di Pierluigi Franco
Il Presidente della Polonia, Andrzej Duda, non perde occasione per mettere in difficoltà il suo Primo ministro e avversario politico, Donald Tusk. Stavolta ha usato la leva del diritto internazionale, anzi della antigiuridica richiesta di “sospensione” del diritto internazionale. Duda, aderente al partito di estrema destra “Diritto e Giustizia”, lo ha fatto con una lettera a Tusk, esponente del partito di centro “Piattaforma civica”, nella quale chiede al governo polacco di garantire protezione al Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per permettergli di partecipare all’80° anniversario della liberazione del campo di concentramento e sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau in programma il prossimo 27 gennaio.
Per il Presidente polacco, che ha già più volte ostacolato l’attività di Tusk, le autorità dovrebbero garantire la permanenza indisturbata di Netanyahu in Polonia nonostante il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi) con l’accusa di crimini di guerra a Gaza nel contesto della campagna militare di Israele contro l’organizzazione terroristica Hamas, costata finora la vita a oltre 45.000 palestinesi tra i quali molti bambini.
Non c’è dubbio che la richiesta di Duda, personaggio noto alle cronache anche per aver dato ospitalità nel palazzo presidenziale a due esponenti del suo partito impedendone l’arresto dopo la condanna per abuso d’ufficio, punta a mettere in seria difficoltà il governo guidato da Tusk, poiché la Polonia è firmataria dello Statuto di Roma che nel 1998 ha istituito la Corte penale internazionale. In quanto tale, quindi, è tenuta a rispettarne le decisioni, inclusa la disponibilità a consegnare alla giustizia gli accusati di reati. A ricordare gli impegni di Varsavia presi con la sottoscrizione dello Statuto di Roma è intervenuta anche l’Unione europea attraverso un portavoce della Commissione: <<L’Ue sostiene la Corte Penale Internazionale e rispetta l’indipendenza e l’imparzialità della Corte: il Consiglio chiede a tutti gli Stati membri di cooperare con la Corte, compresa l’esecuzione dei mandati di arresto>>.
Lo scontro politico tra Duda e Tusk, però, in questo caso include anche un discorso più ampio che muove dai principi giuridici per arrivare a quelli etici. La richiesta del Presidente polacco appare alquanto bizzarra sotto il profilo giuridico, poiché non si può accettare un’istituzione internazionale e poi non rispettarne l’operato. Va anche aggiunto che a presiedere la Corte penale internazionale è un cittadino polacco, il giudice Piotr Jozef Hofmanski, che sarebbe a sua volta messo in imbarazzante difficoltà qualora i vertici di Varsavia dovessero decidere di non rispettare una decisione della Cpi.
Dal punto di vista etico, se non sorprende che il governo israeliano sia insorto contro la decisione della Cpi che condanna il suo leader, è ormai evidente a tutti che ciò che sta accadendo a Gaza è al di fuori di ogni regola. La sproporzione di mezzi e di reazione è difficilmente contestabile e altrettanto difficilmente giustificabile con la caccia ai terroristi islamici di Hamas. L’uccisione indiscriminata di civili e di bambini e la distruzione di ogni cosa, così come l’ostacolare tutte le forme di soccorso e supporto alla popolazione non può essere inquadrata in “operazioni di sicurezza”.
In questa forma, sotto il profilo giuridico di diritto internazionale, si tratta senz’altro di un crimine. Ma va anche detto con forza che continua a essere criminale il comportamento di Hamas, messo ben in evidenza dall’attacco terroristico del 7 ottobre contro cittadini inermi e la successiva presa di ostaggi. Ed è incomprensibile come, a distanza di oltre un anno, Hamas continui a tenere gran parte di quegli ostaggi ben sapendo che ciò permette al governo Netanyahu di giustificare la distruzione di Gaza.
Ancor più incomprensibile appare il comportamento di molti Paesi islamici che con Hamas potrebbero avere un dialogo privilegiato, come nel caso del Qatar, e non sono riusciti a imporre quel rilascio degli ostaggi che toglierebbe a Netanyahu e ai suoi soci estremisti ogni giustificazione per proseguire l’eccidio.
Sembra assai lontano quel 1996 in cui Netanyahu e il leader palestinese Yasser Arafat si stringevano la mano fino a giungere alla sottoscrizione del “Memorandum di Wye River” nell’ottobre del 1998. Il quadro è totalmente cambiato. Sullo sfondo della tragedia di Gaza pesano molti eventi, a cominciare dall’incriminazione di Netanyahu nel 2019 da parte della magistratura israeliana per corruzione, frode e abuso d’ufficio. Un’incriminazione arrivata dopo due anni di accurate indagini da parte della polizia.
Quelle accuse restano ancora in piedi con il processo in corso a singhiozzo, anche se accantonate grazie al caos scatenato da Hamas e le cui conseguenze erano prevedibili. Proprio per aggirare quelle accuse, restando al potere, Netanyahu aveva concluso gli accordi con l’estrema destra che lo hanno portato a guidare l’esecutivo più estremista della storia di Israele. Subito dopo aveva avviato una riforma giudiziaria che lo avrebbe favorito, ma aveva spaccato il Paese portando nelle piazze migliaia di cittadini infuriati. Di certo, in un momento di debolezza, il regalo più grande gli è arrivato proprio da Hamas.
Resta da capire come sia potuta accadere la strage del 7 ottobre, costata la vita a oltre 1.200 persone con il rapimento di altre 251. Gli interrogativi restano tutti: perché un confine così pericoloso come quello di Gaza, tra l’altro di pochi chilometri, era diventato così vulnerabile da permettere ai terroristi di entrare in territorio israeliano senza che nessuno provasse a fermarli; e come mai i segnali di allarme dei servizi segreti israeliani non sono stati ascoltati.
Nel dicembre 2023 il quotidiano israeliano Haaretz e il canale televisivo Channel 12 News avevano reso noto che una fonte dello Shin Bet nella Striscia di Gaza aveva dato informazioni specifiche secondo cui Hamas stava pianificando un “attacco significativo” all’inizio di ottobre. Secondo quanto riferito, l’informazione sarebbe stata ricevuta dallo Shin Bet durante l’estate da un agente che l’aveva a sua volta avuta da qualcuno che sapeva che “Hamas stava pianificando un’importante mossa nella settimana successiva allo Yom Kippur”.
Le informazioni, secondo Channel 12, sarebbero state bloccate a un livello inferiore senza raggiungere le autorità di rango superiore. Ma secondo il giornalista di origine ebraica Seymour Hersh, vincitore del Premio Pulitzer per le sue inchieste in ambito militare, Netanyahu avrebbe addirittura saputo in anticipo dell’attacco di Hamas al territorio israeliano. Una tesi riportata anche dal New York Times per il quale i servizi avevano messo a punto un documento di circa 40 pagine che non era stato preso in considerazione perché ipotizzava un attacco “irrealizzabile”.
Ciò che ne è seguito è ormai noto. Ma la politica del governo Netanyahu non è limitata alla distruzione di Gaza: ha portato anche Israele in una spirale autodistruttiva messa ben in luce da Anna Foa che, nel suo ultimo libro edito da Laterza, parla di quello che definisce “il suicidio di Israele” caratterizzato dal deterioramento delle relazioni internazionali e dal ritorno di un diffuso antisemitismo. Un antisemitismo deleterio e pericoloso che sarà difficile arginare nell’immediato e assai incerto futuro.
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