Una sentenza storica sui respingimenti di migranti in Grecia

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Martedì la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), uno dei più importanti tribunali internazionali e legato al Consiglio d’Europa, ha emesso una sentenza in cui per la prima volta riconosce l’esistenza di respingimenti sistematici delle persone migranti che cercano di entrare in Grecia dalla Turchia, una pratica illegale dal punto di vista del diritto nazionale e internazionale. Ormai da anni i respingimenti di migranti da parte delle autorità greche erano documentati da ong e giornali: finora però il governo greco, che dal 2019 è controllato dalla destra, ha sempre respinto categoricamente ogni accusa.

Nello specifico, il caso su cui la Corte si è espressa era quello di A.R.E. v. Greece. A.R.E. è l’acronimo del nome di una donna turca di 32 anni che a marzo del 2019 fu condannata da un tribunale turco con l’accusa di far parte del movimento del religioso turco Fethullah Gülen, considerato dal governo turco un’organizzazione terroristica: Gülen è stato uno dei principali oppositori del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan fino quasi alla sua morte avvenuta nell’ottobre del 2024.

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A.R.E. scappò dalla Turchia e arrivò in Grecia attraversando il fiume Evros, che segna il confine fra i due paesi. La mattina del 4 maggio 2019 contattò via WhatsApp il fratello, che già viveva in Grecia dal 2018 e aveva già fatto richiesta di asilo, e attivò la geolocalizzazione in tempo reale. Secondo il suo racconto, nel primo pomeriggio, mentre stava aspettando un avvocato nella piazza centrale del paese di Nea Vyssa, vicino al confine, la polizia la arrestò e portò al valico di frontiera di Neo Cheimonio.

Lì sarebbe stata tenuta per diverse ore, durante le quali avrebbe chiesto di poter presentare una domanda d’asilo, suo diritto secondo la legge greca ed europea. La polizia invece l’avrebbe portata in un’altra stazione di polizia dove le avrebbe sequestrato scarpe, denaro e cellulare. Da lì, ha raccontato, è stata messa su un camion insieme ad altre persone migranti e portata sul fiume, dove un gruppo di persone che indossavano dei passamontagna l’ha fatta scendere e caricata insieme agli altri su un gommone, che è poi stato inviato sulla sponda turca. Sull’altra sponda è stata arrestata dalla polizia turca ed è stata detenuta.

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Attraverso il Consiglio greco per i rifugiati A.R.E. ha quindi presentato un ricorso alla corte d’appello della Tracia, la regione greca dove era arrivata. La corte l’ha respinto per insufficienza di prove, dicendo che la polizia greca «non ha mai svolto» attività di questo tipo. Così A.R.E. ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che invece le ha dato ragione.

La Corte ha infatti giudicato il suo racconto come coerente, attendibile e corroborato da diverse prove, mentre ha ritenuto che il governo greco «non fosse riuscito a confutare le prove in questione fornendo una spiegazione alternativa soddisfacente e convincente».

Ha quindi decretato che fosse estremamente probabile che A.R.E. fosse stata vittima di un respingimento illegale e che il governo greco avesse violato l’articolo 3 e l’articolo 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: sono due articoli che rispettivamente proteggono le persone dal subire «trattamenti inumani e degradanti» e che sanciscono il loro diritto a un «ricorso effettivo», cioè a un giusto processo, davanti a un tribunale nazionale, qualora sostengano che i loro diritti siano stati violati. Per questo ha ordinato che il governo greco risarcisca A.R.E. con 20mila euro.

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Per quanto riguarda la sistematicità della pratica dei respingimenti illegali, la Corte ha citato un «numero significativo, una varietà e una concordanza delle fonti pertinenti», che includono «numerosi rapporti ufficiali» di organizzazioni come il Consiglio d’Europa e del Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti, ma anche molte «denunce e testimonianze» di persone migranti, che sostengono di essere state rimandate illegalmente verso la Turchia dopo essere entrate in Grecia, senza aver avuto la possibilità di presentare domanda d’asilo.

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L’accusa di «sistematicità» della Corte si riferisce solo alla regione di Evros, ma le testimonianze includono anche moltissimi respingimenti avvenuti nel tratto di mare fra le coste della Turchia e le isole greche. I casi aperti contro la Grecia per respingimento illegale alla Corte europea dei diritti dell’uomo, del resto, sono decine. Anche l’Italia nel 2012 aveva ricevuto una condanna simile: anche per questa ragione negli anni successivi ha stretto accordi con paesi non vincolati alla Corte e alle leggi europee in materia d’asilo, come Libia e Tunisia, per delegare a loro i respingimenti di migranti.

Alla Corte, si legge nel comunicato stampa della sentenza, è stato «dimostrato che l’arresto e la detenzione di migranti irregolari – cioè una sorta di sparizione forzata temporanea – facevano parte del modus operandi rilevato in relazione alla pratica dei “pushback”», cioè dei respingimenti.

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In passato la Corte aveva già condannato la Grecia in situazioni che erano state descritte come respingimenti illegali, ma sempre per motivazioni diverse, dicendo che non c’erano prove per affermare con certezza che una violazione fosse avvenuta in quel contesto.

Il Consiglio greco per i rifugiati ha detto che il caso di A.R.E. potrà ora essere usato come precedente in molte altre cause simili. Di solito questi casi sono estremamente difficili da analizzare, data la frequente mancanza di prove: per le persone respinte è quasi impossibile riprendere tutto con telefoni o altri dispositivi. Proprio martedì la Corte ha anche respinto, in una sentenza separata, la denuncia di un richiedente asilo afghano che aveva accusato le autorità greche di averlo abbandonato quando era minorenne su un gommone nel Mar Egeo, con l’obiettivo di rimandarlo in Turchia. La Corte ha infatti detto che l’uomo non era stato in grado di provare sufficientemente le sue accuse e che le sue dichiarazioni erano state «contraddittorie e incoerenti».

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