Naspi, nel 2025 cambiano i requisiti per la disoccupazione: chi la può ottenere

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La Naspi, o indennità di disoccupazione, è rivolta a chi perde il lavoro involontariamente. Dal 2025 scattano requisiti più stringenti per chi ha dato dimissioni nell’ultimo anno, oltre che per i lavoratori rimpatriati. E dal 12 gennaio, quindici giorni di assenza ingiustificata porteranno alle dimissioni in bianco (senza Naspi, quindi).

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I requisiti per avere accesso alla Naspi, cioè l’assegno mensile di disoccupazione, cambiano nel 2025. Infatti, la legge di bilancio varata dal governo Meloni ha previsto regole più stringenti per chi perde il lavoro dopo delle dimissioni volontarie. Non solo, ma il ddl Lavoro approvato a dicembre entrerà in vigore domani (12 gennaio) e cambierà le norme sulle dimissioni, che a loro volta influenzano chi può ricevere la Naspi. Ecco le novità più importanti.

Chi può avere la Naspi

Vale la pena di ricordare che la Naspi è un’indennità di disoccupazione il cui valore dipende dal reddito che la persona ha avuto negli ultimi quattro anni. Possono ottenerla tutti coloro che perdono il lavoro involontariamente e ne fanno richiesta all’Inps, dichiarandosi allo stesso tempo disponibili a lavorare ed essere inseriti nel giro dei centri per l’impiego.

Per “perdita del lavoro involontaria” si intendono non solo i licenziamenti (disciplinari o con conciliazione), ma anche le dimissioni per giusta causa, le dimissioni avvenute durante la maternità e in alcuni casi la risoluzione consensuale del contratto. Sono escluse, invece, le dimissioni volontarie. E proprio su questo si basano alcune delle novità che sono in vigore dal 2025.

Le novità su dimissioni e lavoratori rimpatriati

Per quanto riguarda la legge di bilancio, una norma prevede che non possa ricevere l’indennità di disoccupazione chi perde il lavoro dopo meno di 13 settimane, se nell’ultimo anno aveva rassegnato le dimissioni dal proprio incarico precedente. Insomma, chi si dimette e poi trova un nuovo impiego nel giro di un anno deve lavorarci per almeno 13 settimane, altrimenti non avrà accesso alla Naspi.

Questa misura ha l’obiettivo dichiarato di evitare le truffe e le pratiche poco trasparenti. Riguarda, ad esempio i datori di lavoro che aggirano le norme costringendo un dipendente a dimettersi, per poi riassumerlo e licenziarlo poco dopo, in modo da dover versare meno contributi. Oppure ai lavoratori che passano da un lavoro all’altro facendosi licenziare in fretta per ottenere la disoccupazione.

I sindacati hanno criticato soprattutto quest’ultima ipotesi. Perché, hanno spiegato, la norma è scritta in modo abbastanza vago da punire anche coloro che danno le dimissioni in buona fede e poi, successivamente, perdono effettivamente il lavoro.

Una seconda novità inserita nella legge di bilancio, ma meno discussa, riguarda i lavoratori che tornano in Italia entro sei mesi dal momento in cui hanno perso il lavoro all’estero. Fino all’anno scorso, questi avrebbero potuto fare richiesta di Naspi, mentre quest’anno la possibilità è stata cancellata.

I giorni di assenza che diventano dimissioni in bianco

Sempre pensando ai dipendenti che, secondo il governo, cercano di farsi licenziare rapidamente per avere l’assegno di disoccupazione, è arrivato l’intervento contenuto nel ddl Lavoro approvato a dicembre. Questo prevede che quindici giorni di assenza ingiustificata dal posto di lavoro (oppure il limite massimo di giorni stabilito dal contratto collettivo) equivalgono a dare le dimissioni volontarie. Non si tratta di un passaggio immediato, comunque: deve prima esserci una verifica dell’Ispettorato del lavoro per accertare che le cose sono andate effettivamente così.

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Di nuovo, nell’idea dell’esecutivo questo serve a contrastare la pratica di non presentarsi più al lavoro, ‘costringendo’ l’azienda al licenziamento. Per poi incassare l’assegno della Naspi. Un’impostazione che ha sollevato le proteste dell’opposizione, perché rischia di penalizzare i lavoratori che per qualche motivo non possono presentarsi al lavoro.





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