La crisi climatica nel Mediterraneo: trasformare la minaccia in un’opportunità

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Non è successo quello che doveva: dal 2023 il cambiamento climatico è passato da solida constatazione scientifica – che qualcuno poteva però giocare a negare con il pubblico – a drammatica esperienza diretta nel quotidiano di molti, ovunque, incontrovertibilmente. Ma una reazione adeguata tarda ancora a prendere forma.

In questo quadro globalmente preoccupante, il pericolo emerge minaccioso anche nella nostra regione. Mentre le acque del nostro mare sono quelle che si scaldano più rapidamente al mondo, la regione nel suo complesso è la seconda per rapidità di progressione del riscaldamento. Nel Mediterraneo la temperatura media rispetto all’era pre-industriale è infatti aumentata di 1,5°C e il riscaldamento procede del 20% più rapidamente rispetto alla media globale. Un dato, questo, che se non contrastato da interventi di mitigazione potrebbe portare alcune aree a registrare aumenti fino a 2,2°C nel 2040, e 3,8°C nel 2100, con conseguenze catastrofiche per una popolazione mediterranea nel frattempo cresciuta esponenzialmente.

Vi saranno impatti destabilizzanti. Si prevede, ad esempio, che il livello del nostro mare possa aumentare di 20 cm entro il 2050, che possono sembrare pochi ma salinizzerebbero il delta del Nilo, sconvolgendo la sussistenza di milioni di persone; oppure un incremento della popolazione esposta alla precarietà idrica fino a 250 milioni di persone. Dobbiamo prepararci a queste e a molte altre conseguenze. Ma limitarsi a prendere le misure di tali impatti diretti vuol dire non comprendere che è in gioco una posta cruciale: l’identità e l’unità dell’Europa e una relazione costruttiva entro il più naturale ambito di internazionalizzazione dell’economia italiana, la sponda Sud e oltre essa l’Africa.

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A guardare il planisfero ci si accorge che l’idea di Europa – come continente a sé stante – rappresenta un’anomalia. Usando i criteri di delimitazione dei continenti applicati per tutti gli altri, noi non dovremmo esistere: siamo solo una piccola appendice dell’Asia. Eppure, continuiamo a sentirci un continente a parte, anzi forse – con quel po’ di presunzione che una volta si chiamava eurocentrismo – ci sentiamo IL continente, il “vecchio” continente! Cosa ci distingue? Una certa unità culturale, persino fisionomica, un senso di comunità nella diversità. Pochi si interrogano sulle radici di queste unicità che non si basano sull’isolamento del proprio territorio, ma qualcuno l’ha fatto: a cominciare da Montesquieu che vedeva l’identità europea come un prodotto dell’eccezione climatica che ha benedetto l’Europa dalla fine dell’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa.

Se Montesquieu aveva ragione – e con criteri contemporanei possiamo confermare che aveva visto giusto – significa che il clima dell’Europa ha giocato un ruolo determinante nel forgiare la nostra identità e nel definire i nostri interessi. Lo stesso vale per la sponda Sud del Mediterraneo che, con proprie marcate dinamiche identitarie è Africa senza realmente esserlo. Anche la sponda Sud del Mediterraneo ha beneficiato di una sua favorevole eccezionalità climatica che ne ha contribuito a distinguerne l’identità dal resto dell’Africa. Queste due eccezioni favorevoli erano interconnesse dall’azione stabilizzante del mare che condividiamo, e hanno creato le condizioni della rivoluzione agricola: la maggior strutturazione sociale da cui ha preso le mosse l’organizzazione umana in campagne coltivate e centri urbani che ancora è la nostra. È successo soprattutto attorno al Mediterraneo – fra Europa, Anatolia, Fenicia – perché un clima stabile e prevedibile è essenziale per pianificare i raccolti. Senonché, questo clima sta cambiando. L’inerzia stabilizzante di un vasto bacino d’ acqua come il Mediterraneo non funziona più se le sue acque immagazzinano e rilasciano nel sistema dosi crescenti di energia che si trasforma in caos. Non è solo una questione di venti e piogge e nemmeno dottamente antropologica: si tratta di economia, commercio, e geopolitica. Le basi profonde dei nostri equilibri diventano instabili e si profila un inasprimento distruttivo della conflittualità se ci poniamo in crescente competizione di fronte alle nuove scarsità e incertezze. Questo è uno scenario che nessuno può permettersi. Un Mediterraneo impoverito e destabilizzato – ben al di là delle preoccupazioni regionali – è una minaccia globale poiché vi convergono tre continenti con tutti i loro interessi.

Ma se osserviamo tutto questo con obiettività, scopriamo che il clima che cambia ci obbliga a collaborare e può quindi essere trasformato in un’inedita occasione di crescita giusta e sostenibile e quindi pace. Qui nel Mediterraneo ad alto rischio, stiamo probabilmente sperimentando l’approccio globale per vincere la battaglia climatica: una ricetta semplice, insieme si può. Finora, l’estrema diversità intorno al nostro mare ha portato alla frammentazione e troppo spesso all’incomprensione. Ma questa varietà può trasformarsi in complementarietà, ricchezza di conoscenze e risorse così diverse da bastare per mitigare e adattarsi a vantaggio di tutti.

Mentre l’Unione Europea vuole decarbonizzare, a sud del mare condiviso c’è un enorme potenziale solare, per esempio. A Nord ne abbiamo bisogno; ma anche a Sud, se il suo sfruttamento fosse solo locale non ci sarebbe abbastanza mercato per finanziare il suo corretto sviluppo. A Nord del Mediterraneo si assiste a una desertificazione in accelerazione, ma le risorse fitogenetiche – le piante e le colture tradizionalmente adattate ai climi più aridi – e l’esperienza millenaria su come valorizzarle appartengono attualmente al Sud. Ciascuno di noi terrà per sé ciò che ha? La sfida climatica ci indica che la strada dell’integrazione costruttiva è l’unica possibile. Essenziale – ma forse non intuitivo nell’incertezza che ci attende e che farebbe invece presagire rinunce – è però capire che ne deriva l’opportunità di un nuovo ciclo di espansione economica sostenuta – e finalmente equilibrata, perché tutti partecipano a vantaggio di tutti – e non rinunce. Un’espansione che, paradossalmente, mentre cerchiamo di occuparci di clima ci regala la pace in una regione in cui le diseguaglianze sono da millenni motore di conflitti.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente come editoriale della newsletter Net-Zero Makers, Issue #5, il 17 dicembre 2024.

 

Foto di Brigitta Schneiter



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