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«Consapevoli omissioni» e un «comportamento servente e compiacente». Il tutto con una «sistematicità» tale che si pone al confine tra il concorso esterno «e la vera e propria partecipazione, anche considerando che si trattava di una persona particolarmente qualificata, con esperienza specifica e specializzata». È un duro atto d’accusa quello riservato a Salvatore Virgillito dal giudice per le indagini preliminari di Catania Salvatore Pogliese. Avvocato, amministratore giudiziario di lungo corso e da qualche anno presidente dell’ordine dei dottori commercialisti di Catania, Virgilito è finito in carcere nell’ambito dell’operazione antimafia contro la cosca attiva a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Il professionista è accusato di concorso esterno e peculato nell’ambito del suo ruolo di amministratore giudiziario dell’impresa Bellinvia Carmela, specializzata nella demolizione e recupero di materiali e la rottamazione di veicoli a motore e rimorchi. L’impresa, seppure sequestrata e poi confiscata tra il 2011 e il 2013, sarebbe continuata a essere il centro degli affari della famiglia mafiosa capeggiata da Salvatore Ofria. L’uomo, 60 anni, è il figlio di Carmela Bellinvia, ma soprattutto è stato riconosciuto dal 1985 al 2011 appartenente, con posizione apicale, alla famiglia mafiosa dei barcellonesi. Realtà criminale tra le più attive e note della fascia tirrenica.
Secondo i magistrati della procura di Messina, gli Ofria avrebbero continuato a gestire l’impresa anche quando a comandare doveva essere lo Stato, tramite l’amministrazione giudiziaria. Fondamentali sono state ritenute le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Marco Chiofalo, arrestato nel 2015 nel blitz Gotha 5 e un tempo vicino agli Ofria. Ex lavoratore dell’impresa – rigorosamente in nero, specifica -, Chiofalo ha raccontato ai magistrati l’esistenza di una sorta di fondo nero dell’azienda foraggiato dalla vendita di ricambi e dalla rottamazione dei veicoli. Operazioni non registrate che sarebbero andate a finire in una contabilità dedicata e gestista, secondo i suoi racconti, dai parenti di Salvatore Ofria. Fatturando così dai 4 ai 5 milioni di euro, come gli avrebbe riferito il figlio dello stesso Ofria. Una cifra simile a quella inserita nei registri ufficiali a disposizione dell’amministratore giudiziario Virgillito. Nella gestione dell’impresa – con regolare assunzione – si sarebbero poi ritagliate un ruolo importante Luisella Alesci e Tiziana Foti, rispettivamente mogli di Salvatore e Domenico Ofria, adesso entrambe sottoposte alla misura cautelare in carcere.
Secondo il giudice, «la quantità e qualità dei rapporti intrattenuti da Virgillito con gli Ofria non lasciano margini a dubbi sulla consapevolezza e la volontà di lasciare in gestione alla famiglia l’impresa», si legge in un passaggio dell’ordinanza dedicata al presidente dell’ordine dei commercialisti di Catania. I magistrati evidenziano con la penna blu anche l’assunzione – per alcuni mesi del 2018 – di Nunzio di Salvo, figlio di uno dei boss della famiglia dei barcellonesi, Salvatore Sam Di Salvo, ristretto al regime del carcere duro del 41 bis dal 2011. La presunta connivenza tra l’amministratore, incaricato dal tribunale, e la famiglia Ofria emergerebbe anche dallo scambio di informazioni tra le parti: come quando Virgillito avrebbe informato gli ex titolari di una richiesta di rendiconto di gestione pervenuta dal giudice. Notizia che ha suscitato una certa preoccupazione in ordine alla possibilità di eventuali accertamenti investigativi.
Apprensione ulteriormente aumentata quando, dopo una bonifica per l’eventuale presenza di microspie negli uffici, viene ritrovata proprio una cimice degli investigatori. Virgillito viene informato e «la notizia – si legge nel documento – generava nell’amministratore giudiziario particolare allarme spiegabile solo in ragione del timore che venissero scoperte le spregiudicate anomalie gestionali che avevano caratterizzato l’impresa Bellinvia, e delle quali egli era ben consapevole». L’amministratore è anche accusato di peculato perché avrebbe permesso a Luisella Alesci di utilizzare una Fiat 500 presa a noleggio come mezzo aziendale, nonostante la donna non avesse più un ruolo formale all’interno dell’azienda. Presenze ingombranti e costanti, come testimoniato dalle pressioni che Ofria avrebbe esercitato nei confronti di un dipendente, fino a portarlo alle dimissioni. L’uomo era stato indicato come l’autore del furto di una batteria in azienda: un gesto così mal digerito dal presunto boss, tanto da insistere anche con altre imprese affinché l’operaio non venisse assunto da nessuno. Il tutto, secondo la ricostruzione dei pm, in un periodo in cui Virgillito era già amministratore giudiziario.
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