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Gli sforzi concentrati solo sul turismo e sui soldi alle cosiddette associazioni culturali. Con scandali annessi

Non una parola sulla sanità, presa a morsi dal decreto Schillaci e dal caos dei pronto soccorso; né sull’ennesima spartizione dei piccioli in Finanziaria; tanto meno sulla lottizzazione dei teatri (dal Biondo in giù). Fratelli d’Italia è un partito fondato sul potere e sugli incarichi ma per il resto è muto, forse più del Pd. I dirigenti assumono le sembianze dei militanti, i militanti degli ultrà: oggi della Meloni, domani di Elon Musk. Bravissimi a organizzare convegni dai toni trionfali – dalle Radici della Bellezza di Brucoli alla celeberrima Atreju – ma incapaci di trasformare questa oratoria in atti di governo capaci di lasciare il segno. Giorgia ci prova con la politica internazionale, ma le uniche battaglie siciliane degne di nota sono le proposte di sanatoria per le abitazioni a meno di 150 metri dalla battigia.

Di recente è stato il responsabile nazionale dell’organizzazione del partito, Giovanni Donzelli, a stigmatizzare il “sistema siciliano”, creato dal Balilla e portato avanti dai suoi allievi – in primis Carlo Auteri – che certificazione la spartizione senza scrupoli dei fondi destinati alla cultura. Un modus operandi che ha portato centinaia di migliaia di euro (in parte anche ristori Covid) nelle casse di associazioni collegate direttamente a familiari del ras di Sortino. Come raccontato dal ‘Fatto quotidiano’, Donzelli avrebbe chiesto a Messina di prenderne le distanze, l’ex assessore piuttosto sembrava sul punto di dimettersi (da vicecapogruppo alla Camera). Tutto si affumò – con una diretta Facebook cancellata senza preavviso – sotto lo striscione del traguardo. Anche se il Balilla, che ambiva a sostituire il ministro Foti come presidente del gruppo parlamentare, è stato rintuzzato.

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Parli di Fratelli d’Italia e le questioni s’ingarbugliano. Al netto dei fondi di cui sopra, delle versioni di Auteri, della gestione di Cannes, del fallimento di SeeSicily (certificato dalla commissione europea), dei Capodanni in piazza e delle inchieste della magistratura penale e contabile, non ci sono altri temi che accomunano la cara e rivoluzionaria Fiamma alle vicende di Sicilia. Anche sulla sanità – è un dato di fatto – nessuno ha intenzione di mettere bocca. L’ultima levata di scudi risale al 31 gennaio di un anno fa, quando il capogruppo Assenza si mise in marcia per Palazzo d’Orleans con l’obiettivo di contestare a Schifani le caselle dei manager. Fuori tempo massimo. FdI aveva subito l’umiliazione della bocciatura di una legge ad personam per salvare il seggio parlamentare ad alcuni deputati sub-judice. Voleva vendicarsi. Ma la lista dei 18 era già blindata.

Di quelli che applaudono al minimo starnuto di Giorgia, non ce n’è uno che abbia avuto il coraggio di argomentare – non tanto di criticare – sul nuovo nomenclatore tariffario che rischia di mandare sul lastrico molti laboratori d’analisi o ambulatori specialistici. Non c’è un prode parlamentare nazionale o regionale che abbia sollevato il tema del “piano di rientro” da ridiscutere con il Ministero della Salute, che abbia proposto una mozione o un ordine del giorno per simulare interesse nei confronti della propria terra. Eh, no. Anche se a cercarlo in profondità, un intervento riconducibile alla sanità, nei giorni di festa appena conclusi, si trova: è del deputato Giuseppe Zitelli che plaude alla nomina di un Direttore facente funzioni del Distretto sanitario di Paternò (riconducibile all’ASP di Catania): tale Giacomo Antonio Spallina. “Ora la cittadinanza potrà avere le risposte che attende da tempo”, dice Zitelli. Ma perché proprio lui, nativo di Belpasso, con un simile endorsement?

La commistione fra politica e sanità, che taluni faticano a nascondere, per merito di altri emerge lampante. E’ questo il caso. Ma non c’entra l’on. Zitelli, c’entra semmai un partito che non trova le forze di condannare e indignarsi, da quando non è più all’opposizione. Ha tralasciato la questione morale e annacquato gli scandali che la riguardano. Che il passo fosse più lungo della gamba s’era capito dalla gestione del solito turismo. E’ andata avanti per una legislatura, con Musumeci, continua pure adesso. I decreti del dipartimento, “ordinati” dall’Ars, fanno emergere un sistema clientelare che Galvagno credeva di poter arginare con una norma ad hoc. In realtà l’unico paletto introdotto con l’ultima Legge di Stabilità – a invarianza di spesa (altri 80 milioni tondi tondi) – è aver dirottato le mance sui comuni anziché sulle associazioni amiche. Ma le marchette rimangono marchette, fino alla prossima indignazione.

L’assessore al ramo, Elvira Amata, è stata scelta in continuità coi suoi predecessori, per dare linfa al brand e al cinema di casa nostra; quello alle Infrastrutture è un assiduo frequentatore del bar dei pagnottisti; il sottosegretario alla Salute è socio di una società che gestisce ambulatori privati in provincia di Bari, e la promuove per evitare che i cittadini rimangano incagliati nelle liste d’attesa. Qualcuno spara (a salve per fortuna), qualcun altro – vedi Lollobrigida – le spara grosse. Era lecito attendersi qualcosina in più da una classe dirigente cresciuta troppo velocemente Persino il goffo Paolo Francesco Scarpinato, di fronte a cotanta approssimazione, riesce a fare la sua figura: ormai è diventato l’uomo copertina delle istituzioni regionali. Schifani l’ha inviato alla commemorazione di Piersanti Mattarella in occasione del 45° anniversario dell’omicidio. Fino a qualche tempo fa pasticciava sulla vicenda di Cannes, lasciando che i suoi uffici (a sua insaputa?) affidassero un incarico da 3,7 milioni a una società lussemburghese, senza bando né criteri di esclusività. Un errore da principiante che gli è costato il “declassamento” ai Beni culturali.

E infine c’è lui, Gaetano Galvagno. Quello che i patrioti vorrebbero vedere, fra meno di tre anni, sul trono più alto. Il presidente dell’Ars, dopo aver spodestato Patrizia Monterosso dalla guida della Fondazione Federico II, si occupa di cultura, di bilanci, di norme (ma non di riforme: quelle sono bandite dal palazzo). Apprezzatissimo uomo delle istituzioni per il suo profilo bipartisan, è riuscito a riunire maggioranza e opposizioni di fronte alle sfide più temerarie: come, ad esempio, evitare l’esercizio provvisorio; o distribuire le prebende in maniera scientifica, con una suddivisione per quota parte (a secondo del “peso” del gruppo parlamentare di provenienza). Ha riallacciato i rapporti con Schifani e promette di essergli fedele; ha un legame indissolubile con La Russa che niente e nessuno potrà rovinare; ha un filo diretto con Lombardo, che è di un valore inestimabile; parla con Cateno De Luca senza mai alterarsi. Più che un patriota sembra un democristiano. Quanto ci mancano i su** del Balilla…





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