Anziani che fanno una comunicazione giovane per i giovani? Ma mi faccia il piacere!

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 “C’è una crisi nel mondo del vino!” -oppure- “C’è una crisi nel mondo del vino?”

Tutta la filiera del mondo del vino ufficialmente usa la seconda frase ma ufficiosamente si riconosce nella prima. Quindi si vanno a cercare le cause di questa crisi e su una cosa sembrano essere tutti d’accordo: la colpa è dei giovani che non bevono vino, preferendo altre bevande, partendo dalle dolci bevande analcoliche per passare alla birra, ai cocktail, e arrivare ai superalcolici.

Visto che i giovani non bevono più vino di chi è la colpa? Un diretto e quasi dirompente articolo su Dissapore dà la colpa a noi anziani, che usiamo un linguaggio da anziani e monopolizziamo la comunicazione, cantandocela e suonandocela mentre la nave affonda. Andrea Lonardi MW, in una intervista al Gambero Rosso, trova motivazioni profonde per la disaffezione al vino mentre il mio caro amico Angelo Peretti sostiene papale papale che i giovani non bevono vino perché non hanno i soldi per comprarlo.

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All’interno di tutta questa importante discussione fatta sulla pelle di chi il vino lo produce e lo deve vendere io ancora non ho capito chi sarebbero questi giovani.

Lasciando da parte i minorenni, si sta parlando di quali generazioni? I ventenni e/o i trentenni? Ci mettiamo anche i quarantenni? Boh.

La comunicazione fatta da noi anziani è sbagliata e va rivoluzionata? Va bene ma come? Da una parte perdono peso giorno dopo giorno i giovani influencer, che in realtà pubblicizzano soprattutto se stessi e spesso di vino (nel senso che diamo al termine noi anziani, se vogliamo) non ci capiscono una mazza. Dall’altra i giovani esperti (indubbiamente bravi!) spesso scelgono un modo di comunicare ancora più tecnico e approfondito, spaccando il capello in 12, puntando sul prodotto esclusivo, parlandone, scrivendone e mostrandolo ai raggi X e magari pure Y. Quindi, mi ridomando, quale strada può essere seguita per parlare ai giovani?

Inoltre, ripeto, a quali giovani: i ventenni?

Forse la memoria mi fa cilecca ma quando quelli della mia generazione avevano tra venti e trent’anni, cioè fine anni ‘70, metà anni ’80 la nostra spesa per i vino era prossima allo zero. Capisco, allora non c’era ancora il boom del vino, e allora parliamo delle generazioni successive di ventenni. Quante di queste hanno avuto soldi in tasca per comprarsi tante buone bottiglie in modo tale da incidere in maniera importante sul mercato e quindi da creare l’attuale scompenso? Mi sbaglierò ma credo che non ci siamo mai state generazioni di ventenni assatanate sul vino, con una disponibilità finanziaria importante.

Se i ventenni hanno sempre inciso poco sul mondo del vino veniamo ai trentenni, quelli che magari un lavoro ce l’hanno ma hanno anche il mutuo, o l’affitto da pagare, magari un figlio o due. Questi in passato avevano i soldi per comprarsi del buon vino? Forse si, magari avevano anche un  potere di acquisto migliore di adesso e, last but not least, la curiosità di assaggiare qualcosa. Questa curiosità credo che nei trentenni sia venuta un po’ meno e sinceramente con tanti, troppi vini che si assomigliano, non posso nemmeno dargli torto.

A questa diminuzione di curiosità dovremmo e potremmo  “sopperire” noi giornalisti, ma noi giornalisti anziani parliamo in maniera antica, i giornalisti o comunicatori giovani spesso parlano in maniera ancor più tecnica, “anziana” e quindi superata, le guide sono buone ormai solo per sistemare tavolini azzoppati e quindi che facciamo, affondiamo tutti assieme?

Certo che no, ma per farlo dovremmo in primo luogo smetterla di generalizzare e di provare a travestirsi da moderni comunicatori. Lo dico in primo luogo per me stesso: io non so come parlare di vino a una persona di 20-30 anni se non nel modo che ho sempre usato e quindi è meglio che parli a chi ha almeno  45 anni, che forse si annida proprio qui la disaffezione più profonda verso il vino.

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Tutti noi abbiamo avuto dei maestri, qualcuno più grande che ci ha insegnato qualcosa, ma se “gli anziani” o più semplicemente le persone mature non hanno più voglia di comunicare il piacere del vino ai più giovani il rischio è di lasciare scoperto un campo dove la pubblicità massiva, che punta su  prodotti industriali dolci e accattivanti, può fare e ha già fatto danni inenarrabili.

Quindi il succo del ragionamento è che noi anziani, adesso, dovremmo o metterci da parte o trovare un modo diverso per comunicare con ventenni e trentenni? Forse non sarebbe più semplice fare un passo più breve,  giusto e logico: comunicare meglio con i padri e non con i figli e poi sperare che da cosa nasca cosa?

Utopistico? Forse ma se il giornalismo enogastronomico comunicasse per davvero, mettesse in campo  notizie e nozioni serie, intelligenti e stuzzicanti, sono convinto che il suo ruolo potrebbe essere importante, senza doversi per forza trasformare o ancora peggio camuffare in un qualcosa di indefinito e “giovane”.



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