L’introduzione di una tassa climatica sugli alimenti più inquinanti come sarebbe accolta dai consumatori? La comunicazione deve essere chiara ed efficiente perché l’idea sia accettata, ma quello che conta ancora di più è che le emissioni di gas a effetto serra non dipendono solo dall’agricoltura: ogni settore produttivo deve fare la sua parte
Una tassa climatica sugli alimenti inquinanti piacerebbe ai consumatori?
E se gli alimenti più inquinanti pagassero una tassa climatica? È un’idea che si sta facendo strada in Germania nel tentativo di arginare le emissioni inquinanti degli alimenti. Un’idea che – se trovasse sponde in altri paesi – potrebbe fare la differenza sul rapporto tra agricoltura e ambiente.
Gas a effetto serra e aumento della temperatura globale
In Germania l’agricoltura è responsabile dell’8% di tutte le emissioni di gas a effetto serra, che sono all’origine dell’aumento della temperatura globale. Questi gas, ricordiamo, sono una conseguenza delle attività umane e una causa del cambiamento climatico: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFCs), perfluorocarburi (PFC) ed esafluoruro di zolfo (SF6).
Un gruppo di ricerca tedesco ha condotto uno studio da cui emerge che le emissioni dell’agricoltura potrebbero diminuire del 22,5%, ovvero di oltre 15 milioni di tonnellate di gas a effetto serra.
Lo studio On the emission and distributional effects of a CO2eq-tax on agricultural goods – The case of Germany è stato appena pubblicato in “Food Policy”.
In Danimarca la prima tassa climatica sulle emissioni del bestiame
I ricercatori sono partiti dal fatto che il prezzo del carbonio ha dimostrato di essere uno strumento efficace per ridurre le emissioni; in Francia, ad esempio, le aziende manifatturiere hanno ridotto le emissioni.
Quello che però la ricerca porta all’attenzione è che per avere un risultato efficace non basta ridurre le emissioni in un singolo settore bensì tutti i settori devono fare la loro parte.
Per quanto riguarda l’agricoltura, esistono vari strumenti politici che vanno dagli schemi agroambientali ai sussidi, dalle tasse sui fertilizzanti alla certificazione biologica. Tuttavia, in agricoltura finora non esiste ancora un prezzo del carbonio in sé; in Danimarca si prova a passare dalle parole ai fatti introducendo una tassa climatica sulle emissioni del bestiame dal 2030.
Cresce la popolazione, crescono le emissioni
A livello globale, sostengono i ricercatori, l’agricoltura, la silvicoltura e altri usi del suolo rappresentano il 22% delle emissioni totali annue di gas serra. A causa dell’aumento della popolazione e dei cambiamenti nella dieta si prevede che tali emissioni aumenteranno fino all’80% entro il 2050.
In pratica, basterebbe da solo l’aumento delle emissioni agricole per superare il limite di 1,5°, ma probabilmente anche quello di 2° perfino nel caso – ovviamente impossibile – che tutti gli altri settori produttivi raggiungessero miracolosamente la neutralità carbonica.
L’80% delle emissioni di CO2 del settore agricolo nell’Unione Europea viene da carne e prodotti lattiero-caseari, con un evidente contributo al cambiamento climatico.
Gli effetti della riduzione degli allevamenti
Spiegano i ricercatori che «circa l’83% dei terreni agricoli mondiali, fornendo solo il 37% delle nostre proteine e il 18% delle nostre calorie.
Ridurre l’allevamento di bestiame potrebbe contribuire ad allentare la pressione sui mercati fondiari, liberando il potenziale per opzioni di mitigazione del clima basate sulla terra come l’imboschimento e la riumidificazione delle torbiere.
Inoltre, aumenterebbe la quota di terreni per la produzione di alimenti vegetale per gli esseri umani, riducendo i prezzi alimentari globali e aumentando la sicurezza alimentare in particolare per i consumatori del Sud del mondo».
Prezzi di mercato e costi climatici
In virtù di queste considerazioni, la Germania ha proposto diverse misure per ridurre le emissioni di gas climateranti, ma non si è quantificato il prezzo, analisi che invece propone il presente studio: infatti, i prezzi di mercato non includono i costi climatici.
Introdurre una tassa climatica sugli alimenti più inquinanti darebbe un contributo ambientale significativo ma modificherebbe i prezzi. L’aumento dei prezzi ricadrebbe sui consumatori, che dovrebbero decidere se pagare di più per il rispetto dell’ambiente.
Inoltre, tassare i produttori o i consumatori è una differenza fondamentale.
Consumatori e tassa climatica sugli alimenti più inquinanti
Il costo sociale del carbonio stima i danni economici che deriverebbero dalla maggiore emissione di carbonio nell’atmosfera in futuro. I prodotti ad alta intensità di emissioni come carne e latticini sarebbero i più colpiti da una tassa climatica, i prezzi per i prodotti più sostenibili aumenterebbero di meno.
Nel modello elaborato dai ricercatori, gli 8,2 miliardi di euro generati dalla tassa climatica sugli alimenti vengono restituiti ai consumatori come dividendo climatico: un notevole sollievo per famiglie a basso reddito, mentre le famiglie più ricche sosterrebbero costi leggermente più elevati.
Come sarebbe accolta una eventuale tassa climatica sugli alimenti più inquinanti? Una comunicazione chiara ed efficace deve far sapere ai consumatori che questa misura ridurrebbe le emissioni, che i ricavi sarebbero restituiti alle persone e che le famiglie a basso reddito riceverebbero un aiuto consistente.
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