’accaduto. Tanto più che sembra combaciare con la rivelazione dell’amico Pierluigi e si pone sulla stessa linea della frase («Non mi vedrete per un po’») confidata da Emanuela a una compagna di classe, poi pubblicata dai giornali.
Nuove audizioni in Bicamerale
La sventurata quindicenne da decenni nella cronaca nera, che altro non avrebbe voluto che vivere felice la sua gioventù, fu insomma vittima di «oscure entità», come furono ribattezzati i rapitori dai magistrati inquirenti, che si infiltrarono e misero il naso nella vita della famiglia? Lo spunto esiste ed è concreto. Al punto che l’ufficio di presidenza della commissione parlamentare d’inchiesta, dopo l’audizione di Magnesio, ne ha messe in calendario altre per approfondire il medesimo filone. (fperonaci@rcs.it)
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