I carabinieri, insieme alle altre forze dell’ordine, hanno storicamente incarnato un’etica rigorosa e profondamente vocata al servizio delle istituzioni della Repubblica e dei cittadini, spesso affrontando sacrifici estremi. Figure emblematiche come i Martiri di Fiesole – Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti – che il 12 agosto 1944 si immolarono per salvare dieci ostaggi, o il vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, che il 23 settembre 1943 offrì la propria vita per risparmiare innocenti da una rappresaglia nazista, rappresentano esempi fulgidi di un senso del dovere che trascende l’ordinario.
Nell’attuale contesto storico, tuttavia, l’operato delle forze dell’ordine si trova frequentemente al centro di un infuocato dibattito pubblico che oscilla tra il riconoscimento degli atti eroici e la contestazione di episodi controversi. Il caso del Maresciallo Luciano Masini, comandante della stazione dei Carabinieri di Verucchio, ne è un esempio paradigmatico. Durante la notte di Capodanno, Masini ha neutralizzato un giovane egiziano che, armato di coltello, aveva già ferito quattro persone e minacciava ulteriori aggressioni. Nonostante l’intervento abbia evitato una strage, il maresciallo si trova ora indagato per eccesso di difesa, un paradosso che sottolinea le difficoltà operative e le insidie legali cui sono esposti gli operatori della sicurezza.
Si osserva una tendenza, in alcune correnti di pensiero progressiste, a privilegiare una narrazione che enfatizza le motivazioni sociali alla base di certi comportamenti illeciti, spesso a scapito della necessaria attenzione alla tutela dell’ordine pubblico. Questa prospettiva, lungi dal bilanciare il dibattito, finisce per offuscare il diritto fondamentale dei cittadini alla sicurezza. Episodi come l’inseguimento avvenuto a Milano, dove un giovane ha ignorato l’alt dei Carabinieri finendo per perdere il controllo dello scooter e morire, hanno visto accuse immediate contro le forze dell’ordine, nonostante l’assenza di prove che collegassero direttamente l’intervento alla tragedia. Anche i disordini di Capodanno a Milano, con cori apertamente anti-italiani da parte di alcuni giovani magrebini, riflettono un disagio crescente e alimentano il senso di frustrazione in una popolazione che si sente sempre meno protetta.
Nel quadro attuale, il rischio del terrorismo, esacerbato dall’imminente Giubileo, sottolinea l’urgenza di una risposta istituzionale più incisiva. Le forze dell’ordine devono poter agire con decisione, senza essere ostacolate da timori di ritorsioni giudiziarie sproporzionate. In questo contesto si inserisce la riflessione del Generale Roberto Vannacci che ha recentemente dichiarato: “Paradossale che, prima di rimpatriare uno straniero che semina insicurezza nelle nostre strade, dobbiamo preoccuparci che il Paese da cui proviene sia sufficientemente sicuro per lui. Nel frattempo, però, la sicurezza degli italiani viene messa in secondo piano. A questo punto, è lecito chiedersi: chi deve essere la nostra priorità quando si tratta di sicurezza? Noi italiani o gli stranieri che, con i loro comportamenti, contribuiscono a rendere le nostre città meno sicure?”. Tali osservazioni richiamano alla memoria le analisi di Oriana Fallaci, che con lucida veemenza denunciava il pericolo di un permissivismo che minaccia l’integrità della società. Celebre è la sua riflessione in “La rabbia e l’orgoglio”, dove scrive: “Non si può accogliere chi vuole distruggerti, chi vuole imporre le sue regole nella tua casa”. La Fallaci, con il suo stile intransigente e visionario, esortava a difendere le radici culturali e l’identità occidentale, sottolineando come la tolleranza mal riposta rischiasse di condurre all’annichilimento della stessa civiltà che si intende proteggere.
Forse, a questo punto, per allinearsi alle aspettative di chi critica ogni uso legittimo della forza, potremmo immaginare un equipaggiamento alternativo per le pattuglie. Quindi addio alle celebri Gazzelle, alla Pantere e alle pistole Beretta. Largo invece a scooter, coltelli a serramanico e fionde per lanciare bilie di pandoro. Dopotutto, perché mai un Carabiniere o un Poliziotto dovrebbero essere meglio equipaggiato di un criminale? Un simile arsenale minimalista, ironia a parte, sembra essere il suggerimento implicito di chi ignora che le forze dell’ordine operano in contesti sempre più pericolosi e complessi, dove la rapidità e l’efficacia delle decisioni possono fare la differenza tra salvare vite o diventare vittime.
Nonostante ciò, alcune frange politiche continuano a sostenere la necessità di percorsi di integrazione per i soggetti problematici, spesso trascurando l’esigenza di affrontare con fermezza le conseguenze delle loro azioni. Questa narrativa, pur animata da intenti apparentemente nobili, appare disallineata rispetto alla necessità impellente di garantire un ambiente sicuro e giusto per la collettività.
Un cambiamento di paradigma è indispensabile. Le forze dell’ordine, e i Carabinieri in particolare, necessitano di strumenti adeguati e di un sistema legale che tuteli chi rischia la vita per la sicurezza pubblica. L’impunità di chi aggredisce chi veste una divisa deve essere affrontata con pene più severe e misure di protezione più efficaci per gli operatori della sicurezza.
La restaurazione del rispetto e della fiducia nelle forze dell’ordine deve costituire il fulcro di una società che aspira a una convivenza civile autentica e sostenibile. Questi valori non possono essere concepiti come concessioni occasionali, bensì come pilastri di un contratto sociale rinnovato, fondato su responsabilità e reciprocità. Senza sicurezza, le libertà individuali si riducono a mere astrazioni; senza libertà, la giustizia si trasforma in una chimera.
Oggi più che mai, è imperativo che cittadini, istituzioni e operatori della sicurezza convergano in un patto coeso e inattaccabile, bandendo ogni forma di retorica ipocrita o indulgenza verso dinamiche che erodono i principi di legalità e ordine. La giustizia e la legalità non possono più essere relegate a meri ideali, ma devono riemergere come pratiche concrete, salvaguardate con determinazione e lungimiranza. Ogni compromesso nell’odierno contesto equivale a gettare le basi per una deriva irrimediabile nel futuro.
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