In Francia i socialisti salvano l’anima a Bayrou a costo di spaccare il fronte a sinistra

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Solo 131 deputati hanno votato per sfiduciare il governo francese. Sarebbe bastata l’estrema destra di Le Pen a salvare Bayrou dalla caduta. Ma si sono aggiunti i socialisti, a salvargli anche l’anima. L’esito è deflagrante per la tenuta dell’unione di sinistra: il resto del Fronte ha sostenuto la sfiducia 

Solo 131 deputati hanno votato per sfiduciare il governo francese; ne sarebbero serviti almeno 288. Per numeri, sarebbe bastata l’estrema destra di Marine Le Pen a salvare Bayrou dalla caduta, ma si sono aggiunti i socialisti, a salvargli anche l’anima.

Il Rassemblement National – che ha avuto in pugno nascita e morte prematura del precedente governo Barnier – aveva già fatto sapere che non avrebbe votato la mozione di sfiducia, presentata su iniziativa della France Insoumise e sostenuta da tutto il Fronte popolare (insoumis, ecologisti, comunisti) tranne i socialisti. Questi ultimi – dopo aver oscillato (e negoziato) fino all’ultimo – hanno annunciato poco prima di arrivare all’Assemblea nazionale che non avrebbero sostenuto la mozione (solo 8 su 66 si sono distinti votandola).

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Non significa partecipare al governo – «restiamo all’opposizione», assicurano i socialisti – ma significa, a detta del loro leader Olivier Faure, «dare tutte le chance al negoziato», tentare «il compromesso».

La mozione e i voti

Mentre in cambio di qualche piccola promessa Faure e i suoi – con particolare entusiasmo di François Hollande e dell’ala che da sempre spinge verso i macroniani – fanno «compromesso» con il premier e con l’Eliseo che lì lo ha messo, intanto fanno deflagrare l’unione a sinistra. Uniti, insoumis, socialisti, ecologisti e comunisti non erano arrivati solo a rendere le presidenziali competitive per la sinistra, ma persino a diventare alle ultime legislative la prima forza.

Nominando prima Barnier e poi Bayrou, Emmanuel Macron ha escluso dal potere il Fronte, insistendo nella sua strategia di provare a frantumarlo. Con gli sviluppi di questo giovedì, si può dire che i socialisti abbiano consegnato a Macron una prima vittoria, oltre a salvare Bayrou dal risultare l’ennesimo che dipende solo dall’estrema destra.

«Il Partito socialista frattura il Fronte ma i socialisti capitolano da soli»: il fondatore della France insoumise Jean-Luc Mélenchon è corso a stigmatizzare la rottura; ma pubblicamente i socialisti tramite il loro portavoce non riconoscono nessun divorzio: «Restiamo all’opposizione, crediamo nell’unione a sinistra».

Gli insoumis sostengono il contrario, facendo leva sul fatto che la mozione sia stata da loro presentata perché Bayrou aveva evitato di chiedere un voto di fiducia, dunque «chi vota contro la sfiducia sta dando la fiducia al governo» (Éric Coquerel, LFI). Ma cosa dice esattamente questa mozione, che vede la capogruppo insoumise Mathilde Panot come prima firmataria e che è stata supportata anche da ecologisti e comunisti?

Che, «nominando Bayrou premier, Macron si mostra recidivo nel rinnegare la democrazia. Non ha tratto lezioni dal suo primo tentativo di eludere il voto dei francesi? Il governo Barnier era stato formato in nome della “stabilità istituzionale” e si è rivelato il più breve della quinta Repubblica, finendo sfiduciato dopo neppure tre mesi. Con Barnier come con Bayrou, non c’è maggioranza in Assemblea nazionale per tenere in vita il macronismo. Il fatto che il presidente si intestardisca nell’imporre governi minoritari fa perdere tempo prezioso al paese».

Seguendo la linea della discrezione motivata dalla morte del padre Jean-Marie, Marine Le Pen ha evitato di mettere la faccia sulla scelta di non sfiduciare Bayrou, col quale su svariati punti (dalle sorti giudiziarie al proporzionale) ha una certa intesa. Ha lasciato gli affondi in aula a Sébastien Chenu, che nel 2022 grazie ai macroniani aveva sfondato il cordone sanitario diventando vicepresidente d’aula. E che questo giovedì ha sostenuto: «Lei, Bayrou, meriterebbe di essere sfiduciato, ma la censureremo sui fatti». O, come disse l’Rn anche con Barnier, «non a priori».

Bayrou, il Fronte e il futuro

La durata del governo Bayrou, così come la tenuta finale del Fronte, dipende in sostanza da una variabile: le differenze interne alla sinistra si riveleranno tattiche o strategiche?

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Sin dal giorno della sfiducia al governo Barnier, Faure ha chiarito che socialisti e insoumis non avevano lo stesso approccio. Come confermato questo giovedì da Manuel Bompard in aula per la France Insoumise, l’obiettivo dei melenchoniani è «abbattere il monarca» ovvero porre fine all’era macroniana, in forza anche del rifiuto di Macron di accettare la vittoria elettorale del Fronte. Gli ecologisti rivendicano di «esserci sempre presentati nei luoghi in cui bisognava discutere» – un approccio più dialogante – ma mantengono un orizzonte di cambiamento radicale. L’incognita sta sul versante socialista: da tempo un versante hollandiano tenta di riavvicinare il partito ai macroniani e di sganciarlo dall’unione, ma finora Faure aveva evitato la deflagrazione.

Sostiene ora che «trattare non è vergogna» e rivendica che i negoziati abbiano portato a ridiscutere la riforma delle pensioni oltre che a qualche passetto di Bayrou (ad esempio sul numero di insegnanti da preservare). Ma dice anche che sul bilancio e sul resto tutto è da vedere: contempla l’ipotesi della sfiducia. Si tratta di vedere dai fatti se Faure si limiterà a posizionare il partito come il versante governista del Fronte, o cadrà nella trappola che hollandiani e macroniani hanno in mente: illudere i socialisti che non esista alternativa a sinistra possibile all’estrema destra. Falsa certezza che gli elettori stessi hanno confutato alle urne l’ultima volta.

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