L’eterna lotta tra fumetto e libertà di stampa

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Secondo gli antropologi, il volto umano si è evoluto rispetto a quello dei primi ominidi per consentire una rappresentazione espressiva più efficace dei sentimenti: tristezza, angoscia, agitazione, nervosismo, ira e allegria. L’allegria è un’emozione comunemente associata all’essere lieti di vedere qualcuno a cui teniamo, ma possiamo provare gioia anche per aver evitato un pericolo imminente, un sorriso liberatorio. Ci rallegriamo di non essere finiti male, esprimendo così una forma di ironia che si intreccia con un’altra caratteristica intrinsecamente umana: la proiezione futura. Riducendo una situazione ai suoi estremi, giungiamo a uno scenario assurdo, ridicolo: questa proiezione astratta di possibili futuri stimola in noi una risata quasi liberatoria e catartica, una raffinata capacità di astrazione nata dalla discrepanza tra noi stessi e ciò che viene rappresentato, e la sua assurdità. Non sorprende, dunque, che queste sfumature di una stessa fenomenologia – la risata – i cui confini sono spesso labili e arbitrari, e variabili da cultura a cultura, possano generare tensioni sociali o persino politiche quando vengono veicolate attraverso le vignette satiriche.

In questo contesto, esamineremo il caso concreto della satira politica realizzata tramite il linguaggio del cartoon, analizzandone i limiti e le problematiche attuali. Quali sono i confini legittimi dell’arte satirica? L’arte rimane tale quando il sorriso che provoca non deriva dall’empatia, ma dalla critica? Dovremmo sentirci in colpa per sorridere di fronte a una vignetta ben riuscita anche quando affronta temi drammatici? È vero che se una vignetta fa ridere, alla fine tutto si giustifica per il suo autore?

Le prime forme di satira in epoca romana

La questione della risata è stata affrontata da eminenti studiosi come Mary Beard, che nel suo imperdibile saggio La risata nell’Antica Roma esplora questa dimensione umana nella cultura antica, in particolare quella latina. Il volume evidenzia come l’ironia sia una questione profondamente culturale e localizzata: non esistono leggi universali della risata, sebbene alcuni elementi possano presentare una certa continuità. Quando visitiamo San Clemente al Laterano e leggiamo nei suoi sotterranei affrescati un vero e proprio balloon con parolacce come “fili de le pute, traite!“, è naturale sorridere: si tratta di un sorriso empatico, quasi “alla Vanzina” , per chi ha creato tali affreschi del VI Secolo. Al contrario, l’affresco quattrocentesco di Giovanni da Modena nella basilica di San Petronio a Bologna, che raffigura Maometto seviziato da demoni all’inferno, suscita un sorriso di distacco intellettuale, evidenziando come diverse opere possano provocare reazioni emotive contrastanti. Questo affresco ha generato numerose polemiche, anche in tempi recenti.

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Charlie Hebdo, 2011

L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo

Tornando al nostro tempo, la mitologia contemporanea è strettamente legata alla nona arte, al mondo del fumetto, delle vignette e della stampa. Il dissenso verso la satira oggi ha conseguenze che possono risultare drammatiche. Il caso più eclatante è stato l’attentato del 7 gennaio 2015 alla redazione di Charlie Hebdo, quando una coppia di estremisti (che si dichiararono affiliati di Al Quaeda) entrò nella sede parigina della rivista e uccise dodici persone ferendone altre undici. Tra le vittime possiamo ricordare il direttore della rivista Stephane Charbonnier (“Charb”) e i vignettisti Jean Cabut (“Cabu”), Wolinski, Verlhac (“Tignous”) e Honoré. La miccia erano state le vignette pubblicate dalla storica rivista francese, che gli estremisti considerarono irrispettose nei confronti della religione islamica.

Questo tragico evento rappresenta il culmine delle tensioni tra le due dimensioni dell’ironia e della fenomenologia della risata, che molti critici avevano evidenziato nel decennio precedente. Emblematico il caso delle vignette pubblicate nel 2005 dalla rivista danese Jyllands-Posten. Non entrando nel merito delle vignette stesse, non possiamo non notare le enormi, sproporzionate e sostanzialmente asimmetriche polemiche che seguirono la pubblicazione. In particolare, gli imam Ahmad Abu Laban e Akhmad Akkari pubblicarono un documento di ben 43 pagine per richiedere aiuto internazionale ai Paesi di cultura musulmana di fronte all’insufficienza delle misure intraprese dal governo danese, colpevole secondo loro di essere troppo accondiscendente nei confronti dei vignettisti.

Charlie Hebdo, 2016
Charlie Hebdo, 2016

Charlie Hebdo, il terremoto di Amatrice e l’hotel Rigopiano

Il caso di Charlie Hebdo, fu dunque il culmine di una tensione alimentata da una crescente legittimazione ideologica della violenza contro i vignettisti politici, visti come emissari di una cultura intenzionata a deridere la religione islamica. Charlie Hebdo fu però criticato anche in contesti culturalmente più laici: ad esempio, il giornale francese osò pubblicare vignette relative alle vittime del sisma di Amatrice nel 2016, suscitando un coro di critiche quasi universale. Le proteste raggiunsero persino le più alte sfere delle istituzioni italiane: l’allora presidente del Senato, Pietro Grasso, evidenziò la mancanza di empatia del fumettista autore di “Seisme à l’italienne“. La vignetta non era divertente né ben costruita: se fosse stata rispettata una tempistica comica più accurata, forse sarebbe stata percepita diversamente, magari come una riflessione profonda sulle problematiche italiane nella gestione di un territorio complesso. Tuttavia, rimaniamo nell’ambito dell’analisi controfattuale.

Un’analoga reazione si verificò l’anno successivo con il triste caso dell’hotel Rigopiano, che spinse la rivista francese a pubblicare una vignetta sulla vicenda. In questo caso, la risata non aveva l’obiettivo di generare un sorriso empatico, ma piuttosto di riflettere sulle responsabilità di chi è incapace di creare strutture adeguate a resistere a fenomeni meteorologici. Dal punto di vista della dissacrante cultura francese, la lettura della vignetta era chiara, ma alcuni, meno abituati alle sottigliezze della satira politica francese, percepirono una (inesistente) derisione delle vittime.

Il caso dell’italiano Gianluca Costantini

E oggi, qual è lo stato della libertà di stampa nella satira politica? A giudicare dalle notizie più recenti, non ottimale: il fumettista saudita Mohammed al-Hazza è stato incarcerato nel 2018 ed è stato condannato a ben 23 anni di carcere poiché le sue vignette, pubblicate sulla rivista qatariota Lusail, criticavano la rottura diplomatica del suo Paese con il Qatar. Complicata è anche la condizione dell’egiziano Ashraf Omar, arrestato il 22 luglio 2024 e ancora in attesa di un processo.

L’autore italiano attualmente più censurato è forse il fumettista Gianluca Costantini, che venne condannato in contumacia dal governo turco per terrorismo il 28 luglio 2016 a seguito del fallito colpo di stato in Turchia. Anche le critiche al governo israeliano, in particolare al premier Netanyahu, sono state mal digerite da parte di alcuni gruppi di pressione: nel 2018 Costantini fu costretto a interrompere la collaborazione con la CNN a seguito di una vignetta del 2015. “Casi del genere sono moltissimi in tutti i Paesi del mondo: negli Stati Uniti ad alcuni vignettisti sono stati cancellati i contratti con grandi quotidiani perché hanno parlato di Netanyahu. I disegnatori sono tra i primi che vengono censurati quando un governo diventa autoritario”, ha detto lo stesso Costantini durante un incontro sul tema della censura politica durante il festival di Lucca Comics & Games 2024.

Una vignetta di Garry Trudeau
Una vignetta di Garry Trudeau

La censura del Washington Post ad Ann Telnaes

Analogamente alle tendenze politiche e sociali, esistono congiunture favorevoli e altre meno propizie alla satira. Ad esempio, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, la satira americana conobbe un momento di gloria, rivendicando la libertà di stampa e la dignità artistica del lavoro intellettuale dei vignettisti. Capofila di questa epoca fu probabilmente lo spassosissimo Doonesbury di Garry Trudeau, in cui il presidente USA di allora, George W. Bush, venne raffigurato come un asterisco, simbolo di assenza, rappresentazione politica di valori situati a margine. La debolezza politica di Bush divenne improvvisamente graficamente e dolorosamente evidente.

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La vignetta censurata di Ann Telnaes
La vignetta censurata di Ann Telnaes

Sempre negli Stati Uniti, in questi giorni si sta parlando molto delle dimissioni della vignettista premio Pulitzer Ann Telnaes, storica figura del giornale di orientamento centrista The Washington Post. Le dimissioni sarebbero state causate dal rifiuto della testata di pubblicare una pungente vignetta che rifletteva (in maniera veramente divertente) sul riallineamento della testata di proprietà del magnate di Amazon Jeff Bezos a favore delle società tecnologiche che hanno finanziato la rielezione del neopresidente USA Donald Trump. Si verificherà anche oggi ciò che accadde nei primi anni Duemila, ovvero una risposta vitale delle parti più sensibili alla libertà di stampa della società? Rinascerà ancora una volta dalle sue ceneri l’araba fenice della satira politica? Quello che è sempre più evidente è la dimensione ormai indiscutibilmente culturale, politica e analitica delle vignette e della satira, emancipate come linguaggio artistico autonomo. Come sempre, il fumetto si presenta come una generazione in anticipo rispetto al resto delle arti, e almeno un paio di generazioni avanti rispetto all’evoluzione della sensibilità sociale. Le vignette risultano oggi più che mai, come rileva Renat Kuenzi in un articolo pubblicato da Swissinfo.ch, dei veri e propri “sismografi della libertà d’informazione”.

Thomas Villa

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