a dicembre situazione critica rispetto alla media 2011-2023

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Non è una delle stagioni peggiori, ma l’inizio di questo inverno si colloca già tra i peggiori per quantità di neve al suolo registrati dal 2011. Su tutto l’arco alpino, i mesi di novembre e dicembre sono stati avari di nevicate a tutte le quote ricordando le condizioni già vissute in anni definiti critici come il 2016, il 2022 e il 2023. Di conseguenza, le condizioni di innevamento sono ancora molto scarse rispetto alla media del periodo. I dati sono quelli diffusi ieri dalla Fondazione Cima, secondo cui in Trentino il mese di dicembre, rispetto alla media del periodo 2011-2023, ha fatto segnare un meno 69,15% di equivalente idrico nivale giornaliero, il cosiddetto Swe, acronimo inglese di Snow water equivalent, una misura che rappresenta la quantità di acqua derivabile dalla neve qualora venisse completamente fusa. Dato ancor più critico in Alto Adige che segna un meno 73,22% rispetto alla media dello stesso periodo. In entrambe le province il dato è superiore a quello medio nazionale: a dicembre l’Italia aveva un deficit di equivalente idrico nivale del meno 63%, dato confermato a gennaio, sempre rispetto alla media 2011-2023.

«Stagione al rallentatore»
«Le cause del deficit non sono uniformi lungo il territorio – spiega Francesco Avanzi, ricercatore della Fondazione Cima –. Sulle Alpi la mancanza di precipitazioni sta rallentando la formazione del manto nevoso, nonostante temperature relativamente fresche. Sulle zone appenniniche, invece, le piogge sono state più abbondanti, ma sono state vanificate da temperature più alte della media, portando la neve a fondere rapidamente». Una situazione che porta la Fondazione a parlare di «stagione al rallentatore», risultato di un inverno iniziato tardi, con un accumulo di neve che fin da novembre è rimasto sotto la media stagionale. Un trend che riflette la mancanza di eventi nevosi significativi nonostante temperature un po’ più basse rispetto agli ultimissimi anni.

A rischio le riserve idriche
A preoccupare non è solo l’impatto sulla stagione invernale e sull’economia locale che gravita attorno al turismo della neve, ma anche gli effetti che un inverno scarso di precipitazioni avrà sull’accumulo generale delle risorse idriche e, di conseguenza, sul livello di siccità delle stagioni successive. «L’importanza delle Alpi come serbatoi d’acqua naturale per l’Italia non può essere sottovalutata – spiega ancora la Fondazione –. Contributi idrici ridotti dai bacini alpini influenzano direttamente la disponibilità d’acqua per uso agricolo, civile e industriale, specialmente nei mesi primaverili ed estivi. I dati storici dimostrano che un inverno povero di neve si traduce spesso in una ridotta portata dei fiumi durante i mesi estivi, aumentando il rischio di siccità». Insomma, la neve di oggi è l’acqua di domani, ecco perché monitorare i dati della neve durante l’inverno è cruciale anche per stimare le risorse idriche che saranno disponibili nei mesi primaverili ed estivi.
Venendo ai dati della Fondazione Cima, i principali bacini fluviali come il Po e l’Adige hanno ad oggi accumulato circa un terzo della neve attesa entro i primi di gennaio, con un incremento che i ricercatori definiscono «lento e insufficiente rispetto agli anni passati». Al 10 gennaio il bacino dell’Adige è arrivato a 310 milioni di metri cubi di acqua sotto forma di neve: l’anno scorso il dato registrato lo stesso giorno era triplo, pari a 950 milioni di metri cubi di acqua sotto forma di neve (vale a dire, come spiegato in precedenza, il volume di acqua che si otterrebbe se tutta la neve oggi presente si sciogliesse completamente). La situazione, sempre al 10 gennaio, è leggermente migliore per il bacino del Po con 990 milioni di metri cubi a fronte dei 1.580 milioni registrati nel 2024.

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Cosa dicono le previsioni
Nonostante il panorama attuale, la Fondazione precisa come sia ancora presto per trarre conclusioni definitive su questa stagione. Le previsioni stagionali dell’European centre for medium-range weather forecasts, il centro europeo che si occupa di fornire previsioni operative che mirano a mostrare come è più probabile che il tempo meteorologico evolva, indicano sì, sul fronte delle temperature, un trimestre invernale più caldo della norma su tutta l’Europa, con temperature particolarmente elevate sull’arco alpino e l’area centro-appenninica. Tuttavia, per quanto riguarda le precipitazioni, si prevede una situazione media sulle Alpi. «Il picco di accumulo – spiega Avanzi – è previsto tra febbraio e marzo e questo ci dà ancora tempo per osservare sviluppi significativi».



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