Torino, l’attentato al circolo Arci e la solidarietà del quartiere. Dopo gli assalti alla polizia i due volti della periferia.

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


di
Massimo Massenzio

Centinaia persone si presentano al Banfo dopo l’attentato di venerdì: partita una colletta

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Una bomba carta che nel pomeriggio di venerdì fa esplodere la vetrata del circolo Arci Banfo, a Barriera di Milano. Le fiamme che all’alba di sabato devastano la giostrina dei bimbi del parco Di Vittorio, nel quartiere Lingotto. Due immagini di periferie diverse, di rabbia diversa. Mista a noia, sicuramente sintomo di disagio, al punto di abbattersi su obiettivi «incolpevoli». Due istantanee che seguono, a poche ore di distanza, quelle degli assalti al commissariato Dora Vanchiglia e alla caserma Bergia di piazza Carlina. Quando la protesta dei ragazzi di Barriera, Aurora e Porta Palazzo si è mischiata a quella di studenti e antagonisti. Ed è diventata «sete di vendetta», trasferita dalla periferia al centro.

Eventuali collegamenti fra episodi che, al momento, appaio molto differenti sono difficili da trovare. A unirli c’è sicuramente la vicinanza temporale, la violenza e le esplosioni che hanno risvegliato l’attenzione della città. Ieri in via Cervino, all’ingresso del «Banfo», il quartiere si è stretto attorno al circolo: «Come si reagisce? La risposta migliore è questa», dice il presidente Francesco Salinas. Sommerso dall’affetto di residenti, amici, parlamentari, assessori e consiglieri, uniti nel presidio di solidarietà. Il Banfo è l’ex sede del Partito Comunista ed è stata proprio la «bachecona», subito dietro la vetrina, dove un tempo campeggiavano le pagine de L’Unità, a impedire che l’esplosione devastasse i locali: «Non ho idea di chi possa essere stato, non abbiamo mai ricevuto minacce e lavoriamo per il quartiere — continua Salinas —. Ci sono migliaia di euro di danni, è partita una colletta di solidarietà, ma di sicuro poteva andare peggio. I bambini erano appena usciti e per strada c’era parecchia gente. Noi continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto».




















































In questura la pista di un attentato politico non sembra la prima a essere presa in considerazione, anche se qualcuno parla di una «risposta» al corteo di giovedì sera. Altri hanno invece ipotizzato anche una bravata di qualche ragazzo del quartiere: «Ci sono tanti giovani arrabbiati, come me — racconta un volontario del circolo, uno studente di origine marocchina —. Ci accumunano le tante ferite e i miei sentimenti sono gli stessi di quei ragazzi che hanno partecipato alla manifestazione per Ramy dell’altra sera. Io non c’ero, non condivido la violenza, ma non sono contro la protesta. Qualcosa deve essere cambiato».

Venerdì in piazza Bottesini hanno proiettato «La Haine», il fim di Kassovitz sulle banlieu parigine: «L’ho visto tante volte, spiega davvero che cosa vuole dire l’esigenza di dover fare rumore per essere qualcuno. Che è quello che vedo nei giovani di qui, che magari lasciano la scuola, commettono reati pur di essere ascoltati. Non si sentono parte di qualcosa e lo vogliono creare. Non si può restare in silenzio di fronte a quello che è successo a Ramy, ma posti come il “Banfo” servono proprio a indirizzare la rabbia nella direzione corretta».

Sulla rabbia di Barriera lavora da tempo Erika Mattarella, direttrice dei Bagni Pubblici di via Agliè, uno dei presidi sociali più importanti del quartiere: «Ci sono tanti giovani che si sentono vittime di diseguaglianza. La rabbia però può essere gestita, a me preoccupa di più la frustrazione di chi non reagisce in alcun modo. Perché rischia di restare su una giostra malata che può portare a conseguenze gravi».
 
La pensa allo stesso modo anche Ivan, in arte Milo, 34enne informatico di origine congolese nato in via Lauro Rossi, star nascente dell’hip hop: «La bomba carta può nascere dalla frustrazione di non riuscire a completare quel processo di integrazione che hanno iniziato i nostri genitori. La musica è uno strumento di contatto e mi ha aiutato a non imboccare strade pericolose e oggi la insegno ai ragazzi. L’hip hop o la trap sono la stessa cosa, il giornale del tuo quartiere. Sono un “calmante”, ma bisogna fornire anche una base critica per interpretare i messaggi, anche quelli in apparenza violenti. Noi continueremo a farlo».

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