Bancomat, il circuito italiano dei pagamenti, ha annunciato una revisione del listino delle commissioni, inviato nei giorni scorsi a banche e intermediari aderenti. Il nuovo prezziario, che entrerà in vigore il 1° luglio 2025, rappresenta il primo aggiornamento da oltre due anni e sta generando malumori nella filiera dei pagamenti per il previsto aumento delle tariffe, a cominciare dalla Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi). Sebbene non ci siano ancora certezze sulla crescita dei costi di gestione, il vicepresidente vicario della Federazione Aldo Cursano ammonisce: «Dobbiamo dare un messaggio chiaro: non c’è più nulla da spremere, perché siamo ai limiti della sostenibilità».
Dal 1° luglio entrerà in vigore il nuovo listino delle commissioni Bancomat
Bancomat, cosa cambierà
Il cambiamento arriva anche in seguito all’ingresso del fondo Fsi nel capitale di Bancomat, che ne ha acquisito il 44% diventandone il primo azionista, davanti a Intesa Sanpaolo e Unicredit. Questo passaggio ha segnato una trasformazione per Bancomat, che da società di servizio per le banche azioniste si è evoluta in un’impresa a tutti gli effetti. L’obiettivo è ora aumentare gli investimenti in innovazione e espansione all’estero, ma anche incrementare i ricavi e i profitti.
Il nuovo listino è stato introdotto a seguito del lancio del marchio unico Bancomat e anticipa il prossimo piano industriale della società. Una delle principali novità è la differenziazione delle commissioni in base al valore del bene acquistato: per esempio, costi più bassi per un caffè e più alti per beni di lusso. Inoltre, il prezzario riflette l’integrazione di nuovi servizi moderni, come gli accordi con Apple Pay e Amazon, e include l’introduzione di future offerte volte a competere con i grandi circuiti internazionali.
Bancomat, esercenti allo stremo
L’aggiornamento del listino potrebbe tradursi in un rialzo delle tariffe per gli esercenti. Attualmente, le commissioni Bancomat incidono per lo 0,2-0,3% sul costo della transazione per l’esercente, contro una media dello 0,7% per le carte di debito e l’1,2% per le carte di credito. Tuttavia, il rialzo potrebbe avere un impatto significativo sugli «acquirer», ossia gli intermediari di pagamento che collegano negozianti al circuito tramite i Pos. Sarà cruciale capire se questi aumenti verranno trasferiti sui commercianti o assorbiti dagli intermediari, con un sacrificio dei margini. Viste le dimensioni del circuito – che gestisce miliardi di transazioni – anche piccoli aumenti percentuali possono avere un impatto rilevante sui ricavi.
Aldo Cursano, vicepresidente vicario Fipe
Quel che è certo, però, è che il sistema dei pubblici esercizi, specialmente quelli con marginalità ridotte, sono al limite, come rimarca con forza Cursano: «Si continua a giocare sulla pelle di un sistema che è ormai ai limiti della sostenibilità. Le nostre imprese di pubblico esercizio, in particolare, devono affrontare una serie di difficoltà crescenti: dall’impennata dei prezzi delle materie prime a quella dei costi energetici, degli affitti e di ogni altra fonte di spesa. Voglio lanciare un messaggio chiaro: non c’è più nulla da spremere. È indispensabile alleggerire le fonti di costo che gravano su prodotti semplici come un caffè o un piatto di spaghetti, altrimenti non saremo più in grado di coprire le spese. Non riusciamo più a essere competitivi rispetto alle aspettative dei consumatori. Se non ci diamo tutti una regolata, il risultato sarà inevitabile: come imprese, saremo costretti a trasferire l’aumento dei costi sul prezzo finale dei beni e dei servizi, con conseguenze negative per tutti».
Bancomat, quanto incide davvero
Bancomat gestisce attualmente 29,1 milioni di carte e ha registrato ricavi per 52,5 milioni di euro nel 2023. Ogni anno, il circuito elabora oltre 390 milioni di pagamenti – l’80% dei quali contactless – e 66 milioni di prelievi. Ma non tutte le transazioni sono uguali e il peso di ognuna di esse incide considerevolmente nella gestione di un locale. «Il costo delle commissioni che sostengo – evidenzia il vicepresidente Fipe – equivale a quello di uno stipendio annuale per un professionista, e paradossalmente, è come se avessi assunto un cameriere o un barman senza però averlo davvero. Questo è il punto: paghiamo il costo di un dipendente in più che non esiste. Immaginando questo scenario moltiplicato per le oltre 300 mila attività coinvolte, è come se ciascuna di queste attività sostenesse il peso economico di un lavoratore aggiuntivo senza ottenerne alcun beneficio concreto».
Le imprese potrebbero trovarsi costrette a ribaltare gli aumenti sul prezzo finale
Quindi conclude: «Da un lato, è evidente che offrire al consumatore la possibilità di scegliere la modalità di pagamento sia un principio giusto e doveroso. Chiunque operi al pubblico ha il compito di garantire questa libertà e di consentire al cliente di effettuare i pagamenti nella modalità che preferisce. Tuttavia, ciò che risulta da sempre difficile da accettare per noi esercenti è il peso dei costi associati all’offerta di questi servizi. Si tratta di costi che includono l’installazione, il noleggio delle attrezzature, la manutenzione e persino materiali di consumo, come i rotolini per gli scontrini, che a fine anno possono ammontare a diverse migliaia di euro. Di fatto, per garantire questo servizio, affrontiamo già un carico economico significativo. Quello che però è inaccettabile nel nostro Paese è che, oltre a questi costi operativi, ci venga richiesto di accollarci anche le commissioni sulle transazioni, aggravando ulteriormente la nostra situazione».
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