Guerra nell’est del Congo, Kigali si smarca e Kinshasa silenzia i media

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Nell’ultimo mese gli scontri tra la milizia ribelle M23, sostenuta dal Ruanda, e le Forze armate congolesi, hanno visto una rinnovata escalation nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). L’M23 era riuscita ad avanzare massicciamente nella zona di Masisi nella provincia del Nord Kivu e a conquistare diversi centri abitati a pochi chilometri da Goma, ma lo scorso fine settimana un’offensiva dell’esercito congolese è riuscita a fermare l’avanzata della milizia ribelle, riconquistando diverse città. «I ribelli sono stati fermati e  respinti quasi ovunque» ha affermato il portavoce delle Forze armate della Rdc (Fardc), Guillaume Ndjike Kaiko.

Tutto questo avviene nel quadro di un accordo di cessate il fuoco in funzione da agosto ma che, già da settembre, non viene rispettato da nessuna delle parti in conflitto. Mentre continuano gli scontri, la comunità internazionale resta preoccupata per l’impatto umanitario delle violenze, che ad oggi hanno creato più di 7 milioni di sfollati e migliaia di morti. Le continue battaglie hanno reso inaccessibili molti villaggi, rendendo impossibile l’arrivo degli aiuti umanitari e del personale necessario «Stiamo facendo del nostro meglio per rispondere a questa situazione. Ma la grave mancanza di soccorritori umanitari nella zona sta rendendo le cose difficili» ha dichiarato Romain Briey, coordinatore di Msf nella zona di Masisi.

Se sul campo la situazione va sempre più degenerando, nelle sedi istituzionali i colloqui tra gli schieramenti sono immobili. L’ultima occasione per le delegazioni di Rdc e Ruanda di sedersi a un tavolo per negoziare la fine delle ostilità risale alla metà dello scorso dicembre, quando nella capitale angolana, Luanda, era atteso un faccia a faccia tra i due presidenti, Felix Tshisekedi e Paul Kagame. L’incontro si risolse in un nulla di fatto, la delegazione di Kigali che non si presentò dichiarando che non avrebbe partecipato ai colloqui senza che ci fosse la possibilità di un dialogo diretto tra Kinshasa e l’M23. Un punto, quest’ultimo, su cui il presidente ruandese è tornato a parlare la scorsa settimana esortando nuovamente il governo della Rdc a instaurare dei colloqui con l’M23: «Il Congo affronti i suoi problemi assumendosene le responsabilità», ha detto Kagame ai giornalisti. E sostenendo l’origine ugandese della milizia ha rigettato ancora le accuse, sostenute da diverse indagini delle Nazioni unite, di un appoggio logistico e militare di Kigali all’M23,

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Il presidente ruandese Paul Kagame durante la sua ultima conferenza stampa, lo scorso 9 gennaio, al Kigali Convention Centre (foto Yuhi Augustin/Ap)

Mentre la diplomazia racconta la relata che più conviene al narratore, la popolazione si vede chiuse le maggiori vie di informazione. Mercoledì scorso Al Jazeera ha pubblicato un intervista a Bertrand Bisimwa, capo della milizia M23, che ha portato il governo di Kinshasa a decidere di sospendere le credenziali stampa dell’emittente qatariota. L’intervista a Bisimwa equivale «a delle scuse per il terrorismo ed è totalmente inaccettabile», ha affermato Patrick Muyaya, portavoce del governo di Kinshasa, esortando i giornalisti a non «dare la parola ai terroristi». Il ministro della Giustizia, Costant Mutamba, tramite il suo profilo X ha rincarato la dose, affermando che chiunque riferisca «delle attività dell’esercito ruandese e dei suoi ausiliari M23, da adesso verrà punito dalla legge», anche se non esistono leggi in Rdc che vietino ai media di occuparsi dei gruppi ribelli.

La percezione è che non si debbano avere notizie che arrivano dall’altra parte della barricata e ne è una prova la scelta dell’organismo di regolamentazione dei media della Rdc, che la scorsa settimana ha ammonito tre organizzazioni giornalistiche francesi – Radio France Internationale, France24 e TV5 Monde – in merito alla loro copertura delle avanzate dei ribelli dell’M23 nel Congo orientale. Non si sono fatte attendere le critiche alla scelta repressiva del governo di Kinshasa, come quella del portavoce delle forze politiche di opposizione, Hervé Diakiese, secondo il quale la libertà di espressione significa «non solo dire cose piacevoli da sentire, ma anche cose che potrebbero dispiacere e avere il diritto di dirle».

 



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