DOVE SONO GLI OLIGARCHI? – Periscopionline.it

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Gli oligarchi sono in Russia e Cina o in Europa Stati Uniti e Gran Bretagna?

Un mese fa, in un articolo su tasse e imposte [Qui su Periscopio] ho scritto che la classe media sopporta sempre più il carico delle imposte sul reddito. In Italia il 5,4% dei contribuenti (2,3 milioni su ben 42 milioni) dichiarano oltre 55mila euro e pagano il 41% di tutte le imposte sul reddito. Avviene in tutta Europa e a lamentarsi sono i principali giornalisti mainstream che, tra parentesi, ricadono tra questi contribuenti. Cominciano forse a capire che il motivo non è dovuto solo all’evasione fiscale o ai poveri che potrebbero pagare di più, ma ai veri ricchi che non le pagano più.

La Confartigianato ha analizzato i paradisi fiscali e i primi 4 sono in Europa: Monaco, Lussemburgo, Liechtenstein, Channel Islands.
A Monaco il nostro bravo e umile Sinner è in buona compagnia, ci sono 8mila italiani lì residenti che pagano tasse zero su redditi e immobili.
In Lussemburgo ci sono sei banche italiane, 50 fondi di investimento, assicurazioni e multinazionali sia italiane che straniere che operano in Italia. L’ammanco annuo è stimato in almeno 10 miliardi (solo per l’Italia).

Secondo l’Area Studi di Mediobanca, nel 2022 le società controllate dalle prime 25 multinazionali del web presenti in Italia hanno fatturato ben 9,3 miliardi, ma hanno pagato all’erario solo 206 milioni di euro di imposte. Purtroppo, non ci sono altre statistiche in grado di stimare il gettito fiscale versato dall’intero universo delle multinazionali presenti nel nostro Paese. L’unico dato aggiuntivo è il numero delle multinazionali estere presenti in Italia attraverso delle società controllate che ammonta a 18.434 (fonte Istat).

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Scrive Confartigianato: “Queste multinazionali che fanno milioni di profitti operando in Italia e non pagano le tasse, usufruiscono delle nostre infrastrutture materiali (porti, aeroporti, strade, ferrovie), ricorrono a quelle sociali (giustizia, sanità, scuola, università), sfruttano quelle immateriali (reti informatiche), senza però contribuire con le tasse come dovrebbero. Non solo. Spesso per insediarsi in Italia queste holding usufruiscono di agevolazioni/incentivi pubblici e quando sono in difficoltà e devono affrontare situazioni di riorganizzazione aziendale ricorrono a piene mani alle indennità erogate dall’Inps come la Cassa Integrazione che, molto spesso, solo in minima parte sono state compensate dai contributi versati da questi giganti industriali”.

Così siamo tutti più poveri e il primo effetto è un welfare (sanità ed istruzione) sottofinanziato che mette in crisi il consenso a chi governa.
Per contrastare i paesi che applicano alle big company politiche fiscali compiacenti, dal 2024 è entrata in vigore la Global Minimum Tax (Gmt). Secondo il Servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto (aliquota 15% sulle multinazionali) sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 sia di 381 milioni di euro, nel 2026 428 e nel 2027 432. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, dovrebbero sfiorare i 500 milioni.

L’anno scorso la Gmt ha interessato 19 paesi UE: Spagna e Polonia, invece, l’applicheranno da quest’anno, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga sino al 2030. Cipro e Portogallo devono rispondere alla sollecitazione UE perché non hanno applicato la legge. Per le grandi holding presenti in Europa rimane purtroppo la possibilità, almeno per i prossimi 5/6 anni, di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua essere molto favorevole. Gli occupati nelle multinazionali estere ed italiane sono in Italia ormai il 20% del totale (3,5 milioni su 17,6). Ma almeno l’Europa, pur coi suoi limiti, ci prova.

La soluzione sarebbe tassare i veri ricchi. Secondo Tax Justice Network il gettito perduto ammonta a 212 miliardi dollari per l’Occidente allargato (e 492 per tutto il mondo): 348 sono profitti spostai all’estero e 145 nei paradisi fiscali. ONU e OCSE stanno lavorando per introdurre una imposta mondiale in modo che non possano sfuggire, ma sono proprio alcuni Paesi occidentali ad opporsi: Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Israele, Giappone, Corea del Sud, cioè il “nucleo duro” anglosassone (i primi 5 sono i “five eyes”) che hanno tra loro una speciale alleanza.
I paesi europei si accodano (come vassalli che non vorrebbero ma infine calano la testa di fronte al loro imperatore).

Come è possibile che ciò succeda se questo va a svantaggio dei Governi occidentali, i quali rischiano di mantenere le apparenze democratiche (libertà di parola, di voto, di spostamento, delle minoranze,…) ma falliscono nello scopo principale di allargare il benessere e la partecipazione popolare? Infatti ormai sono in rotta di collisone coi ceti operai che chiamano populisti?
Per Stefano Bartolini (insegna Economia politica all’Università di Siena) la globalizzazione ha mutato i rapporti di forza tra politica ed economia e oggi (ancor più che in passato) sono i ricchi business man che influenzano i decisori politici e finanziano le loro campagne elettorali (sempre più costose). I politici che vanno al Governo dipendono così da loro e il risultato è che i Governi occidentali proteggono sempre meno gli interessi nazionali e piuttosto quelli dei ricchi. Ciò spiega perché, come dice il Censis, il 48% degli italiani vorrebbe un uomo forte al potere. Negli Stati Uniti, in Inghilterra e anche in molti paesi europei è evidente e il caso patologico di Elon Musk negli Stati Uniti è lì a dimostrarlo, il miliardario più ricco al mondo che fino al 2020 appoggiava i Democratici e che ora è salito sul carro di Trump.

Succede la stessa cosa nelle democrazie autoritarie come Cina e Russia?

Emmanuel Todd (La sconfitta dell’Occidente, Fazi ed., pag. 354, 20 euro) scrive che la parola “oligarca” reca in sé la nozione di potere (arché) e non descrive più la realtà russa (né quella cinese).
Putin infatti dal 2003 ha lasciato agli oligarchi russi i soldi ma nessun potere di intervenire sulla politica, come ha fatto l’Ucraina di Zelenskij a partire dal 2023 (un Paese che si può definire a democrazia autoritaria come la Russia) e così la Cina taglia regolarmente le unghie ai suoi miliardari se non si allineano alle decisioni del loro Stato.
Ne sa qualcosa Jack Ma, ex capo di Alibabà, che da un giorno all’altro è stato defenestrato perché pensava di quotare nelle borse occidentali il suo Amazon cinese. In queste “democrazie autoritarie” o autarchie come la Cina i ricchi non hanno alcun potere di influenzare i politici (e ciò è positivo).

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I leader politici (attuali) occidentali che non capiscono nulla della Russia, si sono illusi non solo che si poteva vincere sulla Russia, ma che la rivolta dell’oligarca Prigozin (capo dei mercenari Wagner) potesse avere successo contro Putin.
Per Todd questa ignoranza sulle altre culture (che non c’era fino agli anni settanta) è una delle ragioni del declino in corso (irreversibile a suo parere) dell’Occidente e che diventerà più chiaro dopo la sconfitta in Ucraina.

Cover: le multinazionali nel mondo, immagine da bluerating.com

Per leggere gli altri articoli e interventi di Andrea Gandini, clicca sul nome dell’autore.

 

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.



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