Meta, l’Ue respinge le accuse di censura. E avverte: lo stop al fact-checking “sia efficace” contro la disinformazione

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Bruxelles – Mentre l’Ue è alle prese con le ingerenze sempre più sfacciate del proprietario di X, Elon Musk, nella politica interna degli Stati membri, la pugnalata alle spalle che non ti aspetti. Mark Zuckerberg, fondatore e Ceo di Meta, ha annunciato l’addio ai programmi di fact-checking su Facebook e Instagram. Puntando il dito contro il vecchio continente, dove “un sempre crescente numero di leggi istituzionalizzano la censura”. Da Bruxelles, la risposta infastidita: “Rifiutiamo categoricamente ogni accusa di censura da parte nostra”. Ma appare sempre più evidente la difficoltà di imbrigliare le grandi piattaforme social secondo la legge Ue sui servizi digitali.

Una svolta, quella del gigante hi-tech con sede a Menlo Park, per ora limitata agli Stati Uniti. Un occhiolino al presidente eletto Donald Trump e al suo braccio destro Musk: “Ci libereremo dei fact-checker e li sostituiremo con note della comunità simili a X, a partire dagli Stati Uniti”, ha spiegato Zuckerberg in un videomessaggio. Poi l’avvertimento oltre oceano: “Lavoreremo col presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore“, ha dichiarato accusando esplicitamente l’Unione europea. Un avvertimento non solo all’Ue, ma anche ai governi dell’America Latina e alla Cina.

Il fondatore e Ceo Di Meta, Mark Zuckerberg (Photo by JOSH EDELSON / AFP)

Dal 2016, Meta si è dotata di un programma di verifica dei contenuti affidando sostanzialmente a organizzazioni indipendenti e quotidiani accreditati dall’International Fact-Checking Network il compito di valutare – e se necessario etichettare – i post apparentemente falsi o fuorvianti. Etichette che non oscurano il contenuto, ma che invitano gli utenti a consultare ulteriori fonti prima di accedervi. Viceversa, il modello delle Community notes introdotto da Musk dopo l’acquisto di Twitter si basa sul coinvolgimento di gruppi selezionati di utenti autorizzati ad aggiungere note di contesto o chiarimenti a contenuti controversi.

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Un sistema, quest’ultimo, efficace per smascherare truffe o spam, ma che pone seri dubbi quando si tratta di individuare notizie false, fuorvianti o pericolose relative al discorso pubblico o politico. Lo stesso Zuckerberg ha ammesso che questo è il prezzo da pagare per il “free speech”, e che con il cambio di paradigma su Facebook e Instagram potranno circolare più contenuti dannosi. Ma secondo l’imprenditore americano “i fact checker sono stati troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata”, finendo per trasformare “un movimento nato per essere più inclusivi” in uno strumento “sempre più utilizzato per mettere a tacere le opinioni ed escludere le persone con idee diverse”.

Ad ogni modo, il patron di Meta ha escluso piani immediati per l’Ue e il Regno Unito e l’azienda californiana ha puntualizzato che prima di implementare questi cambiamenti sul vecchio continente si assicurerà di rispettare tutti gli obblighi previsti. È bastato però l’annuncio, accompagnato dalle accuse di censure rivolte a Bruxelles, a creare scompiglio nella capitale Ue, dove lo scorso febbraio è stato promulgato il Digital Services Act (Dsa), legge che impone una serie di vincoli alle grandi piattaforme digitali che operano sul territorio europeo.

Tra questi, l’obbligo di avvertire le autorità Ue del lancio di applicazioni o nuove funzionalità con “potenziali rischi sistemici” e di fornire alla Commissione europea una valutazione del rischio prima di procedere. ”Noi non imponiamo il tipo di politiche di moderazione dei contenuti che le piattaforme devono mettere in atto”, ha chiarito oggi Thomas Regnier, portavoce, portavoce dell’esecutivo Ue responsabile della sovranità digitale. Se Meta “vuole affidarsi completamente alle note della comunità, lo può fare”, ma il sistema “deve essere efficace” nella rimozione dei contenuti illegali.

Deve cioè differire da quello in vigore su X: sull’ex Twitter è infatti in corso un’indagine della Commissione europea, aperta nel dicembre 2023, per possibili violazioni delle disposizione del Dsa in diverse aree di gestione del rischio. Tra cui, proprio la politica di moderazione dei contenuti basata sugli utenti.

Bruxelles ha ribadito la propria linea rossa, in attesa – e nell’eventualità – che Zuckerberg decida in un prossimo futuro di scontrarsi apertamente con la legge Ue. Nel frattempo, il gruppo dei Socialdemocratici (S&d) al Parlamento europeo ha già suonato il campanello d’allarme, chiedendo alla Commissione europea di “garantire che i giganti tecnologici come Meta non compromettano il quadro normativo dell’Ue, alla luce dell’imminente amministrazione statunitense e dei potenziali cambiamenti politici determinati dall’elezione di Donald Trump”. Al “coraggio e determinazione” della Commissione europea si è appellato anche Sandro Gozi, europarlamentare liberale, per “consolidare il modello digitale europeo, basato su una regolamentazione che garantisca innovazione senza abbandonare la coesione sociale e la democrazia stessa”.

Quali sono gli obblighi secondo il Digital Services Act

La legge europea sui servizi digitali ha identificato 19 servizi digitali dominanti nello spazio online – piattaforme o motori di ricerca con più di 45 milioni di utenti attivi mensili – , su cui la responsabilità della vigilanza è direttamente della Commissione europea. Questi attori dominanti sono due grandi motori di ricerca (VLOSEs, in gergo) – Bing e Google Search – e 17 grandi piattaforme online (VLOPs): social media (Facebook, Instagram, Twitter, TikTok, Snapchat, LinkedIn, Pinterest), servizi di commercio elettronico (Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Zalando), servizi Google (Google Play, Google Maps e Google Shopping), e anche Booking.com, Wikipedia e YouTube.

Digital Markets Act GatekeeperPer le piattaforme di grandi dimensioni, il Dsa è entrato in vigore già nel novembre 2022. A febbraio 2024, la sua applicazione si è estesa a tutti gli attori digitali. Gli obblighi previsti dal Digital Services Act stimolano a responsabilizzare e proteggere gli utenti online attraverso la mitigazione dei “rischi sistemici” e l’applicazione di “solidi strumenti di moderazione dei contenuti”. Gli utenti dovranno ricevere informazioni “chiare” sul motivo per cui vengono raccomandate loro determinate informazioni e avranno il diritto di rinunciare ai sistemi di raccomandazione basati sulla profilazione (sempre vietata invece per i minori), mentre gli annunci pubblicitari non potranno essere basati sui dati sensibili dell’utente (origine etnica, opinioni politiche, orientamento sessuale). Per quanto riguarda la protezione dei minori, le piattaforme dovranno riprogettare i loro sistemi per garantire un “elevato livello” di privacy e sicurezza.

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Previste dal Digital Services Act anche etichette su tutti gli annunci e informazioni su chi li promuove, con l’obbligo per le piattaforme di elaborare le segnalazioni degli utenti su contenuti illegali grazie a un meccanismo apposito. A questo proposito serviranno misure per affrontare i rischi e gli effetti negativi sulla libertà di espressione e di informazione, attraverso termini e condizioni “chiari” e rispetto “in modo diligente e non arbitrario”. La valutazione sarà condotta anche in modo esterno e indipendente, compreso l’accesso ai dati ai ricercatori attraverso un meccanismo speciale. Gli archivi di tutti gli annunci serviti dovranno essere pubblicati sull’interfaccia delle piattaforme, così come rapporti di trasparenza sulle decisioni di moderazione. Per le violazioni del Regolamento, Bruxelles ha previsto multe fino al 6 per cento del fatturato globale.



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