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Il 15 gennaio a Milano i giudici decideranno se concedere i domiciliari all’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, ma pare ormai assodato che la richiesta di estradizione negli Usa sarà respinta e che alla fine sarà liberato: questo l’esito previsto per la vicenda Sala.
Giorgia Meloni incassa da sola il suo più grande risultato da quando è al governo: tenendo testa agli Usa, in questo caso rafforza la sua leadership.
Ma dovrà pagare pegno agli americani, diventando «la punta di lancia in Europa del sovranismo internazionale».
A dar voce a una convinzione diffusa in Parlamento è Enrico Borghi, membro del Copasir e capogruppo di Italia Viva.
È pacifico infatti che Donald Trump, dopo aver sdoganato il piano Meloni, le chiederà una serie di contropartite.
E lo farà sperando che lei usi nell’arena di Bruxelles quel piglio che le è proprio, esaltato a Mar-a-Lago con quella battuta «Giorgia è fantastica, ha preso d’assalto l’Europa», usata non a caso.
Ma quali siano le implicazioni future, il successo ottenuto dalla premier in prima persona con la liberazione in tempi rapidi della giornalista è un colpo che lascia il segno.
Se avesse pregato per ottenere un viatico di immagine alla vigilia della conferenza stampa d’inizio anno che si terrà oggi, Giorgia Meloni non avrebbe potuto sperare di meglio.
Come mai però gli iraniani non hanno preteso subito una contropartita visibile? È la domanda che col passar delle ore serpeggia tra i corridoi di Montecitorio. Pure il Wall Street Journal scrive che «nel quadro di una liberazione di Sala, ci si aspetta che l’Italia rilasci Abedini».
E infatti, salvo accelerazioni, dovrebbe finire così: tra una settimana, se il Tribunale di Milano non concederà gli arresti domiciliari al prigioniero iraniano Abedini, il ministro della Giustizia Carlo Nordio dovrebbe farlo rilasciare con una sua autonoma decisione nella sua veste di guardasigilli.
In omaggio alle regole di uno Stato di diritto, non si è potuto procedere subito con un rilascio immediato. Ma Nordio ha fatto capire l’antifona, quando, uscendo dal colloquio con Meloni a Palazzo Chigi, ha declamato che «l’estradizione del cittadino svizzero-iraniano, fermato a Milano in base al mandato d’arresto internazionale spiccato dagli Stati Uniti, sarà valutata secondo i parametri giuridici».
L’esito del no all’estradizione ormai è scontato ed è questione di giorni. Così gli ayatollah otterranno quanto si prefiggevano prelevando la giornalista italiana nel suo albergo a Teheran dopo l’arresto del loro concittadino si richiesta degli Usa.
L’Italia purtroppo si è trovata nel crocevia di una sfida tra potenze. Di certo, le modalità con cui sono state condotte le trattative sono da manuale: anche le opposizioni lo hanno riconosciuto, pur rivendicando il profilo responsabile tenuto in questi giorni.
La tempistica tra il viaggio in Florida della premier e la liberazione di Sala è emblematica. La premier ha ottenuto il via libera da Trump, che avrebbe detto, in sostanza: fino a quando non mi insedierò io, fate quello che volete.
Non sarebbe un caso, quindi, l’accelerazione del rilascio di Sala. Il secondo risultato è stata la gestione della comunicazione, quel silenzio stampa ottenuto perché chiesto dalla famiglia di Sala.
Detto questo, «è evidente che senza una garanzia degli americani questa partita non si sarebbe potuta chiudere», spiega un parlamentare dell’opposizione.
Pur senza alcuna conferma, pochi dubitano infatti che vi sia stato, attraverso canali riservati, un nulla osta trasmesso agli iraniani dagli americani per rassicurare il regime sull’affidabilità degli impegni assunti dal governo italiano.
Ora, come si diceva, molti si aspettano che vi sarà un do ut des tra Giorgia e Donald: a parte il collegamento fatto da alcuni e contestato dal governo con l’affare Starlink, in Parlamento c’è chi fa notare che la cena a Mar-a-Lago e la trattativa con Trump su Sala (favorita da Elon Musk) si sia tenuta proprio in concomitanza con gli attacchi di Starmer e Macron al miliardario americano patron di Tesla e X.
Non stupirebbe dunque se Trump e Musk considerassero Meloni la loro punta di diamante in Europa, definita dall’autorevole sito Politico.eu, la leader più influente del momento.
Ci sono tante partite delicate, dall’automotive, alle spese militari, dalle tecnologie all’export, per non considerare un vantaggio poter contare su un’alleata forte e determinata come la premier italiana, che possa fare da cerniera con gli interessi dell’Europa.
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