Valore vigneti / Quel libitum della smodatezza: sull’Etna si specula sulla vendita dei terreni

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È il 2 gennaio. Nelle vigne del versante est si lavora la terra, si restaura qualche muretto a secco, il tutto sotto un sole che si riflette sul vulcano innevato. Accanto a me, Nicola, viticoltore e produttore, Alessio, guida naturalistica e sommelier, la mia compagna, mio fratello e sua moglie. A metà giornata, la videochiamata con il professore svizzero innamorato dell’Etna mentre stiamo ammirando la costa da Taormina in giù, arroccati su una tipica torretta al cui interno una vite centenaria di nerello mascalese è incastonata. “Für die Natur gibt es keinen Preis“, esclama subito Brunner, che significa “Non c’è prezzo per la natura“. Siamo una comitiva di sommelier e appassionati che ha scelto di trascorrere una giornata in mezzo alle vigne dell’Etna per scorgere i cambiamenti in atto. E così, vestiti i panni di inviati sul campo, partiamo.

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Iniziamo con qualche dato. Sull’Etna la superficie vitata è cresciuta del 70%. Le bottiglie prodotte sono quadruplicate, toccando quota 4 milioni. Più del 10% delle aziende è guidata da giovani under 40. Ma l’Etna Doc con i suoi mille e duecento ettari, con il 60% dei vigneti in biologico e i suoi 445 produttori, è ormai un fenomeno non solo enoculturale ma anche economico. Dall’ultimo rapporto del Crea (indagine sul mercato fondiario) l’areale etneo passa dalle quotazioni minime di 45 mila euro a quelle massime di 95 mila euro. I più informati sanno che, in realtà, le operazioni finanziarie si conducono e si portano a termine con diverse velocità e intensità.passeggiata tra i vigneti

Immondizia sulla strada tra i vigneti

Mentre con la comitiva ci spostiamo col Pick up in direzione versante nord, siamo impegnati a discutere sul fatto che la natura dovrebbe indurci ad essere più attenti alla custodia del creato per prevenire le conseguenze più gravi. Se, riflettendo sulle parole del professore svizzero, prima o poi la natura ci chiede un prezzo da pagare. Invece, ci rendiamo subito conto che continuiamo a comportarci come se questo pianeta fosse solo nostro. Senza pensare a chi verrà dopo di noi.
In un curvone, lungo la strada statale, si para dinanzi a noi una montagna del disprezzo: l’immondizia abbandonata qua e là è quanto di più ripugnante ci sia oggi giorno. È incoerente che convivano interesse verso l’Etna come area di pregio di vigneti e inciviltà verso la propria terra, ma questo è un altro argomento.

Il nostro arrivo in quella che è definita dai più profondi vignaioli la costa d’oro dell’Etna, una striscia di una ventina di chilometri con vigneti soleggiati e protetti dalla catena dei Nebrodi e la Valle dell’Alcantara, si fa subito interessante. Nicola ci mostra le sue parcelle in contrada Piano Filici. Qui nascono alcuni dei suoi vini più esemplari. Posizionato al confine del suo terreno si estende un appezzamento di vigna ad alberello incolto. Intende acquistarlo se non fosse che la figlia del proprietario ha cambiato le carte in tavola ad accordo raggiunto tra il venditore e l’acquisitore.tra le vigne

Si specula sulla vendita dei terreni

Insomma, per usare un’espressione dialettale, “a tavula era cunzata”. Ma sopra di essa non c’era abbastanza cibo per ingozzarsi. Troppo onesta ed eticamente ragionevole la proposta di acquisto del viticoltore, troppo ingenuo il venditore anziano e ormai disinteressato alla causa. Ecco allora l’arte dell’inganno, di “scunzari a tavola”, di speculare sull’affare. La nuova e pretenziosa richiesta si era triplicata. Ecco un chiaro esempio di come oggi sull’Etna si ragioni con diverse velocità e intensità.

Bisogna fare una premessa. Il prezzo di mercato di un ettaro di vigna, che sia Etna o un’altra regione vinicola, non è mai un calcolo statico. Cambia a seconda del valore catastale e di una serie di altri fattori (esposizione, destinazione, storicità). Prendete le Langhe, la zona di Bolgheri, solo per fare qualche esempio.

Vigneti: libitum della smodatezza

In alcune aree dell’Etna un ettaro vale poco più di 60 mila euro, in altre zone cifre importanti che sfiorano i duecento mila euro (ultimamente diversi ettari sia del versante est che nord sono state rivenduti a duecentoventi mila euro). La sensazione che emerge è questo “libitum della smodatezza”. Si direbbe a “tinchité”, del persistere di una fame atavica: oltre a quello che ti spetta, eccotene ancora. E questa fame non è solo quella del confinante ma soprattutto dei grossi affaristi. Così un ettaro di vigna venduto diventa subito oggetto di notizia.

Diciamolo: è il libero mercato che plasma il prezzo. Non bisogna per forza arrivare ad una conclusione che classifichi da un lato come cattivi chi vorrebbe mangiare di più e dall’altro indichi come buoni chi rimane con il desiderio di un pezzetto di terreno.
Dati alla mano, non è vero che non c’è un prezzo per la natura. Ora, per ristabilire l’ago della bilancia dalla parte del nostro ragionamento, bisognerebbe invece indagare se questi investimenti, giusti o smodati che siano, alla fine del gioco abbiano un impatto positivo sul territorio etneo, se favoriscano occupazione e sviluppo, oppure se costituiscano esclusivamente la fortuna del noto imprenditore, nazionale o internazionale, che investe sull’Etna.

Domenico Strano

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