Oliviero Toscani e quella campagna pubblicitaria piena di stereotipi sui calabresi

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Ebbe un rapporto contraddittorio con la Calabria Oliviero Toscani, scomparso oggi per un brutto male. Nel 2007 il celebre fotografo milanese fu infatti l’autore di una campagna d’immagine commissionata dalla Regione e al centro di polemiche e contestazioni. L’ente all’epoca guidato da Agazio Loiero aveva ingaggiato la star Toscani per firmare un progetto di marketing territoriale originale e contemporaneo, che nelle intenzioni sarebbe dovuto essere di forte impatto mediatico, colpire e far ricordare la Calabria. Cosa che il fotografo effettivamente fece ma  non come ci si aspettasse, utilizzando invece una narrazione fondata su stereotipi decisamente fuori contesto se la finalità era quella di promuovere la terra calabrese.

Su grandi cartelloni simil-pubblicitari le (bellissime) immagini di un gruppo di ragazzi sorridenti e dai visini puliti e innocenti, vestiti di bianco era infatti abbinata a uno slogan nel quale il messaggio da veicolare era un po’ troppo sottile da cogliere. Vari aggettivi negativi e spesso riconducibili alla nomea della Calabria come regione di arretratezza e criminalità erano abbinati proprio alla territorialità del luogo. Autodenunciandosi in un mix di teorie lombrosiane e razzismo quei giovani ritratti come figure sane e immacolate dichiaravano: “Malavitosi? Ultimi? Terroni? Sì, siamo calabresi”. La conclusione chiama in causa il dettato evangelico: “Gli ultimi saranno i primi”. Peccato che poi, anche ora che il fotografo non c’è più, non siamo saliti in classifica e sempre in coda restiamo. Un anatema o un concetto su cui non era il caso di ironizzare dovendo non fare sfoggio di arte ma piuttosto dare un contributo (retribuito) a migliorare l’immaginario su questa regione?

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La provocazione della campagna è chiara conoscendo lo stile e le idee di Toscani, ma la Calabria non era un brand ma una regione in cerca di rilancio e pure dissestata, che aveva speso 4 milioni di euro per vedersi sbattere su manifesti enormi come sfigata, maligna, ignorante e ‘ndranghetista ricordando così a tutti i propri difetti ed etichettandoli come genetici.

Questa l’impressione che suscitarono quelle foto nella maggioranza del pubblico calabrese e probabilmente anche in quello non oriundo. Ci fu chi approvò l’operazione sottolineando la genialità di Toscani, ma com’era prevedibile la sincerità delle opinioni finì per essere inquinata dalla strumentalizzazione del caso nello scontro politico calabrese. Nell’evidente corsa ad accusare e assolvere la propria parte politica era impossibile discernere il vero tra quelli che s’indignavano e gli altri (molti di meno) che difendevano la creatività del fotografo ritenendo centrato lo scopo della campagna – ovvero smentire quei cliché serenamente snocciolati da quei testimonial “calabriselli” tanto carucci eppur mafiosi, analfabeti eccetera eccetera.

La diatriba, insomma, alle nostre latitudini divenne oggetto di feroce contesa politica tra governo e opposizione (guarda caso nettamente distinte nel giudizio sulla campagna) ma poi a prevalere furono i detrattori che, propaganda a parte, dalla loro avevano un elemento di massima ragione: erano stati spesi soldi dei contribuenti calabresi, e non pochi, dunque se non possono essere usati per la sanità o le strade, almeno che ci servano per fare bella figura.

Ormai quel cachet il buon Toscani lo aveva intascato, ma la gaffe era stata eclatante e i manifesti rimasero in circolazione ben poco. Un investimento fallimentare, l’ennesimo in questo settore che la Regione non ha ancora compreso bene come funzioni. E a proposito di politica, chi allora aveva alzato il ditino qualche tempo dopo avrebbe dovuto abbassarlo in silenzio, perché nella coalizione opposta lo stesso errore sarebbe stato commesso con un altro big, il regista Gabriele Muccino, capace di farsi pagare profumatamente un prodotto ancora più sbagliato, con l’aggravante di un’evidente qualità artistica peggiore – quel cortometraggio con la coppia Raoul Bova-Rocio Morales infarcito di sciocchezze, errori grammatici e situazioni anacronistiche sulla Calabria che oggi sopravvive solo come materia di meme, parodie e sfottò vari. 

Per Oliviero Toscani le incomprensioni con la nostra regione non si limitarono solo al flop della campagna pubblicitaria. Qualche anno più tardi il fotografo fece lo scivolone definitivo tornando in Calabria per inaugurare una sua mostra.

Avvicinato da un giovane che voleva chiedergli un selfie, rifiutò facendo un’osservazione sgradevole e immotivata. “Non so chi sei, e se poi sei un mafioso?”, spiegò senza indorare la sua amara pillola al ragazzo, che invece era un liceale e anche figlio di un carabiniere. Una frase non istintiva ma convintissima, tanto che Toscani aggiunse un assurdo paragone con Matteo Messina Denaro, affermando che anche il boss non aveva la faccia da mafioso, ma lo era. Meglio, dunque, non rischiare in futuro di ritrovarsi immortalato insieme a un potenziale criminale. Il ragazzo in realtà, avrebbe potuto essere uno dei candidi modelli della sua stessa campagna di marketing calabrese, e dopo quell’episodio molti ribadirono il pensiero respingente nei confronti delle famigerate foto: il grande fotografo era un ipocrita, ecco cosa pensava davvero di noi.

Che quella rispostaccia non fosse solo sarcasmo perdonabile al geniale artista lo stabilì infine il tribunale. Il giovane ex ammiratore querelò Toscani e vinse, ottenenendo una condanna per diffamazione. Poca roba forse rispetto alla blasfemia delle sue foto più censurate, inezie a fronte dell’allusivo sedere femminile fasciato nei jeans che portano il nome di Cristo o del bacio tra la suorina e il pretino? Sì, ma noi siamo permalosi. Anzi siamo calabresi. 

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