Discendente di nobili famiglie, 57 anni, ha una laurea in architettura a Ca’ Foscari, poi si è specializzato nel restauro: è direttore della fondazione Venetian Heritage
È un monument-man in tempo di pace, un agit-prop della conservazione dei monumenti e un eccezionale fundraiser. Nato a Venezia e cittadino del mondo, Toto Bergamo Rossi è un restauratore italiano. Ha imparato questo mestiere grazie a una borsa di studio Icrom-Unesco. Tra i suoi restauri figurano l’arcone centrale della Basilica di San Marco, gli affreschi di Tiepolo a Ca’ Rezzonico, gli stucchi di Palazzo Albrizzi, il monumento al Doge Tron ai Frari e anche opere extra-moenia: il portale della Chiesa di Saint-Croix a Bordeaux, la fontana di piazza Campitelli a Roma. Tra i suoi incarichi anche quello di consulente artistico della Fondazione Thyssen-Bornemisza e di Palazzo Te a Mantova. Ma è dal 2010, con la nomina a direttore di Venetian Heritage Foundation che il suo destino ha preso quella giusta piega, come le sue giacche, e la sua attività gli è stata riconosciuta con l’attribuzione del prestigioso European Heritage Awards di Europa Nostra.
La Fondazione Venetian Heritage festeggia 25 anni: qual è il suo intento?
«È un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che supporta progetti culturali a Venezia e nelle aree che un tempo facevano parte della Serenissima. È una bellissima esperienza che dirigo dal 2010. Prima facevo il restauratore e collaboravo da esterno con la fondazione per una campagna di restauro sulla Costa Dalmata, che interessava le città di Tarù e Spalato. La cattedrale di Tarù ha finestre che ricordano quelle della Ca’ d’Oro e, in cima al campanile, ci sono quattro statue dello scultore veneziano Alessandro Vittoria. Lì abbiamo organizzato training e borse di studio per aiutare gli artigiani locali a salvare i monumenti della costa».
Quanti capolavori ha salvato Venetian Heritage?
«Capolavori come la “Deposizione” di Luca Giordano, la cui opera è fondamentale per comprendere i Tenebrosi di metà Seicento, e il “Castigo dei Serpenti” di Giambattista Tiepolo. Alcuni fra i più importanti interventi sono i restauri della facciata della chiesa dei Gesuiti, della facciata della chiesa di San Zaccaria, opera tra le più grandiose del primo Rinascimento e il restauro della pala gotica d’argento dorato della chiesa di San Salvador, intervento reso possibile grazie al supporto della maison Louis Vuitton».
L’intervento più significativo?
«L’intervento più significativo è stato il riallestimento della collezione di sculture classiche a Palazzo Grimani dopo 430 anni. Questo luogo era aperto dal 2009, ma non aveva alcun seguito prima del riallestimento della collezione. Abbiamo riportato le sculture e ora luogo di meta in città. Si devono offrire chiavi di accesso ai monumenti, anche ai giovani, che poi è stata la pecca di chi in Italia voleva che la cultura restasse per pochi eletti».
Come è cambiata l’attività della Fondazione dal 2010?
«Siamo cresciuti. Nel 2010 era una no-profit Usa con base a Venezia. Ora abbiamo due fondazioni, una in Usa una in Italia con due Cda. Così raccogliamo molto di più per i restauri».
Il progetto più importante tra quelli in corso?
«Il riallestimento della Ca’ d’Oro, un progetto da nove milioni, con l’aiuto di privati, che dovrebbe concludersi nel 2027. È un complesso restauro architettonico e ci occupiamo in toto della gestione dell’edificio. La Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro è una delle raccolte museali più importanti in città per la qualità delle opere di diverse epoche e tipologie e uno dei capisaldi del collezionismo privato confluito in raccolte pubbliche, una concentrazione di capolavori scultorei provenienti da contesti monumentali dispersi».
Il ruolo delle mostre organizzate da Venetian Heritage?
«Venetian Heritage ha organizzato e finanziato importanti esposizioni a Venezia, Berlino, Houston, Vienna, Parigi, Perth. “Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 – 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia” è stata la prima grande mostra dedicata alla scultura veneta e ha accompagnato il visitatore in un itinerario diffuso in città. In occasione della ricorrenza dei 500 anni della creazione del Ghetto ebraico di Venezia abbiamo finanziato l’esecuzione del progetto di restauro e riorganizzazione del Museo Ebraico».
La sua vita è passata da quella di restauratore di materiali a quella di instauratore di relazioni umane di alto livello…
«Attualmente sono 24 i comitati privati che operano per la salvaguardia di Venezia e il loro collegamento è presieduto da Paola Marini, già direttrice delle Gallerie dell’Accademia. Poi ci sono i rapporti internazionali. Le relazioni sono importanti ma, soprattutto, gli obiettivi. Ora ci stiamo muovendo su nuovi temi, non solo restauri bensì campagne culturali, come quella che ha portato allo stop per le grandi navi. Ora vogliamo contrastare il diffondersi capillare dei bed and breakfast, che stanno distruggendo la città».
Già, per Marsilio lei ha pubblicato un libro intitolato «L’arte di vivere a Venezia»: cosa serve?
«Venezia è una signora di una certa età che va trattata bene e sostenuta come una vecchia zia. Saperla vivere vuol dire rispettarla e tenerla viva implementando economia locale e mettendo in valore quanto ha di molto notevole. Lo capiscono i non veneziani come Pinault, Prada e molti altri… Credo che Venezia vada intesa come la New York del Rinascimento».
Abita sempre a Rio Marin, in quella casa con i materni stemmi della famiglia Colleoni?
«L’ho venduta perché anche quel Palazzo stava diventando un bed and breakfast. Peccato, ci aveva abitato Henry James, ma negli ultimi anni non c’era rispetto: fit-flop abbandonate, chiavi rotte per terra, sacchetti. Ho comprato, sempre a Rio Marin, un piccolo casino del Settecento e tra un po’ avrò finito di metterlo a posto. Ha un giardino ciclopico».
Anche l’anello che porta al dito è di famiglia?
«Spesso indosso anche un anello con inciso con lo stemma della famiglia di mia madre, i Colleoni. Bergamo Rossi è il nome di mio padre, ma non era di qui e non ho mai trascorso del tempo con quella parte della famiglia».
Un altro suo libro è proprio su «I giardini di Venezia», scritto con Marco Bay…
«I giardini erano tenuti male a Venezia. Iniziò Alessandro Albrizzi a restaurare il suo negli anni Ottanta. Da allora molti privati si sono impegnati nel recupero dei propri giardini e, infine, ora sono stati risistemati anche i giardinetti pubblici dietro le Procuratie. Il libro costituisce un vero e proprio viaggio tra i giardini di Venezia, dai più sontuosi custoditi nei palazzi nobiliari affacciati sul Canal Grande a quelli più intimi delle isole della laguna. L’evoluzione del giardino veneziano è intrinsecamente legata alla storia e alle vicissitudini della Serenissima».
Lei è anche un collezionista?
«Purtroppo, un po’ lo sono. Colleziono libri d’arte, mobili e scultura sei-settecentesca. Ho acquistato anche uno specchio veneziano del XVIII secolo: è appeso come se fosse nato a casa mia. È fatto di noce, ricoperto di oro e rocaille e ha molti altri piccoli specchi intorno, tutti incisi».
Ha collaborato anche con la rassegna «Homo Faber» della Fondazione Cini?
«Sì, ho grande passione per l’artigianato, mi considero uno che viene dalla cultura materiale. La storia dell’artigianato a Venezia è storia di alta qualità. Forse per questa attenzione mi è stato conferito il Premio MAM Sostenitore dei Mestieri d’Arte nella sezione “Istituzioni per i mestieri d’arte”».
Il suo luogo del cuore fuori Venezia?
«Direi la Cappella del Santo a Padova, dove ho lavorato due anni, che è il capolavoro di Antonio e Tullio Lombardo. Con Venetian heritage abbiamo anche organizzato una mostra sulla scultura veneziana, che comprendeva opere di Tullio Lombardo. Poi amo le ville palladiane, come La Malcontenta e, naturalmente, la costa croata».
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