Tra ricchezza e povertà: l’ambivalenza della lenticchia

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La lenticchia è stata una delle primissime piante coltivate dall’essere umano. Nate nelle odierne Siria, Iraq ed Egitto, arrivarono presto anche in Italia, intorno al 7000 a.C. Ma è nella Bibbia, nell’episodio di Esaù che si vende per un piatto di lenticchie, che acquisiscono un forte valore simbolico.

Nell’antica Grecia divennero cibo per poveri e nutrimento dei sapienti e dei pensatori che vollero motivare filosoficamente il loro vegetarianismo. Per i Romani erano ingrediente da mensa dei poveri e piatto per cene imperiali. Caligola ci avvolse anche la stele che fece trasportare da Alessandria d’Egitto e che oggi è in Piazza San Pietro.

Poco amate nella Francia di Luigi XIV e in quella dei grandi chef dell’Ottocento, le lenticchie si sono riscattate nel Novecento. Anche oggi continuano a camminare su un doppio binario: sono sicuramente cibo per i meno abbienti, ma anche ingrediente perfetto per chi cerca un’alternativa alle proteine di origine animale.

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La lenticchia ha due facce. Intanto in senso materiale, con i due versanti del piccolo seme regolari e uguali tra loro (a proposito, il nome significa piccola lente, e in effetti la somiglianza con le lenti degli occhiali è indiscutibile). Ma le due facce della lenticchia sono anche culturali, e ci dicono di un cibo straordinariamente abile da una parte a fare la felicità dei ceti meno abbienti e dall’altra a ben figurare nell’alta società, tra nobili e pensatori.

Le origini

Ma partiamo dall’inizio. Intorno al 9000-8000 a.C. l’essere umano inventa l’agricoltura, organizzando e pianificando la coltivazione del terreno per ottenere dalle specie vegetali quello che prima trovava in forma selvatica qua e là. Le prime piante ad essere coltivate sono cereali (grano e orzo) e legumi (piselli e lenticchie). Come sempre le date sono da prendere con un po’ di flessibilità, ma sappiamo che intorno all’ 8000 a.C. la pianta della lenticchia (Vicia lens, o Lens culinaris) esisteva già. Era coltivata inizialmente in Asia, nella famosa Mezzaluna Fertile (oggi tra Siria e Iraq) e in Egitto, i luoghi dove sono nati la gran parte dei cibi vegetali che mangiamo ancora oggi.

Sappiamo anche che circa mille anni dopo i semi della lenticchia, cioè la parte che mangiamo, erano tra noi, in Italia. Ne sono stati trovati alcuni (insieme a quelli della cicerchia) nella grotta dell’Uzzo, nella Riserva dello Zingaro, tra Palermo e Trapani. Non sappiamo perché fossero lì, ma era circa il 7000 a.C., il periodo in cui si sviluppava l’agricoltura anche in Italia e probabilmente facevano parte dei primi esperimenti di coltivazione a fini alimentari.

Con il Vecchio Testamento e l’antica Grecia le lenticchie sono già nel piatto. Nella Bibbia, per la verità, acquisiscono anche un forte valore simbolico: Esaù, fratello di Giacobbe, torna affamato dopo un viaggio e chiede al fratello di mangiare qualcosa. Giacobbe gli propone allora un piatto di lenticchie, che avrà solo se cederà a lui la primogenitura, cioè l’eredità della Corona di Re degli Ebrei. Affamato, Esaù accetta, dando qualcosa di grande valore in cambio di una miseria, e diventando il primo essere umano del pianeta a vendersi, appunto, per un piatto di lenticchie, modo di dire che nasce da quell’episodio.

Quello che la Genesi sottintende è che i semi simili alle lenti non valgono poi molto. Ma il fatto di essere a buon mercato non sarà la solita caratteristica di questo legume: con i greci vennero infatti considerate da una parte cibo povero, ottime quando non ci si poteva permettere carne o pesce; e dall’altra una preziosa fonte di proteine, veicolo di buona salute e sapienza. Erano gli anni in cui si davano radici filosofiche al non mangiare carne. Platone nel Repubblica fece dire a Socrate che la polis ideale è quella vegetariana, perché mangiare carne porta violenza e guerra. Pitagora considerava umani e animali come esseri aventi gli stessi diritti; d’altra parte il filosofo di Samo pensava che con la reincarnazione domani anche noi potremmo rinascere maiali o mucche, quindi meglio pensarci prima. Come lui, anche Plutarco, Zenone ed Epicuro si dichiararono vegetariani e ne parlarono nei loro scritti.

L’alternativa del legume

Insomma, anche nell’antica Atene si sentiva un gran bisogno di fonti di proteine alternative alla carne, e allora ecco l’altra faccia della lenticchia, non più solo cibo dei poveri, ma anche ottimo prodotto per vegetariani. Aristotele le consumava spesso condite con lo zafferano, Ippocrate le consigliava agli uomini anziani per potenziare la loro virilità. In famiglia venivamo mangiate da sole o in zuppe miste, chiamate panspermia, che si preparavano e consumavano in onore di Demetra, dea delle messi, per chiederle un ottimo raccolto. E poi le lenticchie saranno pure state un cibo povero, ma arricchirono gli egizi, che le coltivarono in quantità tali da consumarle abbondantemente e da esportarle con le loro navi sia in Grecia che in Italia, come ci dicono dei documenti che risalgono al 500 a.C.

A Roma l’ambivalenza della lenticchia non si ferma. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, non le trova solo nutrienti, ma anche capaci di portare serenità in un animo tormentato. L’urbe le importava dall’Egitto, erano un piatto popolare ma anche una pietanza ammessa agli onori della mensa imperiale. Costavano talmente poco che si usavano anche per proteggere le merci in viaggio. L’obelisco oggi in piazza San Pietro a Roma fu trasportato da Alessandria d’Egitto, per volere di Caligola, avvolto in una enorme quantità di lenticchie. Il successo presso i Romani di questi piccoli semi è dimostrato anche dal fatto che a loro si deve il nome della famiglia dei Lentuli, grandi coltivatori, appunto, di lenticchie. E d’altra parte, secondo molti storici, per gli stessi motivi la Gens Fabia prese il nome dalla fava, e Cicerone portava questo cognome perché un antenato aveva un’escrescenza a forma di cece sulla pelle.

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Il Capodanno

I Romani inoltre decretarono la vera rivincita della lenticchia, quella di Capodanno. È in questo periodo infatti che si nota che a parità di peso tra i vari ingredienti, e a causa delle loro piccole dimensioni, in una zuppa di legumi ci sono più lenticchie che ceci, piselli, o altro. E allora quando nel primo giorno dell’anno c’è da augurarsi che quello che c’è nel tuo piatto diventi il denaro che guadagnerai nei futuri dodici mesi, la lenticchia è più bene augurante di tutti gli altri legumi. Così ogni piccola lente nel piatto di Capodanno corrispondeva a una moneta d’oro nella Roma antica, a un milione di lire nell’Italia del Novecento e, con un cambio un po’ azzardato, a un milione di euro nel nuovo millennio. Niente male per il piatto considerato povero per eccellenza.

Le due anime della lenticchia coesistettero anche nel Medioevo: da una parte il legume restava un cibo povero, destinato alle mense dei meno abbienti; dall’altra si mangiava nei conventi ed era amato dai dotti, che lo consideravano una via gastronomica alla saggezza e alla pace interiore. Non a caso sognare lenticchie veniva associato all’arrivo improvviso di fortuna materiale e benessere spirituale. Un medico del Rinascimento, Petronio, le indicò come perfette per chi volesse vivere dei piaceri dello spirito piuttosto che di quelli della carne, di cui appunto le lenticchie sono state da sempre un’alternativa (a parte quando si associano allo zampone).

In Francia non ebbero quasi mai grande fortuna: Luigi XIV e la sua corte non le amavano, utilizzandole solo come cibo per i cavalli. Forse per questo i Giacobini le trasformarono in cibo ideologico e rivoluzionario, ma durò poco. I grandi chef francesi dell’Ottocento non le valorizzarono, preferendo ingredienti più à la page. Bisognerà aspettare il Novecento per vederle sulle tavole più esclusive. Le lenticchie non piacquero neanche ad Alexandre Dumas, che nel suo Gran dizionario di cucina, del 1873, le definì pessime. Ma d’altra parte, le zuppe preferite dal grande scrittore erano con coda di canguro o piede d’elefante, come poteva piacergli un piatto di lenticchie?

Doppio binario

E si arriva a noi. I cinquantenni o più ricorderanno ancora come fino a qualche decennio fa le lenticchie richiedessero una meticolosa pulizia dalle possibili pietrine che si potevano trovare tra i semini. Le si metteva in un piatto, preferibilmente bianco, e le si esaminava attentamente alla ricerca dei corpi estranei. Era una pratica diffusissima che creava anche qualche dialettica familiare, come testimonia il vecchio proverbio “Le lenticchie le scelsero sette nore, ma la socera c’ha trovato i sassi”.

Oggi le lenticchie si coltivano attorno al Mediterraneo (in Grecia, Cipro e praticamente tutte le regioni d’Italia) ma i paesi che le dedicano le superfici più estese sono Canada, India e Stati Uniti. Nel 2017 se ne sono prodotte 5 milioni di tonnellate, e tutte hanno continuato a camminare su entrambe le strade già tracciate attraverso i secoli: sono state preziose fonti di proteine sia per chi non può permettersi carne o pesce, sia per chi cerca un cibo diverso e rifiuta di mangiare animali per motivi non economici ma filosofici, religiosi, ambientali o altro. In questo secondo trend sono diventati un cibo esclusivo, ingrediente di base in piatti gourmet come quelli del grande chef Yotam Ottolenghi.

Infine le lenticchie hanno trovato anche dei nuovi amici: oltre a essere un’ottima fonte di carboidrati, proteine e fibre, e contenere potassio, ferro, fosforo, e vitamine B1 e B2, sono totalmente gluten free: dopo i vegetariani e i vegani, quindi, anche i celiaci e i sempre più numerosi nemici del glutine le hanno adottate con grande affetto. E l’ambivalenza continua.

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