Forse il Libano avrà finalmente un presidente

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Giovedì mattina nel parlamento del Libano si terrà il tredicesimo voto per nominare il presidente della Repubblica libanese, dopo dodici tentativi falliti e dopo che il posto è rimasto vacante per oltre due anni, quando il presidente Michel Aoun lasciò la carica nell’ottobre del 2022 per la scadenza del suo mandato. A giudicare dalle premesse, però, sembra che stavolta la votazione possa andare a buon fine e che il Libano possa finalmente avere un nuovo presidente.

Per circa due anni le forze politiche presenti nel frammentato parlamento libanese non sono riuscite a trovare un accordo su chi eleggere, a causa soprattutto di dissensi tra il gruppo politico guidato da Hezbollah e dai suoi alleati (Hezbollah, oltre che un gruppo paramilitare, ha anche una presenza politica ufficiale in parlamento) e il vario gruppo anti Hezbollah. Oggi però sembra che sia stato trovato un accordo trasversale: soprattutto per via della recente guerra con Israele, che ha indebolito notevolmente Hezbollah, e grazie a una estesa campagna di pressione internazionale.

Questa settimana Suleiman Frangieh, il candidato presidente sostenuto da Hezbollah, si è ritirato e ha dato il proprio sostegno a Joseph Aoun, l’attuale comandante in capo delle forze armate libanesi, che è il candidato favorito a ottenere la presidenza. Aoun (nessuna parentela con il presidente precedente, Michel Aoun) è un cristiano maronita ed è sostenuto principalmente dalle forze politiche cristiane, ma in questi giorni anche i partiti musulmani hanno aperto alla possibilità di votarlo. Wafiq Safa, un dirigente di Hezbollah, ha detto che il gruppo «non metterà il suo veto» alla candidatura di Aoun, anche se non ha ancora annunciato il suo sostegno esplicito.

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In Libano l’elezione del presidente della Repubblica richiede al primo scrutinio il consenso di due terzi del parlamento, 86 voti; dagli scrutini successivi è sufficiente una maggioranza semplice di 65 voti. Aoun però avrà bisogno in ogni caso di 86 voti, perché la Costituzione libanese vieta ai membri dell’esercito di assumere la carica di presidente della Repubblica: per farsi eleggere Aoun avrà bisogno di un emendamento costituzionale che richiede l’approvazione dei due terzi del parlamento, quindi appunto 86 voti. Emendamenti simili sono già stati approvati in passato: Aoun sarebbe il quinto capo delle forze armate eletto presidente.

Aoun è sostenuto anche dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, che sono stati negli scorsi anni due tra i finanziatori principali dello stato libanese. L’esercito libanese, in particolare, è finanziato e addestrato dagli Stati Uniti, dove Aoun ha anche trascorso alcuni periodi di addestramento.

Joseph Aoun il 16 dicembre 2024 (AP Photo/Bilal Hussein, File)

Aoun ha 60 anni, è un militare di carriera (è entrato nell’esercito nel 1983) ed è considerato un ufficiale di livello, che è riuscito a mantenere unito e relativamente efficace l’esercito libanese in una situazione di crisi continua per il paese. Altri possibili candidati alla presidenza sono Jihad Azour, che è stato ministro delle Finanze del Libano tra il 2005 e il 2008, ed Elias al Baysari, il capo del direttorato per la Sicurezza generale, cioè la principale forza di sicurezza interna del Libano.

L’elezione di un nuovo presidente sbloccherebbe almeno in parte la paralisi politica in cui il Libano si trova da anni. Il presidente, una volta eletto, potrebbe nominare un primo ministro (che attualmente è ad interim), che potrebbe infine creare un governo stabile. Questo processo sarà comunque lungo e complicato, perché tutte le decisioni devono essere prese in accordo con il parlamento.

La paralisi politica libanese è accentuata dal fatto che il paese è governato secondo un sistema settario che garantisce certe cariche ai rappresentanti di ciascuna delle molte confessioni religiose presenti nel paese. Per esempio, in Libano il presidente deve sempre essere un cattolico maronita (come Aoun); il primo ministro sempre un musulmano sunnita; il presidente del parlamento sempre un musulmano sciita; il vicepresidente del parlamento e il vice primo ministro sempre dei cristiani greco-ortodossi. Anche in parlamento ciascuna confessione religiosa ha allocata una certa quota fissa di seggi.

Il sistema è pensato per favorire il dialogo tra le varie comunità, ma da tempo ha portato a un blocco della politica libanese, che tra le altre cose ha peggiorato la gravissima crisi economica in cui il Libano si trova da anni.

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