«In Siria tra le macerie per costruire il futuro» – Foto 1 di 6

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CREMONA – Ne parla ancora con un certo sgomento: ha voluto andare a vedere di persona, per capire cosa succedesse in Siria dopo la caduta di Assad, nel paese in cui Still I Rise ha aperto una scuola d’emergenza per gli sfollati interni del conflitto, ad Al Dana, nella Siria nord occidentale. Nicolò Govoni, insieme a Giovanni Volpe e Giulia Cicoli, ha raggiunto via terra Damasco: «Quando abbiamo deciso di partire non era possibile raggiungere la Siria in aereo – racconta l’attivista cremonese —, abbiamo fatto scalo a Beirut e in macchina abbiamo raggiunto Damasco».

Quali sono state le prime impressioni?
«Il nuovo governo di transizione, guidato da Muhammad al Bashir, era in carica da tre settimane quando a fine dicembre abbiamo deciso di vedere quale fosse la situazione in Siria, anche per immaginare uno sviluppo della nostra presenza in quel Paese. Siamo entrati in Siria senza alcun problema. In quei giorni si poteva entrare senza controllo alla dogana. Si capiva che il territorio non era presidiato. Ma l’aspetto che più ci ha sconvolto è stato il silenzio: è stato come attraversare un paese fantasma».

Perché?
«Perché se si escludono Damasco e la regione di Idlib, l’unica controllata dal Hayat Tahrir al Sham (HTS, il più importante gruppo anti-assadista), la Siria è un paese vuoto. Su 23 milioni di abitanti, in 14 milioni sono fuggiti a causa del regime di Assad. Colpisce il silenzio, colpiscono le case vuote, i villaggi deserti, le città distrutte».

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Damasco è differente?
«Lo è, perché era la sede del governo di Assad. È una città bellissima, elegante, che non rispecchia la devastazione che caratterizza l’intero Paese. Così come la regione di Idlib, governata dal movimento che oggi ha scacciato Assad, è altra cosa rispetto al resto della Siria. È una regione ricca, molto occidentale ed economicamente sviluppata. Ma città importanti della Siria come Aleppo non ci sono più: sono completamente distrutte. Sono questi grandi contrasti che rendono un’impresa titanica pensare alla ricostruzione del Paese».

In un video la si vede entrare nella prigione di Sednaya: che impressione ha avuto muovendosi in quell’edificio abbandonato?
«Siamo potuti entrare senza problemi, non c’era alcun presidio. All’interno c’era ancora l’odore delle persone ammassate, c’erano corpi abbandonati, vestiti e oggetti di uso quotidiano. Ho avvertito un tanfo insopportabile e un silenzio agghiacciante, aspetti difficili da dimenticare. In tutto questo abbandono mi sono chiesto quanti documenti e prove degli orrori commessi dal regime spariranno o verranno cancellati. Quella prigione odora ancora della violenza e della sopraffazione che l’uomo è capace di fare al proprio simile. La Siria è oggi come quella prigione».

Cosa intende dire?
«Cristallizzata, ferma, attonita. Ci sarà bisogno di un piano Marshall per ridare vita a questo Paese. I segnali di dialogo li abbiamo avuti anche noi come organizzazione Still I Rise. Il 1° gennaio siamo stati ricevuti dal ministro dell’Istruzione».

Che impressione avete avuto dall’incontro con il responsabile del dicastero?
«Vogliono dimostrare di non avere nulla a che fare con i Talebani, ma non nascondono la loro natura conservatrice e fedele alle norme dell’Islam. A me e a Giovanni il ministro ha stretto la mano, non lo ha fatto con Giulia. L’85% dei siriani è conservatore e il governo che ha spodestato Assad si ispira ai valori dell’Islam. Abbiamo avvertito una volontà di dialogo con l’Occidente, ma senza voler svendere i propri principi. Il sostegno che si potrebbe dare alla ricostruzione del Paese non deve voler dire colonizzazione e negazione dei valori in cui i siriani si riconoscono».

Di cosa avete parlato con il ministro?
«Abbiamo accennato al futuro della nostra scuola di emergenza che, nella normalizzazione verso cui dovrebbe avviarsi la Siria, potrebbe diventare una scuola d’eccellenza: ambire al baccalaureato, come avviene già in Kenya. Certo, le difficoltà non mancherebbero».

A cosa si riferisce?
«Ovviamente ad alcune caratteristiche del sistema di istruzione siriano, che prevede una netta distinzione fra maschi e femmine, aspetto non tollerato dal processo che porta o dovrebbe portare alla nascita di una scuola di eccellenza. In realtà fino al 2012 ad Aleppo c’era una scuola di eccellenza, cancellata poi dal regime di Assad, un precedente importante. Abbiamo trovato un interlocutore disponibile. Ci siamo anche offerti per mettere a disposizione il nostro staff di insegnanti e formatori per la ricostruzione del sistema di istruzione siriano. Se nascerà una fattiva collaborazione lo vedremo nelle prossime settimane».

E a proposto della nascita della scuola in Italia?
«Abbiamo avuto una positiva interlocuzione con il sindaco di Napoli, ma per ora indicare l’effettiva fattibilità è prematuro».

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