La chiave che ha aperto la cella di Cecilia Sala nel carcere di Evin ha iniziato a girare nella serratura sabato sera a Mar-a-Lago, nella villa di Donald Trump in Florida. Da lui, il presidente eletto americano, Giorgia Meloni ha ottenuto il via libera politico per scarcerare Mohammed Abedini: entro mercoledì prossimo, quando si riunirà la Corte di Appello di Milano sul suo caso, e salvo imprevisti, l’ingegnere iraniano dovrebbe essere rilasciato per fare ritorno a Teheran con il placet del Guardasigilli Carlo Nordio, ricevuto ieri da Meloni a Palazzo Chigi. «Un successo che certifica l’efficacia della diplomazia italiana e rafforza il ruolo del nostro Paese nel mondo» si lascia andare la presidente del Consiglio con i suoi consiglieri più stretti quando Cecilia è già sul Falcon dei Servizi di ritorno dall’Iran. E se non manca uno sfogo per le «inutili polemiche di una parte delle opposizioni» ripreso in serata nel documento per i parlamentari di Fratelli d’Italia, Ore Otto (nel mirino c’è soprattutto Matteo Renzi) prevale la soddisfazione per una «vittoria dello Stato» su cui «ho messo la faccia», il segnale di «un netto miglioramento» nei rapporti con gli Stati Uniti da quando c’è lei nella stanza dei bottoni.
IL BLITZ AMERICANO
Ce l’ha messa davvero la premier, a Mar-a-Lago. Durante il blitz che in 24 ore ha sbrogliato la matassa del Sala-gate, concepito già a inizio gennaio. Quando nella riunione dei ministri del 2 gennaio Meloni ha avvisato i colleghi di governo spiegando che avrebbe preso di petto la questione e preannunciando una imminente visita dal presidente repubblicano. Un rischio, esporsi con il nuovo leader americano. Ma è andata bene in Florida. Trump ha ascoltato la premier italiana difendere le ragioni di un salvataggio, quello di Cecilia, che è sempre stato «una questione di interesse nazionale». E ha acconsentito al rilascio di Abedini dal carcere ma in tempi rapidi, prima dell’Inauguration Day del 20 gennaio – dove Meloni valuta di presentarsi – per far ricadere eventuali responsabilità politiche sull’amministrazione Biden agli sgoccioli. Di lì la trattativa per la liberazione si è fatta in discesa.
Una discesa però non priva di ostacoli. Su un punto si è imperniato il dialogo segreto sull’asse Roma-Washington-Teheran. Evitare a tutti i costi uno “scambio di ostaggi”, stile ponte delle spie ai tempi della Guerra Fredda: Sala al posto di Abedini, come chiedevano gli iraniani. «Sarebbe stato un precedente pericoloso» spiegano fonti ai vertici del governo. Tanto per Palazzo Chigi quanto per la Casa Bianca, per nulla disposta a far passare il messaggio di un ricatto di successo da parte di un suo acerrimo rivale. Di qui la tela per arrivare a uno scambio in due tempi e ottenere prima il ritorno di Cecilia a Roma e solo poi negare l’estradizione dell’iraniano. Un passaggio «fondamentale», come ha ricordato ieri Meloni a Nordio nel vis-a-vis. «Una prova di forza del governo» esultano dal cerchio strettissimo della premier.
Sono stati giorni di passione. La luce verde è arrivata da Mar-a-Lago. Lunedì il primo segnale degli iraniani: le condizioni carcerarie di Sala migliorano. Poi una frase chiave pronunciata dal ministero degli Esteri della Repubblica islamica: «Il caso Abedini e quello di Cecilia Sala non sono collegati». È il risultato del pressing di Roma e Washington per disinnescare lo scambio di ostaggi, come poi è avvenuto. Martedì sera il capo dell’Aise Giovanni Caravelli è salito a Napoli su un aereo per Teheran. E Meloni si è confidata già con i suoi più stretti, con buona pace della sua proverbiale scaramanzia: «Ce l’abbiamo fatta». Per poi lasciarsi andare ieri sera: «È stato un bel gioco di squadra che ci ha regalato la grande emozione di vedere Cecilia Sala riabbracciare ancora i suoi genitori», le sue parole al Tg1.
LE PROSSIME MOSSE
Ha lasciato qualche scoria per strada nel governo il crescendo del caso Sala. Sotto il torchio della premier sono finiti in tanti i primi giorni: Farnesina, Giustizia, una parte dei Servizi, il Dis della dimissionaria Elisabetta Belloni, a cui ieri non ha lesinato critiche sulla gestione del caso Sala lo stesso Antonio Tajani, in una riunione ristretta al ministero con alcuni parlamentari di Forza Italia.
Il vicepremier azzurro ha fatto eccome la sua parte con gli iraniani. Oggi convocherà il quintetto (Quint) a Villa Madama per parlare di Iran e della Siria di Al Jolani dove sarà in visita domani per la prima volta. Se alla fine gli ayatollah hanno ceduto è anche perché sperano di contare sulla discreta sponda italiana mentre le geometrie del potere in Medio Oriente cambiano forma e un durissimo scontro con l’America Trump si staglia all’orizzonte. È andata bene e per Meloni c’è un motivo in più per esultare, come scherza con i suoi a cose fatte: «Abbiamo chiuso in tempo per la conferenza stampa di inizio anno…»
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