GIUSTIZIA, estradizioni. Caso Abedini: l’ingegnere dei droni iraniano è stato liberato

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Uno sviluppo in qualche misura atteso, poiché il ministro della Giustizia italiano Carlo Nordio, mediante una nota di via Arenula, aveva precedentemente reso noto di avere depositato presso la Corte di appello di Milano la richiesta di revoca degli arresti «in forza dell’articolo 2 del trattato di estradizione tra il governo degli Stati Uniti d’America e quello della Repubblica italiana», che appunto dispone che si possa dar luogo all’estradizione soltanto nei casi di reati punibili sulla base di leggi vigenti in entrambi gli Stati contraenti, «una condizione che, agli atti, non può ritenersi sussistente».

LE ACCUSE

La prima ipotesi di reato ascritto al cittadino elvetico iraniano era quella di associazione a delinquere per violare l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), ma non avrebbe trovato corrispondenza nelle fattispecie previste e sanzionate dall’Ordinamento penale italiano. La seconda e la terza condotta illecita attribuita ad Abedini erano rispettivamente quelle di associazione a delinquere per fornire supporto materiale a una organizzazione terroristica con conseguente morte (di persone, n.d.r.) e della fornitura, nonché del tentativo di fornitura di sostegno materiale a una organizzazione terroristica estera con conseguente morte (di persone). Tuttavia, ad avviso della Giustizia italiana allo stato attuale nessun elemento risulta adducibile a fondamento delle accuse poste in capo all’Abedini, «emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio paese di strumenti tecnologici aventi potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari».

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MOHAMMAD ABEDINI NAJAFABADI

Dunque dove originavano le gravi accuse mosse a questo ingegnere trentottenne dalla doppia cittadinanza, laureatosi alla Sharif University di Teheran, ateneo sanzionato dall’Unione europea a causa della sua collaborazione con lo Stato iraniano e i Pasdaran nello sviluppo di vettori balistici? Abedini era stato fermato all’aeroporto milanese della Malpensa su mandato internazionale il 16 dicembre scorso, quindi trasferito nel carcere di Opera, tre giorni prima dell’arresto in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala. Secondo Washington avrebbe sostenuto i Pasdaran (Corpo dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, IRGC) e violato le leggi statunitensi che regolano le esportazioni e le sanzioni internazionali, un’accusa formalizzata dagli americani il 13 dicembre, che ne chiedevano l’estradizione.

LE SOCIETÀ DELL’INGEGNERE: SDRA E ILLUMOVE SA

Essi accusano Mohammad Abedini Najafabadi, titolare della società Sanat Danesh Rahpooyan Aflak Co (SDRA), di avere collaborato all’approvvigionamento di componenti elettronici soggetti a controllo per l’esportazione negli Stati Uniti d’America, materiali dual use che in seguito sarebbero stati utilizzati in Iran. Della SDRA Abedini è il co-fondatore assieme a Kaveh Merat, inoltre ne ricopre la carica di amministratore delegato. La società, costituita nel 2011 ha rifornito di sistemi dei navigazione Sepehr l’IRGC, organizzazione inclusa da Washington nell’elenco delle Foreign Terrorist Organizations (FTOs). Si tratta di un sistema di navigazione la cui applicazione principale risulta essere quella nei velivoli a pilotaggio remoto (UAV, Unmanned Aerial Vehicle o, se sono macchine dotete di sistemi d’arma, UCAV, Unmanned Combat Aerial Vehicle), oltreché nei sistemi di guida dei missili, sia da crociera che balistici.

ATTACCO ALL’AVAMPOSTO «TORRE 22»

Dopo avere conseguito la laurea in Iran, nel 2019 Abedini si era trasferito in Svizzera, dove aveva lavorato in qualità di ricercatore post-dottorato presso l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne. Nella Confederazione elvetica aveva dato vita a una start up, la Illumove SA, ritenuta società di copertura avente lo scopo di approvvigionare l’Iran di componenti critici acquistati negli Stati Uniti d’America. Il Dipartimento di Giustizia di Washington accusa Abedini (e altri) di aver cospirato per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti d’America all’Iran, violando le leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni, inoltre, di aver fornito supporto materiale a una FTO i cui membri hanno causato la morte di personale statunitense, in particolare a seguito dell’attacco compiuto con un drone il 28 gennaio 2024 in Giordania (avamposto Torre 22) a seguito del quale persero la vita tre militari statunitensi e ne rimasero feriti alcune decine.

LA VICENDA GIUDIZIARIA

Tornando alla vicenda giudiziaria cha ha visto protagonista Abedini, va rilevato che il fermo disposto dalla Procura della Repubblica di Milano non contemplava né una ipotesi di reato e neppure degli indagati, la Corte d’Appello avevano dunque disposto per l’ingegnere la misura cautelare in carcere motivata dal pericolo della sua fuga. Al riguardo, si deve altresì riflettere sul fatto che la Procura di Milano aveva espresso parere negativo in ordine alla concessione degli arresti domiciliari all’Abedini per diverse ragione, non ultima quella derivante dalla vicinanza al Consolato della Repubblica Islamica dell’appartamento nel quale l’uomo sarebbe dovuto permanere astretto, un distanza di soli tre chilometri, che alla luce della possibilità consentita all’Abedini di poter uscire di casa per soddisfare le proprie esigenze di prima necessità, poteva costituire un aspetto problematico nei termini del rischio di una sua evasione. Inoltre, non era stata richiesta l’applicazione del braccialetto elettronico, a fronte di uno specifico consenso che in tali casi deve venire reso della persona arrestata.

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L’ISTRUTTORIA È CHIUSA: DIMENTICHI

Ora il problema, almeno in superficie, non si porrebbe più: Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere dei droni dei Pasdaran che fin dal primo momento ha respinto tutte le accuse a suo carico, è tornato nella Repubblica Islamica dell’Iran. A questo punto sarebbe interessante conoscere il contenuto della sua valigetta (trolley) sequestratagli al momento dell’arresto alla Malpensa. Il suo difensore, l’avvocato Alfredo de Francesco, ha dichiarato che si trattava soltanto di personal computer, sim e altri documenti di natura commerciale. Si tratta di materiali in custodia presso la Procura della Repubblica di Milano.



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