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Il rischio della diffusione di questa prassi è che la disponibilità e l’impegno da parte del dipendente, se abusati o dati per scontati dal datore di lavoro, possono facilmente essere trasformati in obblighi impliciti, compromettendo l’equilibrio del rapporto di lavoro e il diritto al riposo.
Tuttavia, è bene precisare che, per molti lavoratori, ignorare queste chiamate o spegnere il telefono risulta impensabile, soprattutto quando viene loro imposto di rispondere o ricevere comunicazioni. In molti casi, inoltre, chi non risponde in modo tempestivo si espone a sanzioni disciplinari, una realtà diffusa sia in Italia che all’estero.
I tribunali, italiani ed europei, sono spesso chiamati a giudicare su controversie legate a questo tema, specialmente per valutare la legittimità delle sanzioni inflitte ai lavoratori. Negli ultimi anni, si è sviluppata un’ampia giurisprudenza in Europa, ulteriormente arricchita da una recente decisione della Corte di Cassazione francese. Sebbene questa sentenza non abbia effetti diretti sul contesto italiano, essa si inserisce perfettamente nel quadro delle pronunce già espresse dai tribunali italiani.
Simile a molte controversie giudicate in Italia, il caso francese ha riguardato un lavoratore che ha impugnato il licenziamento e le conseguenti sanzioni disciplinari. La Cassazione, pur confermando la validità del licenziamento, ha dichiarato illegittime le sanzioni disciplinari, motivate dalla mancata reperibilità del dipendente a chiamate telefoniche ricevute sul suo cellulare privato al di fuori dell’orario lavorativo.
I giudici, infatti, hanno sottolineato che i dipendenti non sono obbligati a rispondere alle chiamate dei datori di lavoro dal proprio dispositivo personale al di fuori del turno di servizio. Il diritto al riposo, alle ferie e ai momenti personali è infatti tutelato dalla legge. La sentenza ha inoltre evidenziato una pratica comune: inviare comunicazioni relative agli orari di lavoro o ad altre questioni aziendali in momenti inopportuni.
In questo contesto, la Cassazione francese ha quindi colto l’occasione per rivolgere un invito alle aziende a organizzarsi meglio, evitando di interferire con i tempi di riposo dei dipendenti. Tuttavia, il licenziamento è stato confermato per motivi legati a condotte del lavoratore considerate gravi, tra cui l’uso del telefono durante la guida e insulti rivolti al proprio superiore sui social media.
Come stabilito da normative e pronunce giurisprudenziali, un lavoratore non è tenuto a rispondere al telefono – o a qualsiasi altra forma di comunicazione – al di fuori del proprio orario di lavoro. Questo principio si applica durante i riposi settimanali e giornalieri, le ferie, i permessi e i periodi di malattia. In queste situazioni, eventuali sanzioni disciplinari per mancata reperibilità non hanno alcun fondamento legale e possono essere contestate, anche attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria. Tuttavia, è preferibile tentare una risoluzione bonaria prima di procedere per vie giudiziarie.
Al contrario, qualora il datore di lavoro perseguiti il dipendente con richieste assillanti e ingiustificate, ciò potrebbe configurare reati come stalking o molestie.
Esistono, però, situazioni in cui il contratto di lavoro prevede espressamente obblighi di reperibilità. In tali casi, il dipendente è tenuto a garantire la propria disponibilità, ma questa deve essere chiaramente regolamentata e adeguatamente retribuita. L’inadempimento degli obblighi di reperibilità, se previsti, può legittimamente portare a sanzioni.
Un caso particolare riguarda le Forze Armate e di Polizia, dove il personale deve essere sempre rintracciabile per far fronte a comunicazioni urgenti o richiami in servizio. In tali contesti, l’obbligo di reperibilità è considerato implicito e legato alla funzione svolta. Tuttavia, anche in questi ambiti, le sanzioni devono essere proporzionate e commisurate alla gravità della violazione, in assenza di regole precise sui tempi di risposta o modalità operative.
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