Uta, ricorso al Tar contro il no del Ministero  al maxi  parco fotovoltaico

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Gli uffici ministeriali lo avevano definito «lacunoso, confuso,  a tratti incoerente. Incongruente». E lo avevano bocciato. Ora la società Diomede Srl di Roma ha presentato ricorso al Tar contro il parere negativo del Mase reso lo scorso 7 novembre sul progetto per un maxi impianto fotovoltaico a Serra Taccori, in territorio di Uta: oltre 130 mila pannelli di silicio  su oltre 40 ettari di terreno.

A  dare notizia dell’impugnazione del provvedimento è il Gruppo di intervento giuridico: «Oltre alle carenze progettuali e di analisi del territorio», spiegano dall’associazione, «emerse nel corso del procedimento di Via, l’area individuata è un esempio del tipico paesaggio archeologico della Sardegna». Così, dopo le osservazioni presentate durante l’iter di autorizzazione, il Grig preannuncia che «farà la sua parte anche davanti al Tar Sardegna per la difesa del paesaggio rurale archeologico del territorio sardo interessato, che non può e non dev’essere asservito – al pari del resto d’Italia – a una monocoltura industriale energetica palesemente sovradimensionata rispetto alle reali esigenze». 

A spulciare l’immensa mole di documenti depositati per formulare la valutazione negativa ci si imbatte in pesanti obiezioni sollevate sull’impianto in sé, sui rischi per il paesaggio, ma anche sull’impatto cumulativo: a poca distanza, sempre a Uta, c’è un’altra immensa distesa di pannelli. E il parere dei tecnici ministeriali ha guardato anche a quelli: troppi, la Sardegna rischia un’invasione.

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Il progetto

 Il procedimento ministeriale è andato avanti per due anni: la società aveva presentato l’istanza il 10 ottobre del 2022. In prima battuta il parco sarebbe dovuto essere anche più impattante di quello che è stato bocciato: l’estensione complessiva prevista era di 2.207.790 metri quadrati. Ma dopo aver letto le prime carte era piovuta una lunga sequenza di pareri contrari, anche da parte di vari uffici della Regione. Tra le altre cose, l’assessorato all’Urbanistica aveva sottolineato che parte dell’impianto sarebbe ricaduta in area non idonea a causa di interferenze archeologiche. Per quello che poteva valere, questa obiezione, assieme ad altre, aveva contribuito a una riscrittura del piano.

Così ecco i nuovi numeri, comunque giganteschi: una superficie di 41,09 ettari coperta con 130.480 moduli in silicio monocristallino, per arrivare a una potenza di picco di 92,6 MWp da collegare alla rete elettrica nazionale. Prevista anche una stazione di accumulo che, in futuro, poteva essere realizzata con batterie al litio.

La Diomede Srl aveva illustrato tutti i presunti benefici e lo scarso impatto, con una dismissione prevista dopo 20 anni di attività. C’era anche l’ipotesi di continuare a coltivare sotto i pannelli. Ma al Ministero l’hanno vista in modo diametralmente opposto.

I pareri

La commissione tecnica Pniec-Pnrr, istituita per affrontare la gigantesca mole di progetti per le rinnovabili, aveva scritto: valutata la documentazione si «ritiene che il progetto sia stato descritto in maniera lacunosa e confusa». A ridosso dell’impianto ci sarebbe una cava che non viene menzionata. I pannelli sarebbero «prospicienti ad aree di ricolonizzazione naturale». Ancora: «La documentazione presentata dal proponente non riporta esattamente l’uso dei suoli in essere, nel passato e la destinazione d’uso delle particelle catastali su cui s’insiste l’impianto». Le coltivazioni garantite? «L’esigua distanza interfilare dei moduli fotovoltaici proposta, pari a 3,50 metri, non consentirebbe l’effettiva conduzione agricola del fondo». Rilevate anche incongruenze dimensionali: a secondo del documento presentato, e delle esigenze tecniche, l’estensione dell’impianto passa da 110 ettari ad appena 102. Rilevata anche «la non coerenza tra le superfici perimetrate e le informazioni relative alle stesse».

La commissione «ritiene che il proponente non abbia considerato adeguatamente tutte le alternative tecnologiche e localizzative del progetto». E questo solo per stare al parere generale: quando si scende nel dettaglio su studio dei suoli, qualità dell’aria o di possibili rischi archeologici i giudizi sono ancora più sferzanti e puntali.

Il paesaggio

C’è poi il parere del ministero della Cultura: «La visibilità dell’impianto, connotato di una forte valenza tecnologica, risulta incoerente con l’identità del contesto, attualmente caratterizzato dalla somma di elementi antropici storico-testimoniali e da morfologie e soprasuoli naturali». Casterebbe questo. Ma si legge anche che l’impatto «appare significativo dal complesso nuragico di “Serra Taccori” e anche da alcuni punti di vista panoramici». seguono decine di pagine di stroncature. Che hanno portato il Mase a dire no al nuovo fotovoltaico a Uta. Ora la decisione passa al Tar Sardegna. 

Enrico Fresu  

© Riproduzione riservata

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