Anarchici dietro gli scontri: «Forze dell’ordine nel mirino»

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Ieri era per Gaza, oggi è per Ramy. I pretesti di chi vuole fare disordine in piazza non mancano mai. Nonostante gli appelli a “non non fare casino” lanciati dal padre del giovane egiziano morto durante l’inseguimento dei carabinieri, a Torino, Bologna e Roma si sono registrati duri attacchi alle forze dell’ordine.

Trenta gli identificati dalla questura della capitale, altrettanti da quella emiliana: a breve arriveranno le denunce. Mentre l’Anci esprime solidarietà ai colleghi sindaci e auspica «maggiori risorse da destinare alla prevenzione dei disagi sociali e alla sicurezza urbana», si cercano nel sottobosco antagonista i protagonisti della guerriglia. Sembra infatti fuori luogo parlare di “banlieue in fiamme”: non è un caso che proprio a Milano non sia successo nulla. Dopo la prima rabbia esplosa al Corvetto – dove Ramy abitava -, la situazione è tornata rapidamente alla calma, grazie anche all’equilibrio mostrato dalla famiglia del ragazzo. Altrove invece la situazione è degenerata, sotto la spinta di quelli che i sindacati di polizia etichettano come “professionisti del disordine”.

«Sabato sera in piazza a Roma si avvertiva con chiarezza sconcertante tutta la carica di insofferenza, rifiuto e vero odio verso gli operatori in divisa, aggrediti con ogni mezzo e anche con ordigni rudimentali, uno dei quali ha sfondato il vetro di un mezzo di servizio – ha rimarcato Massimo Nisida, segretario Fsp Roma -. Queste sono aggressioni organizzate». Anche a Torino, dove è stato assaltato un commissariato, sono state usate bombe carta contro polizia e carabinieri. E proprio il ricorso a ordigni rudimentali ha fatto alzare le antenne dei servizi. Il modus operandi ricalca infatti quello della mano anarchica, la più temuta: tra gli identificati ci sarebbero anche esponenti di quest’area.

Nell’ultima relazione al Parlamento, l’intelligence scriveva che «l’attivismo anarco-insurrezionalista, anche nel 2023, ha rappresentato, nello scenario eversivo interno, il più concreto e insidioso vettore di minaccia», caratterizzato da «azioni, potenzialmente pericolose, poste in essere con manufatti incendiari ed esplosivi». Gesti che riportano alla mente l’attentato contro la caserma di Fossano compiuto nel 2006 da Alfredo Cospito, il leader detenuto in regime di carcere duro. Ieri l’ultimo episodio: una bomba incendiaria è stata scagliata contro il portone della caserma dei carabinieri di Borgo San Lorenzo, vicino a Firenze.

Che ci sia la regia dei soliti noti dietro gli ultimi assalti lo ha detto apertamente anche Donato Cafagna, prefetto di Torino. «Gli organizzatori che fanno capo ai centri sociali, a partire da Askatasuna – ha detto Cafagna in un’intervista a La Stampa – anche questa volta hanno lanciato la chiamata alla protesta indicando come obiettivo le forze dell’ordine». Torino è uno dei fronti più caldi: segnali preoccupanti si erano già captati il 13 dicembre, in occasione degli scontri tra un corteo “pro Palestina” e la polizia. «Una piazza difficile e pericolosa, che merita approfondimenti» aveva rilevato già un mese fa il Sindacato autonomo di polizia.

I fatti di sabato ribadiscono che la tensione continua a salire. Cori come «ve la faremo pagare» e striscioni che minacciano «vendetta per Ramy» fanno capire che la temperatura dell’antagonismo, già alta, è ormai vicina al punto di ebollizione. Con conseguenze anche economiche: per arginare le turbolenze di piazza, le questure schierano in forze i reparti mobili. «A ogni agente vengono riconosciute fino a 55 ore di straordinario al mese, a fronte di un massimo di 20 spettanti al resto del personale in servizio, più l’indennità prevista per l’impiego nell’ordine pubblico. Tutto questo in un quadro di tagli che colpiscono la Polfer, la Stradale e le questure stesse» spiega una fonte di polizia ad Avvenire.

Ma a ribollire non è solo il pentolone delle frange di estrema sinistra. Ci si scalda parecchio anche sul fronte opposto, tra Casa Pound che cerca consensi nelle periferie abbandonate e svastiche che spuntano un po’ ovunque. Niente a che vedere con la pericolosità dei naziskin tedeschi, però il fenomeno non è sottovalutato dall’intelligence, che rileva «un significativo attivismo teso a incrementare le relazioni con formazioni ultranazionaliste del Vecchio Continente». A inizio dicembre un’operazione della Digos bolognese portò all’arresto di alcuni suprematisti appartenenti alla “Werewolf division”, gruppo neonazista spuntato dal nulla. I camerati volevano uccidere la premier Giorgia Meloni. «C’è un albergo davanti al Parlamento – si diceva in un dialogo intercettato – da lì puoi sparare dall’alto». Li hanno fermati tra il dire e il fare, senza aspettare di capire se si trattasse di intenzioni serie o di spacconerie del branco.

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Di sicuro, si respira una brutta aria. Manlio Milani, presidente dell’Associazione vittime di piazza della Loggia, commentando alcune recenti sfilate in camicia nera a Brescia (e Bologna), aveva detto durante la commemorazione della strage: «Le bombe degli anni ‘70 sono state preannunciate da questo clima. Viene il dubbio che queste operazioni abbiano l’obiettivo di intimorire la magistratura», che sta continuando a indagare su quella tragica stagione. Insomma, non sono tanto i teppisti che alzano il cappuccio della felpa a fare paura, ma le ombre che si agitano alle loro spalle.





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