In diretta social con Weidel: «Solo AfD può salvare la Germania». Le regole europee servono a monitorare anche che X non amplifichi l’esposizione di AfD distorcendo la competizione elettorale, ma il nodo è soprattutto politico. E mentre la nuova amministrazione Usa tratta l’Ue da pugile suonato, von der Leyen scrive: «Insieme siamo più forti»
«Raccomando di votare Alternative für Deutschland perché solo AfD può salvare la Germania. E insisto su questo punto». È solo uno dei casi più sfacciati, la diretta social condotta questo giovedì, a ridosso del voto in Germania, su X da Elon Musk – proprietario della piattaforma, uomo più ricco del mondo, presenza costante al fianco del presidente eletto degli Stati Uniti, futuro membro dell’amministrazione americana, sostenitore dell’estrema destra in Germania e in Europa, e soprattutto: tutte queste cose messe insieme – con la leader di Alternative für Deutschland Alice Weidel, analista di Goldman Sachs prima di indirizzare la sua visione neoliberista e deregolamentatrice dentro il partito postnazista tedesco.
In una «conversazione» nella quale i due si davano ragione a vicenda, con Weidel che «contenta finalmente di non essere interrotta o etichettata negativamente» si è sbizzarrita (Merkel «cancelliera verde che ha rovinato il paese», Scholz «un cretino», Merz «uno di sinistra», Hitler «un comunista» e in tutto questo Musk che diceva «sì, sì»), sicuramente il punto di intesa più immediato è quello in cui la leader di AfD annuncia di «voler ridurre la burocrazia» e il (tra le altre cose) proprietario di Tesla ricorda «regole folli» quando ha impiantato «la mia azienda vicino Berlino».
Rottura discorsiva
Ma è solo uno dei casi più sfacciati, appunto: ci sono gli attacchi alla Danimarca con le mire sulla Groenlandia di Donald Trump, ci sono le campagne destabilizzatrici contro il governo laburista britannico con tanto di invocazione perché «l’America liberi la Gran Bretagna dal suo governo tirannico», e così via.
L’ipotesi che siano solo parole in libertà (o free speech, sarebbe la versione di Musk) non tiene conto né della posizione dominante (politica ed economica) di chi le pronuncia, né tantomeno della lezione che in tempi non sospetti ci aveva dato il semiologo Roland Barthes: «Le grandi mutazioni sono legate non già a dei solenni avvenimenti storici, ma a ciò che si potrebbe definire delle “rotture di discorsività”». Le forme espressive segnalano la mutazione di «un sistema di valori», e in questo caso la portata è così ampia che farla coincidere con la mera applicazione da parte dell’Ue del suo Digital Services Act (la legislazione europea sui servizi digitali che dovrebbe tutelare il nostro spazio democratico) risulta riduttivo persino per chi di diritto si occupa. «L’opposizione al potere plutocratico di Musk non può essere lasciata alle regole esistenti», conclude ad esempio il giurista europeo Alberto Alemanno. La questione è «etica», dice lui; ma, soprattutto, il nodo è la volontà politica.
La presidente assente
Mentre Olaf Scholz va a perdere le elezioni, Emmanuel Macron deve fugare le voci di presidenziali anticipate e Giorgia Meloni è concentrata sul suo «rapporto privilegiato» con la futura amministrazione Usa, quest’ultima prende a colpi l’Europa come fosse un pugile suonato: la leadership a Bruxelles ondeggia. Dopo essere rimasta silente per giorni, e dopo che i suoi portavoce hanno provato in giornata a far passare la versione che la Commissione non volesse amplificare le vicende Trump-Musk, questo giovedì Ursula von der Leyen – mentre era in corso la diretta di Musk – ha twittato che «gli Usa sono uno dei nostri partner più stretti e siamo impegnati a rafforzare il legame». Certo, ha aggiunto che «per l’Ue è essenziale proteggere la democrazia», ma ha concluso il nessaggio con «un impegno positivo verso la nuova amministrazione: insieme siamo più forti», ha detto. Questo mentre Musk diceva col suo megafono che «solo AfD» salverà la Germania.
In tutto questo dal 3 gennaio von der Leyen ha cancellato tutti gli appuntamenti per riprendersi da una grave polmonite; la bolla brussellese ha quindi preso a interrogarsi su come mai qualcuno non potesse sostituirla, ma chi ha seguito l’operato di von der Leyen intuisce la risposta. Oltre a essere stata soprannominata nell’autunno 2022 «la presidente americana» da Politico, che segnalava così le attenzioni della presidente verso Washington, von der Leyen negli ultimi mesi si è anche attirata l’etichetta di accentratrice: il modo in cui ha articolato la nuova Commissione e la distribuzione di competenze è concepito perché nessun altro possa spiccare se non lei. Una figura critica verso von der Leyen e soprattutto verso Musk come Thierry Breton – l’ormai ex commissario francese che avrebbe dovuto essere riconfermato – è stata silurata.
La vicepresidente che per competenze spicca è Teresa Ribera; peccato che i popolari (di von der Leyen) abbiano fatto di tutto per delegittimarla giocando in coppia con l’estrema destra. E questo giovedì, in simultanea con l’annuncio che sarebbe stata Ribera a condurre il prossimo collegio dei commissari, l’entourage di von der Leyen ha fatto filtrare che il vero piatto forte di quel collegio, la “bussola sulla competitività” (tema che riguarda Ribera), slitterà fino al rientro della presidente.
Regole digitali
Intanto l’estrema destra tuona: «Il Dsa minaccia la democrazia! 150 funzionari Ue dovrebbero monitorare la mia conversazione con Musk!», ha scritto questo giovedì su X Weidel. «Ridicolo», commenta con Domani l’eurodeputata tedesca Alexandra Geese, esperta di temi digitali (per i Verdi era responsabile del dossier Dsa): «Quel numero è semmai il numero di tutte le persone che lavorano nell’unità responsabile. Weidel dovrebbe spiegare come mai negli ultimi giorni la sua visibilità su X è aumentata esponenzialmente». Ed è questo il nodo: «Il Dsa non dice che un’intervista su X non si può fare, ma verifica una sua eventuale amplificazione algoritmica che distorce la competizione elettorale».
La vicepresidente finlandese con delega alla «sovranità digitale» Henna Virkkunen questo giovedì fino al tardo pomeriggio è rimasta silente; il commissario Ue alla Giustizia ha detto un lapalissiano: «Se X viola le regole possiamo intervenire». Una riunione della Commissione con le autorità tedesche e X per discutere dei «rischi in vista del voto» è prevista solo il 24 gennaio. Tra gli eurodeputati c’è chi sollecita un dibattito in plenaria. Le regole non bastano: serve voce a Bruxelles.
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