Morte di un gettonista – Capitolo Settimo

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Chiusa la porta, Giacinto prende il telefono.
«Venite subito!»
Si riapre e compare la Squadra.
«Pasquale, ti presento i miei uomini: Ciro, Nicola, Stefania, Renato, Caterina, Elena. E lui è Pasquale, il mio dottore pediatra, che indagherà con noi, sia per la conoscenza delle persone, sia per la percezione dell’animo umano.»
«Giacinto, non esagerare.»
Il giardino della villa è tutto in fiore; le chiome dei tigli superano quelle dei Leyland che fanno da recinzione. Indosso una maglietta celeste. Siamo nel mese di luglio.
Appare all’improvviso la sagoma di un aereo scoperto che scivola lungo un binario, tanto da sembrare un treno.
Rapito da questo oggetto che vedo per la prima volta, mentre rallenta per poi fermarsi, ci salto sopra.
Mio padre è lì, poco distante, che mi osserva. Prima che possa proferire una parola, una grande cupola trasparente avvolge tutte le sedute e tutti i viaggiatori, e mi ritrovo a realizzare di essere prigioniero di questo aereo-treno.
Sono costretto a sedermi prima che la cupola mi colpisca la testa. L’oggetto misterioso, ma che poi tanto misterioso non è, riprende la corsa e, dopo non più di pochi minuti, decolla.
Mi rivolgo a una signora vicina a me e le chiedo:
«Questo aereo atterra a Crescone?»
«Certo! E poi?»
«Ad Orsinni!»
«Pasquale, Pasquale!» Mi sento strattonare. Mentre apro gli occhi… stavo sognando.
«Pasquale, ti sei addormentato?!»
«E così dobbiamo fare le indagini?» mi fa Giacinto. «Sveglia, non dormire!»
«Hai ragione», rispondo.
«Ciro, Nicola e Stefania, andate in ospedale alla ricerca dell’arma del delitto. Tu, Renato, Caterina ed Elena, andate dalla dottoressa Altomonte e convocatela in Questura perché le devo parlare.»
«Giacinto, tu mi hai sopravvalutato e, soprattutto, hai dato per scontato che io voglia rimanere qui. Ma io vorrei tornare a casa. Sono molto stanco ed anche impaurito da questa brutta storia, cui non solo non ero preparato, ma che sento molto più grande di me.»
«Dottore, io posso anche capirti, ma questo ruolo che ti ho proposto, cui ha acconsentito anche il mio superiore, è l’unica possibilità di farti sentire più a tuo agio. Altrimenti non solo non puoi tornare a casa, ma rischi di passare dalla parte del sospettato. Tieni presente che tu sei stato l’ultima persona con cui Mustafà ha parlato prima di essere ucciso.»
«Hai ragione!»
«A questo punto devo chiamare il signor Furio Occorsi, ma anche mia moglie e il mio avvocato Mariano.»
«Tu che dici, Giacinto?»
«E certo che lo puoi e lo devi fare; anche perché tra non molto sarai chiamato dal Magistrato.»
«Mariano, sono Pasquale!»
«Dottore, è sempre un piacere sentirti. Come stai?»
«Mariano, mi trovo invischiato a mia insaputa in una condizione difficile.»
«Che succede?» La sua voce si fa seria.
«Mariano, ricordi? Ti avevo accennato che da circa un mese, in veste di pediatra gettonista, sono entrato in questo circuito nazionale. E dopo il primo incarico a Marsegno, ora sono qui per il secondo incarico a Randolfi. Sono arrivato ieri intorno alle ore 11 e ho iniziato ufficialmente il turno alle 14.
La scorsa notte, intorno alle 3 del mattino, mi ha svegliato agitatissima la caposala della pediatria. Nel Nido c’era il cadavere sgozzato del giovane collega libanese Mustafà Rambaied.»
Silenzio dall’altra parte del telefono.
«Mariano, ci sei?»
«Dottore, io non sono un penalista.»
«Sì, lo so bene, ma ti ho chiamato perché tu mi possa dare qualche consiglio. Anche perché non solo io non c’entro niente con questa brutta storia, ma soprattutto perché qui, a svolgere le indagini, ho incontrato per fortuna Giacinto Licari, un mio ex paziente ora commissario di polizia, che con il consenso del Questore mi fa partecipare alle indagini.»
«Ma il magistrato ti ha interrogato?»
«No.»
«Ascoltami, ti consiglio di contattare un collega penalista. Non vorrei che il magistrato ti facesse delle domande a trabocchetto e poi decidesse una misura restrittiva per te.»
«Addirittura?»
«Purtroppo la legge è così.»
«Se è così, per il momento vieni tu. Se poi si dovesse presentare la necessità di chiamare l’avvocato penalista, sarai tu a consigliarmi chi.»
«Ok.»
Era arrivato il momento di chiamare Furio Occorsi.
Dopo le prime parole di stupore e di costernazione, quando dissi a Furio che molto probabilmente anche lui sarebbe stato coinvolto in questa storia, lui disse:
«Chiamo subito il mio avvocato!»
Mia moglie, che in altre circostanze mi aveva sempre considerato responsabile delle conseguenze delle mie decisioni, in questo caso così difficile disse:
«Adesso mi organizzo e vengo subito!»
Si erano fatte le 11:30, e la macchina dell’ingranaggio investigativo era appena partita. Certo, erano passate solo 8 ore dal ritrovamento del cadavere eppure avevo netta la percezione che la storia, che già si presentava complessa, fosse in realtà ancora più difficile da dipanare.
Per cui mi rivolsi a Giacinto e dissi: «Cui prodest?»
«Pasquale, è la prima domanda che mi sono posto.»
«Ma dimmi tu se sbaglio: non mi sembra un omicidio che fa comodo a qualcuno. Piuttosto un omicidio efferato per vendetta.
Il fatto è che, venendo da Beirut qui, di quali personaggi si è reso nemico? E poi: prima di arrivare qui a Randolfi, è stato a Marsegno, e quella è una zona di confine, dove vige la legge del taglione. Può aver commesso uno sgarro a qualcuno. Senza dire di questo ospedale: chi ha conosciuto, con chi ha parlato, chi può aver maturato in pochi giorni tanto odio da arrivare a commettere un omicidio?
Personale sanitario, personale amministrativo, genitori di bambini che potrebbe aver visitato al pronto soccorso, uomini o donne che ha incontrato dove andava a pranzo o a cena, o dove andava a dormire quando non era qui?
Ora, mentre aspettiamo la tua collega pediatra strutturata, ho il difficile compito di rintracciare i familiari del ragazzo.»
«Hai ragione, Giacinto. Hai ragione. E meno male che sono in pensione…»



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