Zotti, ANCE Genova: «Sarebbe importante avere una stabilità normativa in edilizia rispetto agli incentivi»

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La ripartenza passa per le infrastrutture e l’edilizia. E se vira verso la sostenibilità, tanto di guadagnato. A partire dal 2019, l‘Italia ha assistito a una significativa crescita del comparto delle opere pubbliche. Grazie in particolare al sostegno attraverso misure specifiche per il rilancio degli investimenti e al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Le costruzioni, infatti, hanno assunto un ruolo prioritario nel recupero dalla crisi pandemica e poi nell’avvio di un percorso di modernizzazione e sviluppo sostenibile del Paese.

La Corte dei Conti europea però ha evidenziato alcune difficoltà, confermate anche dal Governo a luglio 2024 nella Quinta Relazione sullo stato di attuazione del PNRR. In particolare, al 30 giugno 2024, viene registrato un livello di spesa complessiva pari a 51,4 miliardi di euro, corrispondente al 26% delle risorse europee disponibili (194 miliardi di euro) e al 45% dei fondi già incassati dall’Italia (113,5 miliardi di euro).

Edilizia e sostenibilità: il dopo-PNRR

Il settore delle costruzioni continua a rappresentare la componente più dinamica del PNRR, distinguendosi per una capacità di spesa maggiore rispetto alle altre misure del Piano. Sulla base degli ultimi open data rilasciati dal Governo, il 53% della spesa sostenuta (circa 27 miliardi di euro) è riconducibile a investimenti di interesse per il settore delle costruzioni. Una quota rilevante di tale spesa, circa 14 miliardi di euro, è relativa alle coperture del Superbonus. I restanti 13 miliardi costituiscono l’effettivo ammontare di spesa per opere pubbliche (Fonte: ANCE Genova).

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«La sostenibilità in edilizia è ormai un obiettivo consolidato sia nell’ambito degli appalti pubblici sia di quelli privati. Vengono imposti dei criteri di valutazione della sostenibilità ambientale proprio a partire dalla realtà delle aziende e dai prodotti che vengono utilizzati. Se una volta era facoltativo, o comunque una scelta del cliente privato, richiedere determinate certificazioni, oggi le imprese sono sempre più portate a intraprendere percorsi di sostenibilità. A partire dalla scelta dei materiali, fino ad arrivare all’adesione a protocolli di qualità certificata. I materiali, ad esempio, devono essere tutti qualificati e certificati, non più solo dal marchio CEE, ma anche con caratteristiche ben più specifiche, legate al ciclo vita del prodotto e alle quantità di riciclato presente. Nel frattempo molte aziende, soprattutto quelle associate, che fanno lavori più strutturati e massicci, hanno parallelamente iniziato percorsi di formazione. Al di là dei criteri ambientali minimi imposti dalla normativa europea, siamo sempre stati sensibili al tema e attenti a ciò che veniva e viene portato in cantiere», dice Sarah Zotti, Vicepresidente dell’Associazione Dei Costruttori Edili (ANCE) Genova.

E la questione rifiuti?

«Da tempo disassembliamo tutto ciò che va in discarica, perché non possiamo, per esempio, mischiare il cartongesso con il ferro. Poi, sono subentrate le verifiche di qualificazione legate alla percentuale di riciclato che ogni impresa si impegna a ottenere dal materiale da demolizione e da rifiuto. Ci sono codici specifici che vengono inseriti nei documenti di trasporto e che dimostrano l’impegno a riciclare almeno più del 70% di ciò che esce dal cantiere. Questa è la grande rivoluzione, secondo noi, perché contribuisce in maniera importante all’economia circolare».

Quali sono i materiali utilizzati in edilizia?

«Nel restauro, sono importanti quelli a base calce, che quindi non usano malte cementizie. Si predilige anche l’utilizzo del legno, che deve essere certificato da filiere che non impattano sui terreni boschivi. Poi ci sono tutti gli allumini che arrivano al 100% di riciclaggio, dal momento che questa filiera è molto smart dal punto di vista dell’economia circolare. Per il resto, utilizziamo materiali molto semplici come il laterizio o il ferro, che hanno caratteristiche a basso impatto ambientale».

Ci sono destinazioni d’uso specifiche?

«In Italia si realizzano poche nuove costruzioni, eccezion fatta per Milano, che rappresenta un caso a sé. In generale, le nostre imprese sono impegnate nella ristrutturazione, nel risanamento conservativo, nelle ricostruzioni parziali, tutte attività in cui da qualche tempo si applicano i criteri ambientali minimi e che adottano metodi di certificazione».

Qual è lo stato del comparto delle costruzioni?

«Con il 2024 si può dire che sia terminato definitivamente il Superbonus 110%, strumento che è stato un volano per un rilancio del nostro settore nel periodo post COVID-19. Nel pubblico, le nostre imprese sono al momento impegnate prevalentemente sui fondi del PNRR, spesso legati a importanti interventi di rigenerazione urbana, che però sono in scadenza nel 2026. Ciò significa che, per permettere la rendicontazione alle stazioni appaltanti, i cantieri dovranno essere finiti al massimo entro il 31/12/2025. Siamo in attesa di capire che cosa succederà dopo il PNRR, in questo momento non intravediamo da parte dello Stato una pianificazione strutturale che invece come sistema ANCE chiediamo da molti anni. Per strutturarsi in maniera consolidata, le imprese hanno bisogno di avere la possibilità di fare dei piani economici finanziari da 3 a 5 anni… Il Mercato privato, invece, negli ultimi anni si è concentro sulla ristrutturazione di condomini sfruttando anche l’occasione del Superbonus 110%. Di conseguenza, oggi registra un calo».

Quali sono i principali cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nell’edilizia?

«Siamo usciti da un periodo di fortissima crisi che ha caratterizzato il settore dal 2008. Eravamo in leggera ripresa intorno al 2019, ma poi c’è stata la pandemia che ha di nuovo arrestato tutto. Dopodiché, abbiamo avuto un picco molto positivo legato proprio al Superbonus 110% e ai finanziamenti in arrivo per la riqualificazione. Molto spesso, dopo una guerra o una pandemia, l’economia del nostro Paese è ripartita proprio dall’edilizia. Soprattutto in Italia, è una filiera che coinvolge moltissime famiglie con una forte incidenza sul PIL. Per rispondere al picco di lavoro innescato dal 110% è stato necessario un grandissimo sforzo per la formazione di maestranze. Dopo dieci anni di depressione del settore non avevamo avuto la possibilità di formare giovani da immettere nel sistema. Non era un Mercato evidentemente attraente. Di contro, oggi stiamo facendo un grandissimo lavoro nelle scuole, per immettere nel nostro circuito giovani professionisti; per questo è fondamentale che lo stato dia continuità al nostro settore, che è fortemente impegnato anche dal punto di vista sociale nell’impiegare manodopera specializzata».

E poi?

«Sarebbe importante, ripeto, avere una stabilità normativa rispetto agli incentivi. Non dimentichiamoci che entro il 2030 e poi nel 2050 abbiamo degli obiettivi, promossi dall’Unione Europea, che ci impongono di migliorare in maniera significativa le prestazioni energetiche dei nostri immobili. E questo nel nostro Paese non può accadere se lo Stato non si rende parte attiva: il frazionamento della nostra proprietà non ha eguali in Europa. Per noi, quindi, raggiungere quell’obiettivo è estremamente difficile, considerando anche che abbiamo moltissimi edifici che gravitano nei centri storici, dove ci sono forti vincoli di soprintendenza. È altresì evidente che il privato non può fare questo sforzo tutto da solo. Auspichiamo quindi un progetto più coeso da parte dello Stato».

Quali sono stati gli strascichi del Superbonus?

«Numerose imprese hanno subito gli effetti devastanti dei crediti incagliati, dovuti alla progressiva stretta, anche retroattiva, del sistema incentivante e conseguente crisi di liquidità. Alcune situazioni, particolarmente complesse, hanno richiesto alle Imprese significativi sforzi operativi e gestionali per portare a termine i lavori nel rispetto delle pattuizioni contrattuali e poter recuperare adeguati livelli di solidità. Noi abbiamo sempre sostenuto che il 110% sia stato uno strumento emergenziale che ha dato un forte impulso al settore e al Paese, oltre ad aver contribuito al reale efficientamento energetico degli edifici. Di contro, le continue modifiche alla regolamentazione non hanno agevolato il lavoro delle nostre imprese. Chiusa la stagione del Superbonus, è opportuno che lo Stato sviluppi strumenti di incentivazione efficaci, basati su principi sostenibili e con una regolamentazione stabile che permetta pianificazioni industriali almeno quinquennali».

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Qual è stato l’apporto nel mondo dell’edilizia, in termini di innovazione?

«Tutto ciò che semplifica per noi è positivo. Ci sono due componenti che caratterizzano le imprese di costruzione. Una è la parte gestionale, per cui l’intelligenza artificiale, le nuove tecnologie e gli ambienti smart ci permettono di velocizzare o di implementare il lavoro. L’altra è il cantiere, dove si lavora con le mani. Questo non deve mai essere dimenticato. Molto spesso l’accelerazione che l’innovazione porta non è compatibile con una professione come la nostra, molto manuale».

Quali sono le prospettive per il comparto edilizio?

«Continuare a crescere in maniera graduale, affrontando le nuove richieste. La rigenerazione urbana (della quale parliamo in modo approfondito in Analisi in prima pagina) è centrale. Non si tratta solo di riqualificazione degli edifici, ma è anche sociale e impatta su chi abita e vive nei luoghi di trasformazione. C’è il tema dell’appalto pubblico e quindi di tutto ciò che comporta la trasformazione degli edifici, come scuole e ospedali, che hanno bisogno di una manutenzione costante. Infine, a ciò si sommano le opportunità offerte dalle infrastrutture e la sfida del dissesto idrogeologico».                  

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📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 15 gennaio 2025 de il Bollettino. Abbonati!





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