Un certo buonismo a buon mercato non serve oggi come non serviva ieri. Al contrario fa danni incalcolabili. Il dramma delle baby gang non lo si risolve stando appollaiati su posizioni ideologiche diverse, ma guardando tutti nella stessa direzione. Vogliamo o non vogliamo salvare i nostri ragazzi? Vogliamo o non vogliamo mettere al sicuro loro e i poveri cittadini impauriti dalle loro scorribande? Allora occorre avere il coraggio di riprendere in mano la situazione senza il timore di essere impopolari.
A Napoli, la notte a cavallo della festa di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, c’è stata una vera e propria sassaiola che ha preso di mira le forze dell’ordine. Il falò che si accende in quelle ore per ricordare il padre del monachesimo era solo un pretesto. Niente religione, niente tradizione, niente festa popolare attorno al fuoco, non il raccontare le antiche gesta di questo giovane egiziano di soli 20 anni, vissuto quasi due millenni orsono, che seppe per amore di Cristo e del Vangelo rinunciare a tutti i suoi averi, farsi povero con i poveri, per ritirarsi in solitudine e dedicarsi alla preghiera, alla penitenza, alla meditazione. Niente di tutto questo. Eterogenesi dei fini.
Guerriglia urbana a Napoli nella notte in cui si festeggiava Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio – ANSA
Ciò che i nostri antenati avevano escogitato per essere comunità diventa per questi giovani, occasione di scontri violentissimi. Bisogna correre ai ripari prima che ci scappa, ancora una volta, il morto. Non è un caso se il New York Times solo pochi giorni fa ha scritto che «Napoli è una città attraente ma spietata con i suoi giovani… ».
Che Napoli sia uno scrigno di arte e bellezze ce lo riconoscono tutti. Proprio per questo motivo occorre liberarla dalle grinfie di chi ne vuole fare un luogo di violenza e di insicurezza. La stragrande maggioranza dei nostri giovani esce di casa per divertirsi, per godersi la serata in santa pace. Ne ha il diritto. E lo Stato ha il dovere di tutelarli. Se alcuni loro coetanei glielo impediscono devono essere acciuffati e puniti, senza perdere tempo. Le forze dell’ordine vanno rispettate. Gli uomini in divisa non sono marziani venuti da chissà dove per imporre la loro volontà. I carabinieri non sono sbirri. Sono uomini e donne che rischiano la vita per noi. I cittadini hanno bisogno di loro. E loro devono avvertire la simpatia del popolo che difendono. Come chiunque, anch’essi non sono infallibili. Come chiunque, qualcuno tra le loro fila potrebbe fare abuso del potere che esercita. Come chiunque, anche costui va punito. Ma guai a noi se con i nostri ragionamenti dovessimo far passare l’idea che i ragazzi violenti vanno solo compresi, aiutati e coccolati. Vanno compresi, aiutati, indirizzati e puniti severamente nel momento in cui mettono a ferro e fuoco un intero quartiere per il solo gusto di fare male, di creare problemi, di essere protagonisti.
La certezza della pena per il reo deve essere assicurata. E, sia detto con buona pace di tutti, i primi responsabili di figli minorenni sono i genitori, affiancati delle varie agenzie educative. Napoli ha avuto, solo negli ultimi mesi, ben tre giovani uccisi. Ogni volta abbiamo sperato che quel funerale fosse l’ultimo, ogni volta ci siamo ritrovati, invece, ad allungare la lista, ogni volta ci siamo battuti il petto e ci siamo impegnati a fare di più e meglio.
A Napoli, oggi, c’è un prefetto, Michele Di Bari, che non se ne sta chiuso nel bellissimo palazzo di piazza Plebiscito, ma va girando da mattina a sera, portandosi sui luoghi più problematici, dialogando e stimolando le autorità locali, le varie associazioni, le parrocchie, i volontari.
È un momento buono. Eppure, ci accorgiamo che non basta. C’è, da parte di queste bande di adolescenti, quasi un gusto macabro per la violenza. È doloroso ammetterlo, ma sembra che ci siano dei giovani che godono nel procurare sofferenze agli altri. Il discorso si complica. Anticipo chi è pronto a ripetere che la repressione da sola non basta, che ci vuole un esercito di maestri elementari, che la scuola deve sapere essere attraente e interessante. Tutto vero. Occorre cominciare dai neonati, dai bambini che gattonano, dagli asilo nido. Su questo siamo tutti d’accordo.
Lo Stato ha il dovere, però, di mettere al riparo i cittadini, in particolare i più piccoli, i più deboli, gli anziani, gli onesti, quelli che vanno a lavorare e pagano le tasse, dalle scorribande di questi delinquenti che tengono in ostaggio una intera città. Occorre lavorare su una doppia direttiva. Si punisce il reo per evitargli di fare e di farsi male. Lo si accompagna nel cammino di conversione. Intanto tutti – ma proprio tutti – ci si impegna che i più piccoli non vengano ammaliati dai loro pessimi esempi. La società su questo punto non può, non deve essere divisa. Gli uomini e le donne delle forze dell’ordine vanno ringraziati e tutelati. Rappresentano lo Stato, l’unico che per il nostro bene, quando proprio non se ne può più, può usare anche le maniere forti. Pene certe e impegno concreto per riscattare i giovani che trovano gusto nel delinquere e impaurire.
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