“I bambini oggi sono dei tiranni. Contraddicono i genitori, ingoiano il loro cibo, e tiranneggiano i loro insegnanti”. Questa frase di Socrate risale a circa 2500 anni fa, ma appare inequivocabilmente moderna, come se descrivesse una fotografia dei nostri tempi; come se il rapporto genitore figlio, dopo aver affrontato diversi stadi evolutivi fosse tornato al punto di partenza, percorrendo un ideale circolo vizioso.
L’evoluzione del modello genitoriale
Nel tempo, dal modello patriarcale in poi, si è passati dall’imposizione dell’autorità genitoriale, negazione indiscutibile di ogni confronto, all’autorevolezza, percepita e riconosciuta, la cui legittimità consentiva uno scambio dialettico all’interno di vincoli ben definiti, in cui i due ruoli, quello genitoriale e quello filiale si riconoscevano a vicenda. Attualmente la situazione sembra virare verso una delegittimazione di quel rapporto a favore, per quanto riguarda i figli, di una valorizzazione della relazione con i coetanei, all’interno di un processo molto complesso di costruzione identitaria e personale.
Tale congiuntura di eventi provoca un eccesso di accudimento e giustificazione da parte dei genitori verso una generazione che non accetta più il divieto o l’indirizzo comportamentale, incapace di gestire le frustrazioni e le difficoltà che la vita in futuro gli porrà davanti.
Il rischio dell’eccesso di protezione
Il rapporto tra genitore e figlio è diventato simmetrico, le distanze dei retaggi culturali del passato fatte di silenzi e acritica obbedienza hanno lasciato il posto al confronto, un’evoluzione che appare sensata e emancipa il concetto di famiglia da quelle chiusure che negavano il rapporto stesso in quanto tale. Tuttavia tale processo troppe volte diventa eccesso di protezione, rincorsa irrazionale verso dei figli che diventano sfuggenti, anaffettivi e contempla il rischio che il figlio guadagni un amico e un avvocato difensore, pronto per ogni occasione, ma perda una guida imprescindibile nel proprio percorso di crescita, che indirizza e monitora il processo di costruzione della personalità. Il genitore si trasforma in una figura complice e confidente che non aiuta il figlio, ma anzi ne ostacola l’indipendenza[1].
Le soluzioni generalizzanti sono sempre cieche e molte volte inefficaci, ma i genitori non sono coetanei e il confronto, anche se animato, deve esserci. Esso serve a ripristinare la giusta distanza e l’organizzazione educativa che, in un rapporto di subordinazione equilibrata, consenta ai genitori di mettere dei paletti limitanti in cui i secondi attori, i figli, possono esercitare quella libertà necessaria a una futura emancipazione che non deve essere però prematura e, in quanto tale, castrante rispetto alla costruzione di un individuo strutturato e socialmente integrato[2].
Le negazioni e i divieti, quando servono, non devono essere percepiti come sconfitte ma come step necessari per giungere al compimento di una piena maturità soggettiva e profondamente sociale.
L’impatto delle tecnologie digitali
Il rapporto genitore-figlio ha subito anche l’invasività delle nuove tecnologie che hanno dato vita a nuove forme di espressione, di esperienza e di socializzazione[3]. L’eccesso e la dipendenza nell’utilizzo dei device digitali, come lo smartphone, può depauperare irreparabilmente il rapporto stesso, stimolando isolamento, esclusione e interruzione della comunicazione face to face, elementi che si riassumono nel cosiddetto phubbing.
Tali fattori di fatto negano il raggiungimento di un’identità emotiva e personale compiuta che consiste nell’acquisire nuovi ruoli con compiti e responsabilità diverse da parte di tutti soggetti in campo, ma soprattutto impediscono la realizzazione di un giusto compromesso tra tradizione e cambiamento all’interno del processo educativo.
Il concetto di adultescenza digitale
L’adultescenza è una nuova condizione esistenziale e sociale, un neologismo che definisce coloro che, pur avendo raggiunto biologicamente l’età adulta, presentano un’identità con tratti e abitudini adolescenziali[4].
La fluidità baumaniana[5] della realtà contemporanea, in cui cambiamento e indefinitezza ne rappresentano la cifra identitaria, porta con sé una serie di mutamenti strutturali nel percorso di costruzione della personalità che meritano attenzione, ascolto, analisi, ricerca delle motivazioni e, quindi, delle possibili soluzioni.
Dal punto di vista antropologico, secondo Van Gennep[6], adultescente è chi ha mancato un passaggio importante, ossia la transizione all’età adulta è avvenuta in modo incompleto, complice il depotenziamento nella postmodernità dei riti di passaggio. Questi, storicamente presenti in tutte le culture, hanno sempre rappresentato un dispositivo che aiuta l’individuo a mutare il suo status con l’intervento attivo della comunità, in quanto ci alfabetizzano su quali siano i valori fondamentali e condivisi in una società, poiché sottolineati nel rituale stesso: la nascita, il passaggio della pubertà, la formazione della famiglia, la morte.
Oggi i riti di passaggio appaiono depauperati, segno che la maggior parte di essi viene percepita come reversibile. Si tratta, più che di passaggi veri e propri, di attraversamenti bidirezionali, consentendo di mantenere la flessibilità necessaria ad adattarsi ai cambiamenti che la nostra società richiede. Infatti, ciò che era ritenuta una risorsa in passato, ossi la solidità identitaria e relazionale, viene percepita come un rischio, poiché potrebbe involontariamente condannare l’individuo a un destino di precoce obsolescenza, con l’esclusione da opportunità che potrebbero affacciarsi all’orizzonte.
Perché i confini tra genitori e figli sono più sfumati
Nelle famiglie attuali, che Zygmunt Bauman definirebbe liquide[7], i confini tra genitori e figli sono più sfumati di una volta in quanto vengono meno non solo gli apparati normativi, ma anche le necessarie definizioni dei ruoli, con i rispettivi contenuti semantici. Per queste motivazioni per i genitori, è sicuramente molto più difficile prevedere quando finalmente i figli entreranno nel mondo adulto.
Forse oggi l’unico caposaldo fattuale che sancisce l’uscita dalla famiglia di origine rimane la formazione della coppia e la creazione di una famiglia propria, unico vero simbolo dell’uscita dall’adolescenza. Maternità e paternità, da sempre considerati parametri fondamentali di tale percorso, sono però soglie evolutive caratterizzate da un’età sempre più avanzata, suscitando ulteriori cambiamenti nei processi educazionali e socializzatori.
Tali nuove figure genitoriali spesso continuano a dipendere, parzialmente o totalmente, dalle proprie famiglie di appartenenza sul piano economico e organizzativo. Contingenze che incrementano precarietà anche identitaria alimentando instabilità psicologica.
È in costante crescita, come detto, il numero delle persone che restano nella casa dei genitori oltre i trent’anni, e di quelle che vi fanno ritorno dopo un fallimento relazionale o lavorativo: tutto ciò appare come un’esteriorizzazione rappresentativa di una sostanziale assenza di strutturazione sociale prima e individuale poi in senso identitario.
L’adolescenza, in sintesi, persiste, e tende a ripresentarsi, come fosse un momento esistenziale che si perpetua o si può ripresentare senza soluzione di continuità.
I genitori adultescenti difficilmente riescono a esercitare le fondamentali funzioni di guida verso i loro figli, non essendo capaci, nella maggior parte dei casi, di instaurare un rapporto maturo di sinergia con l’altro genitore, anche durante la convivenza.
Storicamente, quindi, si è passati da una generazione di genitori autorevoli a una composta da adulti deboli e remissivi, con cui i figli instaurano una relazione quasi paritaria, sovvertendo ruoli e gerarchie cristallizzati in gerarchie valoriali accettate da sempre.
Tale fenomeno racconta una realtà complessa e variegata: giovani che vivono con i genitori e che vedono il matrimonio come un ostacolo alla propria irrinunciabile indipendenza, sostenuta economicamente dai genitori stessi, concretizzando una crescente infantilizzazione che connota la nostra società. Una sorta di continuo presente, caratterizzato da estetiche e stili di vita giovanili.
Il mondo social: prospettive e scenari futuri
Nel processo di socializzazione i social network hanno raggiunto una centralità che è diventata, nel tempo, protagonismo; strumenti, questi, che hanno rivoluzionato in modo invasivo il modo di vivere, di comunicare e di relazionarsi con gli altri; hanno modificato il modus pensandi degli individui, le tipologie di formazione e di lavoro in diversi ambiti. Tuttavia, il mutamento più rilevante ha riguardato le esistenze, le persone e la società che le contestualizza[8].
I social network rappresentano un fenomeno di intenso livellamento sociale, perché anche sei i nativi digitali, come afferma Mark Prensky[9], sono gli attori principali di tali scenari, questi ultimi catalizzano una grande attrazione anche per i componenti delle generazioni precedenti, i genitori, i quali, anche se nati in un mondo prettamente analogico, desiderano imparare questi nuovi linguaggi e abbracciare le conseguenti dinamiche socializzatrici, neutralizzando, a volte con difficoltà, il pericolo dell’esclusione[10]. Quindi, anche in futuro, il mondo social non sarà popolato esclusivamente solo da utenti post-millenials[11], o da membri delle generazioni zeta o alfa ; le ricerche[12] dimostrano con fermezza che anche gli adulti tentano una sorta di colonizzazione di queste piattaforme, con tutte le criticità del caso:
- un’emorragia dei nativi verso nuovi social per preservare quell’indipendenza percepita in ambito virtuale messa in pericolo dalla presenza genitoriale frequenza.
- la mancanza di una competenza tecnica, prerogativa dei nativi, che di fatto ne limita fortemente l’esperienza fruitiva.
Nativi e immigrati attualizzano un utilizzo diverso delle nuove tecnologie.
Nativi digitali
- comunicare e socializzare con il gruppo dei pari;
- iniziare, intensificare o chiudere rapporti personali;
- Eliminare barriere spazio-temporali nella relazione;
- Distrarsi dalla quotidianità e coltivare la dimensione ludica.
Immigrati digitali
- Migliorare la partecipazione sociale;
- Stimolare la comunicazione tra generazioni diverse;
- Consultare più fonti informative per tenersi aggiornati.
I social network, inizialmente di “proprietà esclusiva” dei figli è stato progressivamente “invaso” dalla presenza dei genitori. Mentre i primi, cresciuti in una digitalizzazione imponente, possiedono naturalmente un’innata abilità nel loro utilizzo, i secondi, al contrario, hanno trascorso la propria crescita, e la conseguente socializzazione, nel microcosmo socio-familiare o in luoghi prettamente fisici come la scuola e la piazza, realtà catalizzatrici di formazione e relazione diretta[13].
La differenze di fruizione riguardano le modalità in cui vengono utilizzati: i nativi prediligono Instagram o tik tok e tendono a esteriorizzare e condividere la propria vita con i follower attraverso l’autorappresentazione e la glorificazione dell’immagine in quanto tale, mentre gli immigrati sono ancora fedeli a Facebook, dove l’immagine è importante ma sopravvive una parola che conserva tutto il suo deflagrante potere comunicativo.
I figli sono abituati a utilizzare social network, a coglierne tutte le potenzialità, per loro è una pratica estremamente normale, depauperando, di fatto, l’entusiasmo iniziale che accompagna le novità, e adesso si ritrovano a confrontarsi costantemente con una realtà che è diventata ordinaria. Tale entusiasmo si è trasferito nella controparte genitoriale, felice di aver raggiunto il mondo digitale inizialmente temuto e sottovalutato a livello esperienziale. Quindi entrambe le categorie si possono definire social, tuttavia è utile comprendere come vivano e vivranno rispettivamente l’appartenenza a questa comunità digitalizzata.
Il confronto generazionale tra genitori e figli mostra:
- Sia genitori sia i figli utilizzano soprattutto lo smartphone per collegarsi in rete;
- Entrambi, grazie al digitale, implementano un senso di appartenenza a cui non riescono a rinunciare e che,a volte sfocia, nella dipendenza;
- I genitori ignorano il concetto di popolarità sui social, che invece guida le azioni dei figli;
- I figli sono più consapevoli del target a cui si rivolgono con i loro content, scegliendo con cura il registro verbale e non verbale. I genitori invece si esprimono con più superficialità, non tenendo conto né del contesto, né della piattaforma in cui si agiscono[14].
In questo senso ci sono segnali che preconizzano un futuro in cui la situazione modificherà i suoi equilibri e la presenza digitale genitori potrebbe soverchiare quella filiale, costituendo una nuova egemonia social, anche per una mera questione fisiologica e diacronica: I figli diventeranno genitori a loro volta.
Conclusioni
Il mondo dei social ormai è a tutti gli effetti conteso tra le due generazioni: genitori e figli. Le differenze di utilizzo e di fruizione non devono inficiare un futuro fatto di scambio, incontro, confronto in cui entrambi abitino uno scenario digitale comune senza abbandonare definitivamente quello reale, più profondo, diretto ed emozionale.
Altro aspetto fondamentale per il futuro prossimo è quello di incentivare una nuova visione del digitale come terreno immateriale di incontro tra generazioni, scenario mai divisivo e catalizzatore di competenza sociale e tecnica condivisa.
Per la prima volta nella storia dell’umanità sono i figli a poter insegnare qualcosa ai genitori, ma questi ultimi devono ricollocarsi all’interno di questo nuovo scenario, appropriarsi di un linguaggio che è cifra identitaria dei nativi per attivare strategie di comprensione, dialogo ma soprattutto per accompagnarli in processo di socializzazione sempre più fluido che dura tutta la vita.
Bibliografia e note
Airoldi P., Famiglie connesse. Social network e relazioni familiari online, in Media Education. Studi, ricerche, buone pratiche, Centro Studi Erickson, Trento, vol. VI n. 1, 2015.
Amaturo E., Savonardo L., I giovani: la creatività come risorsa, Alfredo Guida Editore, Napoli, 2006.
Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari 2006.
Cicolani F., Millennials, La Corte Editore, Torino 2017.
Dubar C., La socializzazione. Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna, 2004.
Magnante P., Savino S., Società, cultura, socializzazione, SaMa, Roma, 2017.
Marescotti E., Adultescenza e dintorni. Il valore dell’adultità, il senso dell’educazione, Franco Angeli, Roma 2020.
Marinelli, Networked famiglie, in E. Scabini, G. Rossi (a cura di), Famiglia e nuovi media, Vita e Pensiero, Milano, 2013.
Mastromarino R., Genitori e figli: crescere insieme, Erickson, Trento 2019.
McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2008
Prensky M., La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson, Trento 2013.
Rivoltella P. C., Nuovi Alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale, Editrice Morcelliana, Brescia, 2020.
Van Gennep A., I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2012.
[1] Luzi M., Manuale di sociologia generale, Edicusano, Roma, 2019.
[2] Mastromarino R., Genitori e figli: crescere insieme, Erickson, Trento 2019.
[3] Magnante P., Savino S., Società, cultura, socializzazione, SaMa, Roma, 2017.
[4] Marescotti E., Adultescenza e dintorni. Il valore dell’adultità, il senso dell’educazione, Franco Angeli, Roma 2020.
[5] Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari 2006.
[6] Van Gennep A., I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2012.
[7] Bauman Z., op. cit.
[8] Luzi M., op. cit.
[9] Prensky M., La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson, Trento 2013.
[10] Riva G., Nativi Digitali. Crescere ed apprendere nel mondo dei nuovi media, RCS MediaGroup S.p.A. Divisione Media, Milano, 2023.
[11] Cicolani F., Millennials, La Corte Editore, Torino 2017.
[12] Dati consultabili su https://www.minori.gov.it/it/notizia/nuove-generazioni-sempre-piu-digitali-e-multiculturali-indagine-istat.
[13] Magnante P., Savino S., Società, cultura, socializzazione, SaMa, Roma, 2017.
[14] Riva G., Nativi Digitali. Op. cit.
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