Autonomia differenziata e diritto alla casa

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Assistenza per i sovraindebitati

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di Filippo Grendene

All’interno della crisi abitativa generale che si fa sempre più grave, a Padova come in tante altre città d’ Italia, la gestione dell’edilizia residenziale pubblica è un elemento centrale. In un sistema in cui lo Stato si fa carico di garantire il diritto all’abitare, le case popolari dovrebbero essere una delle leve principali per garantire la casa e calmierare i prezzi sul mercato degli affitti; se invece si liberalizza il diritto ad avere un tetto, è normale aspettarsi un ritrarsi dello Stato. Questo sta accadendo da decenni (ne abbiamo parlato QUI), a partire dall’assegnazione delle competenze sull’ERP alle regioni, prima forma di autonomia di cui possiamo oggi trarre le conseguenze politiche. La crisi abitativa però, oltre ad attivare dinamiche di resistenza popolare, obbliga i poteri periferici dello Stato, in particolare i comuni, a una riflessione – e un’azione – più articolata: sono le amminsitrazioni locali, infatti, che si scontrano con le conseguenze delle scelte statali, per le conseguenze oggettive che sfratti e povertà abitativa fanno pesare sulle politiche sociali e sulle necessità, morali e giuridiche, che un Sindaco deve affrontare. Ecco perché è utile osservare ciò che, nel comune di Padova, in questo ambito, è avvenuto durante il 2024.

ATER chiede (e otterrà) di vendere altre 300 case

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

La gestione delle case popolari in Veneto è affidata ad aziende pubbliche di diritto privato provinciali. L’ATER di Padova ha inoltrato alla commissione regionale la richiesta di vendita di altre 303 abitazioni (99 nel comune di Padova), oltre alle 500 comprese nel piano di alienazioni 2022-2027. Qui non c’è nulla di nuovo: il patrimonio pubblico viene venduto all’asta per fare cassa. D’altra parte, al netto di una gestione non sempre ottimale, ATER non ha altre possibilità: in mancanza di un serio finanziamento pubblico l’azienda non ha la possibilità di sostenersi economicamente da sola. L’esistenza  stessa delle aziende regionali risponde, da trent’anni, alla scelta dello Stato di dismettere l’ERP: senza effettuare scelte drastiche e impopolari si lascia morire, semplicemente, il settore in un lento dissanguamento.

L’Amministrazione Comunale chiede l’IMU

Contemporaneamente, è emerso pubblicamente un conflitto di cui si sussurra da anni: alcune amministrazioni comunali, in testa Padova e Treviso, vogliono chiedere alle ATER i pagamenti dell’IMU, fino ad ora non versati. Come mai? Si ragiona in punta di diritto: esiste un’esenzione dall’imposta per quelle case che hanno una finalità sociale, comprese quindi quelle di Edilizia Residenziale Pubblica; tuttavia – questa l’interpretazione dei comuni, suffragata da un chiarimento nazionale – perché ci sia finalità sociale evidentemente gli alloggi devono essere assegnati. Il comune fornisce pubblicamente numerose rassicurazioni nei confronti di ATER, azzera per il 2023 l’IMU dovuta sugli immobili locati, ma chiede – anche per parare una possibile accusa di danno erariale – la tassa dovuta per gli sfitti negli anni precedenti. Chiede anche che ATER fornisca con precisione i dati sulle tipologie abitative, utili a determinare l’imposta ma anche – si può forse leggere fra le righe – a fare chiarezza nella gestione dell’ente.

L’Amministrazione Comunale riprende in gestione il proprio patrimonio

Questo è forse il dato più interessante e significativo: dopo anni nel 2024 il Comune non rinnova le convenzioni con ATER, che fino ad ora aveva in gestione anche gli alloggi di proprietà comunale, e le affida a una società controllata, APS holding. In questo senso, le spinte sono state diverse: dai movimenti, dai comitati degli inquilini delle case ATER, ma anche da parti del consiglio comunale, segnatamente da Coalizione Civica. Oltre al risparmio, circa 400.000 euro annui, il Comune si aspetta un maggiore controllo su contratti e manutenzioni, nonché un migliore rapporto con gli inquilini. La legge regionale del 2017 sull’ERP prevede la possibilità per le ATER di gestire conto terzi una parte di patrimonio abitativo, ma evidentemente gli attriti con l’amministrazione, pur non pubblici, hanno portato a questa significativa svolta.

Cosa succederà?

Per leggere quel che accade, bisogna ricordare che i soldi sono pochi e da quest’anno saranno ancora meno. La diatriba sull’IMU, in questi termini, è – anche – un tentativo di minima redistribuzione delle poche risorse esistenti, in un contesto di grave povertà degli enti locali, soprattutto per quel che riguarda le politiche pubbliche. Ad ogni modo, il protagonismo che il Comune di Padova sta mettendo in atto, per quelle che sono le sue possibilità, è da leggere all’interno di una frammentazione grave delle funzioni dello Stato con la quale, quando si parla di autonomia differenziata, è d’obbligo fare i conti; e che ha delle conseguenze significative sullo stato sociale.

Come si è arrivati a questo? Si prende un tassello importante del welfare, in questo caso il diritto alla casa, fino al 1992 in capo allo Stato, e lo si frammenta: secondo le riforme degli anni Novanta, finito l’equo canone lo Stato avrebbe dovuto garantire il fondo per la morosità incolpevole e quello di sostegno all’affitto, mentre le regioni avrebbero gestito il proprio patrimonio edilizio autonomamente sviluppandolo secondo necessità; i comuni erano spinti a delegare una questione spinosa all’ente preposto, in Veneto le ATER, riferendosi ad esso nel momento delle assegnazioni. Nella pratica accade che lo Stato ha eliminato i fondi di sostegno all’abitare, la regione non finanzia le ATER lasciandole morire a poco a poco, con il patrimonio che invecchia e che non è più locabile, i comuni o non fanno niente o, come nel comune di Padova, qualcosa provano a fare, senza comunque avere la forza di affrontare strutturalmente la carenza abitativa e la crisi in cui siamo immersi.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Alla domanda su chi sia responsabile non si può che rispondere: lo Stato, la Regione, il Comune. Il che è particolarmente complesso su un piano politico, perché all’interno di una responsabilità così diffusa nessuno deve rispondere: nei fatti, la responsabilità non è di nessuno, non vi è cioè nessun eletto dai cittadini e nessun partito che debba rispondere pienamente della crisi abitativa in cui versiamo. Nonostante essa abbia delle radici molto chiare nelle scelte e nel clima politico (“Il privato è meglio!”, oppure: “investiamo nel social housing!” ) degli ultimi 30 anni. La frammentazione della responsabilità politica è una delle ricadute dell’autonomia differenziata, che in questi termini può essere intesa come potente leva per scardinare lo Stato Sociale senza fragore e tumulto, poco alla volta. Se siamo a buon punto anche per la sanità, una sorte simile potrebbe toccare alle altre competenze di cui le Regioni esigono l’assegnazione, Veneto in testa.



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