È morto David Lynch, il regista di «Twin Peaks», «Mulholland Drive» e «Blue Velvet»: aveva 78 anni

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di
Maurizio Porro

David Lynch è morto giovedì 16 gennaio, a 78 anni: ad annunciarlo è stata la sua famiglia, con un post sui social. Da anni soffriva di enfisema; nel 2019 aveva ricevuto l’Oscar alla carriera

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È morto improvvisamente a soli 78 anni David Lynch, il grande regista americano, nato nel Montana il 20 gennaio 1946, che si era intestato uno stile in coabitazione con le arti pittoriche, come un’installazione della mente, coltivando ovunque accaniti fan e vincendo Palme, Leoni e un Oscar alla carriera nel 2019. Ma sempre fumando troppo, anche quando al Lido di Venezia, insegnava la meditazione: una morte annunciata, dallo stesso regista, causa un enfisema polmonare. La scomparsa è stata comunicata dalla famiglia su Facebook, avvertendo di «guardare la ciambella e non il buco».

Lynch lascia quattro mogli, tre figli, 10 film e 5 produzioni tv, contribuendo per primo al rifiuto della divisione manichea tra i mondi del cinema e della tv, tanto che i Cahiérs du cinema premiarono miglior film dell’anno «Twin Peaks the Return». 




















































Nato a Missoula, ama dipingere, si arrangia, fa anche la maschera alla cerimonia di investitura di Kennedy, prima di raggiungere l’Europa per studiare Kokoschka. Ma dopo un salto a Salisburgo, torna a casa solo dopo 15 giorni, non tre anni. Prima pittore (con opere ora esposte al MOMA), regista sceneggiatore e produttore, padrone assoluto del suo cinema che scriveva, montava, dirigeva e progettava, compreso anche il sonoro. Nel ’70 gira la storia di un bambino che fa nascere la nonna da un seme: primo e unico aggettivo sarà sempre inquietante. Visionario come i grandi, figlio della cultura europea della psicanalisi unita alle rivoluzioni americane, Lynch debutta con «Elephant Man», 1980, prodotto dal regista di «Frankenstein jr.», il comico Mel Brooks: impressionante racconto denso di pìetas di un uomo deforme d’epoca vittoriana (John Hurt) che gli fa nascere dentro una profonda gentilezza d’animo: 8 candidature all’Oscar. 

In «Eraserhead» nel ’77, racconta una storia mostruosa che eccita Kubrick ma lo conduce sul lastrico, constringedolo a dormire sul set: il neonato che si vede  nel film pare creato dal feto imbalsamato di un vitello. È iniziato un grande viaggio senza domicilio conosciuto nell’inconscio che si nutre di solitudine e paesaggi metropolitani ma quando tenta la carta del kolossal, «Dune», con 45 milioni del salvadanaio di De Laurentiis, è un fiasco non riconosciuto per liti e i tagli, per cui l’Autore pretenderà da quel momento in poi il controllo. Con lo stesso producer dirige «Velluto blu», che gioca con colori pastello su uno straniamento che si nutre del senso del deforme e del perverso, esempi di violenza e sopraffazione (siamo al 1986, oggi sarebbe «off limits») e la prima colonna sonora di Badalamenti.

E poi arrivano i «Segreti di Twin peaks». Lynch trasloca in una piccola città inquietante, dai misteri lontani dai Peccatori di Peyton: c’è l’indagine di Kyle MacLachlan sulla morte di Laura Palmer, una studentessa. Sei episodi, dall’8 aprile 90 su ABC, che passano da fenomeno cult a di massa, guadagnando la copertina di «Time», esportando slang, e acquistando la parodia del «Saturday Night Live». In lite con la piattaforma sul rivelare l’identità dell’assassino, Lynch blocca gli episodi e torna al cinema con «Cuore selvaggio», odissea crime con fuga romantica che recupera modelli del vecchio cinema Usa. 

Lancia Nicolas Cage e Laura Dern, brucia alla Antonioni il falò dei feticci kitsch degli States e riceve la Palma di Cannes da un commosso Bertolucci: ormai Lynch è un marchio. Ma poi torna, è un destino, all’eroina della piattaforma, Laura Palmer e ai suoi ultimi 7 giorni, in «Fuoco, cammina con me», ’92, intrigantissimo flop con la partecipazione di David Bowie e di un sospetto di manierismo d’autore. Più normale e lineare, si fa per dire, «Strade perdute», ’96, ma entusiasma perché opposto a tutte le sue logiche e ossessioni, «Una storia vera», ’99, quella di un anziano dell’Iowa che percorre 600 chilometri su un tagliaerba per abbracciare il fratello malato: ora è il figliol prodigo che fa commuovere davvero.

Il resto è il grande enigma di un film strepitoso, labirintico e decostruito, «Mullholland Drive», nato in tv ma poi seconda Palma a Cannes, seguito dall’ultimo, digitale, «Inland Empire – L’impero della mente», dichiaratamente ambientato nel cervello, di un concerto dei Duran Duran e gli ultimi aneliti di «Twin Peaks».

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16 gennaio 2025 ( modifica il 17 gennaio 2025 | 07:29)

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