Taglio Irpef, promessa sparita: ennesima sconfitta per Tajani

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Forza Italia ha promesso di portare avanti la battaglia sulla riduzione delle tasse per il ceto medio. Il tema è finito fuori dall’agenda di governo, e dal ministero dell’Economia continuano a frenare  

Il taglio delle tasse è una montagna troppo ripida da scalare per il governo. Ed è la sfida delle sfide per Antonio Tajani, quella da vincere a ogni costo. La riduzione della pressione fiscale per il ceto medio è un’antica bandiera di Silvio Berlusconi.

Per questo Forza Italia voleva mettere in agenda fin dall’inizio del nuovo anno l’abbattimento del secondo scaglione Irpef, dal 35 al 33 per cento. Il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, lo aveva dichiarato: «Impegno fin da gennaio». Aveva poi spiegato: «Quando avremo certezza della disponibilità economica sarà facile trovare lo strumento di carattere giuridico e amministrativo».

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Parole necessarie a placare i malumori dentro FI per una legge di Bilancio grama, in cui Tajani ha dovuto giocare soprattutto in difesa: non ha ottenuto un vero aumento delle pensioni, non c’è stato nulla sul tema delle privatizzazioni, e sulle tasse nemmeno un segnale.

Solo che dal ministero dell’Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti, continuano a prendere tempo. «Non se ne parla prima di marzo in attesa del gettito derivante dal ravvedimento operoso», è la posizione più ottimistica che filtra. Ma in primavera potrebbe iniziare solo la ricognizione. Altri, a via XX Settembre, si rifugiano nella formula: «È prematuro parlarne». I tempi saranno lunghi.

Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di inizio anno, ha circumnavigato la questione all’insegna del «dobbiamo farlo». Ma il tema è sparito dall’agenda di governo. Si discetta di tutt’altro: lo scudo penale per le forze dell’ordine, la scuola che vorrebbe il ministro Giuseppe Valditara, i progetti spaziali per i satelliti di Elon Musk.

«Siamo ancora in trepidante attesa del taglio del secondo scaglione Irpef», ironizza con Domani il deputato del Pd, Ubaldo Pagano. «Questa», aggiunge, «è soltanto l’ultima delle tante promesse tradite dal governo. Una boutade che fa il paio con il buco nell’acqua del concordato biennale bis».

Taglio fuori dai radar

Maurizio Leo, viceministro meloniano, soppesa le frasi quando si parla di tasse: «Quest’anno abbiamo registrato la delusione sull’aliquota fiscale che riguarda il ceto medio. Sappiamo bene che la fascia che va dai 28mila ai 60mila euro di reddito è la fascia più penalizzata», ha premesso.

Da qui il regista della riforma fiscale ha lasciato intendere che l’intervento non è imminente: «Il nostro obiettivo nel 2025 è di dare un segnale proprio a questo comparto».

I dubbi montano anche sulla portata della misura: difficile che possa coprire fino ai 60mila euro di reddito. «Il punto di caduta potrebbe essere la diminuzione di un punto dell’aliquota», è una delle proposte al vaglio.

Toni ben lontani da quelli usati da Forza Italia meno di un mese fa, in piena sessione di bilancio. Gli eredi politici di Berlusconi avrebbero voluto inserire la misura già nella manovra approvata a dicembre: un taglio cospicuo. Poi hanno abbassato le pretese: «Sarebbe bastato un simbolo».

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Il leader degli azzurri Tajani aveva attaccato: «Usiamo i 400 milioni che la Lega voleva spendere per abbassare il canone Rai». I suoi luogotenenti in parlamento hanno spinto sull’acceleratore per ottenere quantomeno un contentino. Invece è stato rimandato tutto, sine die.

«Non ci sono abbastanza soldi. Il rischio è di fare un mini taglio con impatto nullo», è stata sempre la risposta del Mef. È stato denunciato il rischio di un effetto boomerang sull’opinione pubblica, oltre che un problema pratico: bisogna individuare uno strumento legislativo adeguato, un decreto o un disegno di legge.

Eppure, per reperire le risorse necessarie al taglio dell’Irpef era stato ideato uno strumento fiscale ad hoc: il Concordato biennale. L’introito finale per le casse pubbliche è stato di 1,6 miliardi di euro. Troppo poco a fronte dei 2 miliardi e mezzo di euro stimati per coprire un alleggerimento incisivo delle tasse.

Per questo, dopo la prima scadenze del 31 ottobre, il governo Meloni aveva concesso un tempo supplementare riaprendo una finestra di adesione al concordato tra il 12 novembre e il 12 dicembre. Di fronte al risultato insoddisfacente, il ministero dell’Economia ha preferito traccheggiare, con lo scopo di smussare la propaganda tipica del periodo della legge di Bilancio.

La sfida di Tajani

Solo che per Tajani sta diventando un problema politico tutt’altro che secondario. Il ministro degli Esteri ha alzato l’asticella delle attese: vuole un partito che possa ambire al 20 per cento alle prossime elezioni. Insomma, immagina una forza in grado addirittura di competere con Fratelli d’Italia per la guida della coalizione, staccando nettamente la Lega di Matteo Salvini.

Ma il cambio di passo annunciato con il nuovo anno deve realizzarsi con risultati concreti. A cominciare proprio dalla riduzione delle tasse per il ceto medio, che è la base di un partito che predica posizioni liberali, insieme all’aumento delle pensioni che è stato di pochi spiccioli nell’ultima legge di Bilancio.

Nell’inner circle del ministro degli Esteri si fa professione di ottimismo: «L’operazione andrà in porto, bisogna solo reperire le risorse». I vertici di Forza Italia sono convinti così di dare un segnale a Pier Silvio Berlusconi, il più attivo della famiglia a seguire il percorso del partito. Il presidente di Fininvest ha già fatto arrivare ai diretti interessati il desiderio di un ricambio generazionale più intenso.

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Aveva chiesto volti nuovi, freschi, da mandare in televisione e inserire ai vertici della dirigenza. Richiesta non accontentata. Per questo il vicepremier ha bisogno di portare a casa risultati concreti. Come un taglio delle tasse.

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