per non dimenticare gli abusi in divisa

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Tre vicende sconosciute di torture e violenze da parte delle forze di polizia. Storie di vittime e dei loro familiari, in alcuni casi senza ancora una verità definitiva, che abbiamo deciso di mettere assieme in questa serie, “Divise violente”. Ecco tutte le puntate

La storia di abusi, torture e violenze da parte di chi indossa una divisa è composta da moltissimi capitoli, purtroppo. In uno stato di diritto, in una democrazia compiuta, tali soprusi per mano delle forze dell’ordine su cittadini e cittadine inermi dovrebbero appartenere a un passato già archiviato da tempo.

Eppure, continuano ad accadere. Il caso di Stefano Cucchi, ancora prima quello di Federico Aldrovandi e di tantissimi altri che hanno perso la vita per un fermo o un banale controllo impone una riflessione sulla strada da intraprendere perché non si ripetano mai più.

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Oltre alle vicende più note, però, ne esistono altrettante sconosciute, rimaste confinate nelle province dove sono accadute. Sono storie di vittime e dei loro familiari, in alcuni casi senza ancora una verità definitiva, che abbiamo deciso di mettere assieme in questa serie “Divise violente”, firmata dal giornalista Paolo Di Falco.

Sono tre puntate intense: le testimonianze dei familiari e il racconto dei protagonisti è un tuffo nell’abisso di una furia di stato, una violenza immotivata sui più fragili. Un lavoro che è stato possibile anche grazie ad Amnesty International, che da tempo chiede l’introduzione dei numeri identificativi per gli agenti. Una battaglia che in Parlamento trova sempre molti oppositori.

La storia di Andrea Soldi

«Chissà che il mio futuro mi riserverà cose belle come stasera e sicuramente migliori». A scrivere queste parole tra il 19 e il 20 aprile del 1996 è Andrea Soldi, giovane torinese a cui qualche anno prima era stata diagnosticata la schizofrenia. Quasi vent’anni dopo, in un’afosa giornata di agosto del 2015, a spezzare la sua vita saranno le braccia di tre agenti della polizia municipale nel tentativo di praticargli un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) che, sottolinea la sorella Maria Cristina, si trasformerà in un arresto.

«L’uccisione di Andrea Soldi è uno dei tragici esempi di pezzi dello stato che, anziché prendersi cura delle debolezze, vi si accaniscono. La sorella e il padre hanno lottato per quasi nove anni, affiancate da Amnesty International e altre associazioni per i diritti umani, per veder confermate in Cassazione, nel 2022, le condanne dei quattro responsabili», ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

La storia di Paolo Scaroni

«Per lo stato italiano sono un morto che cammina». A parlare è Paolo Scaroni, ultras del Brescia la cui vita si è fermata alla trasferta veronese del 24 settembre del 2005 con la sua squadra del cuore. Quel giorno una serie di colpi di manganello, assestati violentemente dalla polizia, gli hanno spaccato la testa rendendolo invalido al 100 per cento. Paolo, all’epoca dei fatti, era un giovane allevatore di tori di Castenedolo e faceva parte del gruppo di ultras «Brescia 1911».

Come dichiara Ilaria Marinara, responsabile ufficio campagne per Amnesty Italia: «A settembre 2025 saranno trascorsi vent’anni da quella tragica violenza subita da Scaroni per mano delle forze di polizia alla stazione di Verona. Vent’anni in cui chi doveva pagare per l’invalidità causata a Paolo non ha pagato. Vent’anni di campagne della società civile e di Paolo stesso per chiedere l’introduzione dei codici identificativi per le forze di polizia impegnate in operazioni di ordine pubblico, ma su questo molta altra strada c’è da fare».

Oggi Paolo è invalido con totale inabilità lavorativa. Chi lo ha massacrato e ridotto in queste condizioni, invece, non ha pagato alcunché.

La storia di Enrico Lombardo

«Non mi interessa, non mi interessa». Queste le ultime parole che, con un ginocchio di un carabiniere in borghese sulla schiena che preme la sua faccia sull’asfalto, pronuncia Enrico Lombardo prima di morire, nella notte tra il 26 e il 27 ottobre del 2019. Siamo a Spadafora, frazione del comune di Messina: il 42enne si era recato per due volte sotto casa della sua ex, con cui non conviveva più da tre anni.

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La prima volta, dal verbale Enrico risulta «vigile e collaborante» e viene invitato ad andare a casa. La seconda volta, viene immobilizzato da due agenti, anche attraverso colpi ripetuti di manganello. Il sangue inizia a sgorgargli dal capo. Enrico continua a lamentarsi.

Tre carabinieri iniziano a sferrargli calci, gli bloccano spalle e gambe. Enrico urla fino a quando la sua voce non diventa sempre più flebile. Secondo le ricostruzioni resterà con la testa schiacciata sull’asfalto per circa 20 minuti.

La prima ambulanza senza medico a bordo, la macchia di sangue cancellata sulla scena del delitto, il testimone mai ascoltato, le ricostruzioni contraddittorie e i dubbi sulle due archiviazioni: «Chi ha ucciso Enrico è ancora in servizio», ci racconta la ex moglie.

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