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Gli studenti in Serbia tornano protagonisti: da oltre un mese sono scesi in piazza, dopo che alcuni di loro erano stati aggrediti durante una manifestazione per commemorare le vittime del crollo alla stazione di Novi Sad, in cui sono morte quindici persone
Non si fermano in Serbia le mobilitazioni studentesche nonostante le feste, il freddo e i tentativi della leadership al potere di intimidire, dividere e “corrompere” gli studenti.
I giovani non sembrano intenzionati a rinunciare alle loro richieste, dando una lezione di coraggio e tenacia non solo all’opposizione, ma a tutti i cittadini.
Gli studenti rifiutano di incontrare il presidente Aleksandar Vučić, il premier Miloš Vučević e la procuratrice generale della Serbia Zagorka Dolovac.
Per Vučić, che di fatto detiene tutte le leve del potere in Serbia, l’enigma maggiore resta proprio l’irriverenza degli studenti che ogni giorno fanno sapere al presidente: “Non le abbiamo chiesto nulla”.
Gli studenti ricordano a Vučić che, secondo la Costituzione serba, nessuna delle loro richieste è di competenza del presidente della Repubblica.
Le mobilitazioni studentesche sono iniziate lo scorso 25 novembre dopo l’aggressione ad alcuni studenti della Facoltà d’Arte drammatica (FDU) di Belgrado durante una manifestazione commemorativa per rendere omaggio alle vittime della tragedia avvenuta alla stazione ferroviaria di Novi Sad.
Gli studenti della FDU hanno deciso di bloccare la loro facoltà, avanzando una serie di richieste, chiedendo innanzitutto di perseguire penalmente gli autori dell’attacco.
Ben presto la rivolta studentesca si è diffusa in tutto il paese, tanto che a metà dicembre sono state bloccate le università di Belgrado e Novi Sad, nonché quasi tutte le facoltà dell’Università di Niš.
Gli studenti chiedono anche la pubblicazione di tutti i documenti relativi alla ricostruzione della stazione ferroviaria di Novi Sad, il rilascio e l’archiviazione delle accuse contro i partecipanti alle proteste.
Alla mobilitazione si sono uniti anche gli studenti delle scuole superiori. A suscitare maggiore attenzione è il blocco del liceo “Jovan Jovanović Zmaj” a Novi Sad. Radivoje Stojković, preside del liceo, sarà ricordato per aver pregato inginocchiato nel cortile della scuola, invece di parlare con i suoi studenti.
Inizialmente, gli studenti dell’ultimo anno del liceo “Zmaj” hanno organizzato una mobilitazione, radunandosi ogni giorno nel cortile della scuola dalle 11.52 alle 12.07, ora in cui da un mese e mezzo i cittadini scendono in piazza in tutta la Serbia per commemorare, con quindici minuti di silenzio, le vittime di Novi Sad.
Infastidito dalla protesta, il primo ministro Vučević, il cui figlio frequenta il liceo “Zmaj”, ha dichiarato che i professori hanno letteralmente costretto suo figlio a protestare. Il premier, molto offeso, ha affermato che “i ragazzi sono stati coinvolti in un evento politico con cui si chiedono le dimissioni del presidente della Repubblica, del governo e del sindaco di Novi Sad”.
A quel punto il preside ha convocato d’urgenza il consiglio d’istituto. Al termine della riunione, a cui alcuni componenti del consiglio hanno partecipato in via telematica, la scuola ha presentato le scuse al primo ministro.
Reagendo a questa decisione, gli studenti del prestigioso liceo hanno dimostrato che in Serbia cresce una generazione di giovani tutt’altro che apatici e apolitici: non solo hanno bloccato la scuola, ma hanno conquistato il sostegno dei genitori, dei professori e dell’opinione pubblica.
Gli studenti hanno avanzato richieste chiare: la revoca della lettera in cui la scuola si scusava con il primo ministro, il rispetto del diritto degli studenti a commemorare le vittime di Novi Sad ogni venerdì alle 11.52, le garanzie di sicurezza per tutti gli studenti e i professori che protestano e le scuse del preside.
Le richieste di questi giovani determinati, che per settimane hanno dormito nella loro scuola, sono state esaudite e gli studenti hanno dichiarato ufficialmente la fine del blocco delle lezioni. Non hanno però ricevuto le scuse del preside, ma poco importa.
Nel frattempo, i genitori hanno chiesto al ministero dell’Istruzione di sostituire il preside, citando diverse irregolarità e abusi, tra cui la violenza psicologica sugli studenti, i rituali religiosi inappropriati davanti alla scuola e la negligenza nella gestione di una situazione di crisi. Gli studenti del liceo “Zmaj” hanno concluso il blocco con parole di sostegno agli studenti universitari che protestano in tutto il paese.
A scombussolare ulteriormente i piani del regime ci ha pensato il personale scolastico che, oltre a sostenere gli studenti, ha organizzato una giornata di sciopero, annunciando il blocco totale delle lezioni.
Slavica Đukić Dejanović, “l’intramontabile ministra” eletta tra le fila del Partito socialista serbo (SPS), attualmente alla guida del dicastero dell’Istruzione, ha vissuto una débâcle lo scorso 18 dicembre nel corso di un dibattito pubblico sulla Legge sull’istruzione, tenutosi a Niš.
Gli studenti “non invitati” sono entrati nell’aula, portando gli striscioni con le scritte “Gli studenti non tacciono” e “Chiediamo giustizia”. Ascoltare il segretario di stato e la ministra parlare della riforma della Legge sull’istruzione come se nulla fosse accaduto è stata un’esperienza al limite della farsa, fino a quando Đukić Dejanović non ha interrotto il dibattito. Quando si è allontanata dagli studenti, la ministra, neuropsichiatra di formazione, ha affermato di “non conoscere questa gioventù” e di non capire la loro “aggressività”.
La sinergia tra studenti delle superiori e quelli universitari e il forte sostegno che hanno ricevuto dai loro professori hanno talmente sconvolto la ministra Đukić Dejanović e il governo da spingerli ad adottare una soluzione fantastica: accorciare l’anno scolastico per gli alunni delle scuole primarie e secondarie in Serbia.
Inizialmente, la leadership al potere ha reagito alle proteste come di consueto, introducendo picchiatori e provocatori tra i manifestanti. Poi il regime ha deciso di reclutare “cittadini” che hanno fretta e quindi intolleranti verso i blocchi stradali.
Alcuni avevano figli da soli e in lacrime a casa, altri correvano dal medico, altri ancora rischiavano di perdere il lavoro perché erano in ritardo. C’era anche chi non ha esitato ad aggredire studenti e cittadini. Tutti questi provocatori sono stati identificati e la richiesta è quella di perseguirli penalmente e rimuoverli dalle cariche pubbliche.
Gli studenti hanno fatto visita al presidente Vučić durante un suo discorso rivolto ai cittadini e hanno cantato sotto la sua finestra “esci, piccolo” (il verso di una canzone popolare). In quell’occasione Vučić ha promesso case a buon mercato per gli studenti, ma i giovani non si sono lasciati ingannare.
Lo scorso 22 dicembre, su iniziativa degli studenti, in piazza Slavija a Belgrado è stata organizzata una delle più grandi manifestazioni di protesta in Serbia, a cui – secondo stime prudenti – hanno partecipato oltre centomila persone.
Quella sera, confermando la portata della protesta, Vučić ha invitato alla pace e al dialogo. I giovani hanno ironizzato sulle precedenti minacce del presidente, affermando che avrebbe potuto inviare l’unità speciale “Kobre” per disperderli in pochi minuti, e sugli striscioni hanno scritto “mandateci i cobra per giocare” e “mandate fuori i cobra, noi siamo anaconde”.
Il regime ha accusato gli studenti di essere mercenari al soldo degli stranieri. Per giorni le autorità hanno sventolato il cosiddetto “ricettario del blocco”, un manuale creato dagli studenti di Zagabria durante le proteste del 2009, sostenendo che gli studenti serbi fossero in sintonia con i loro colleghi croati, dai quali avrebbero preso il modello decisionale del plenum. Di tanto in tanto la leadership di Belgrado accusa gli studenti anche di essere comunisti.
I portavoce dell’élite al potere non sanno, o fingono di non sapere, che la Serbia ha una lunga tradizione di mobilitazioni studentesche. Pare che abbiano dimenticato il periodo1996-97 e le proteste, protrattesi per mesi, contro il regime di Milošević e per denunciare i brogli elettorali.
Come accade in ogni regime autoritario, ad un certo punto la leadership serba ha attinto a strategie di intimidazione. La BIA [intelligence serba] ha invitato gli studenti e i loro genitori ad un colloquio “amichevole”, accusandoli poi di agire contro il proprio paese.
Gli studenti, i cui documenti d’identità sono stati diffusi pubblicamente, sono stati aggrediti anche da alcuni uomini incappucciati, senza però lasciarsi intimidire.
Venerdì 10 gennaio si è tenuta a Belgrado una grande protesta davanti al Palazzo di Giustizia ed è stata bloccata l’autostrada. Il giorno successivo, 11 gennaio, gli studenti si sono recati davanti alla sede della BIA a Novi Sad per una chiacchierata amichevole.
Anche nelle piccole città, dove per decenni non ci sono state proteste, gli studenti, tornati a casa per le feste, stanno organizzando manifestazioni e blocchi stradali. L’oscurità mediatica, in cui da anni ormai vive la Serbia viene sfidata da persone giovani e coraggiose che trasmettono ai loro genitori e amici esperienze e messaggi da Belgrado, Novi Sad, Niš e altre città.
Gli studenti annunciano che le proteste proseguiranno fino a quando tutte le loro richieste non saranno esaudite e concludono: “È solo l’inizio”.
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