Simone Zito, arrestato in Bulgaria con i 2 attivisti: “Frontiere tritacarne”

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Simone Zito, attivista del Collettivo Rotte Balcaniche, racconta la drammatica esperienza vissuta al confine tra Bulgaria e Turchia. Arrestato il 21 dicembre insieme a due colleghi dopo aver soccorso migranti, denuncia il trattamento riservato agli attivisti e la mancanza di intervento della polizia bulgara. Zito critica duramente le politiche migratorie europee, accusandole di trasformare le frontiere in «tritacarne autorizzati», responsabili della morte di migliaia di persone.


L’arresto in Bulgaria

Simone Zito, 38 anni, torinese, è uno dei tre attivisti del Collettivo Rotte Balcaniche fermati dalla polizia bulgara il 21 dicembre e portati in caserma dopo aver soccorso un gruppo di migranti tra i boschi al confine della Bulgaria. Da qualche giorno è rientrato in Italia. «Eravamo al confine con la Bulgaria – racconta Zito che insegna Filosofia e Scienze Umane al Liceo Monti di Chieri –, da un anno e mezzo abbiamo attivato un numero che i migranti possono utilizzare in caso di necessità: se sono sfiniti dal freddo, dalla fame, dalla sete e non riescono a proseguire noi cerchiamo di intervenire e fare in modo che non muoiano soli tra i boschi».


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La richiesta di aiuto

Il 21 dicembre i tre attivisti erano appena arrivati in Bulgaria e hanno ricevuto la chiamata di soccorso da tre ragazzi marocchini: «Erano stremati nel bosco. Le temperature erano glaciali, abbiamo raggiunto i migranti. Uno di loro stava male, non era cosciente. È arrivata la polizia di frontiera, allertata da noi come da procedure».

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Le condizioni di detenzione

«Dopo ore di tensione, la polizia ci dice che saremmo stati arrestati – prosegue il racconto di Zito –. Gli agenti ci dicono di consegnare i telefoni. Rispondiamo che lo faremo solo quando avremo i documenti del nostro fermo». In passato, altri attivisti del collettivo avevano già subito iniziative simili. Gli insegnanti torinesi sono preparati, sanno come muoversi. Vengono portati alla caserma di Malko Tarnovo.

«Ci hanno reclusi in una stanza spoglia, fredda, sporca. Dovevamo dormire per terra». Il giorno dopo i tre sono stati rilasciati: «Ma la polizia ha continuato a pedinarci e soprattutto ci hanno ostacolati in un altro soccorso – racconta l’insegnante –, tanto da impedirci di salvare i tre ragazzini di 15 anni egiziani che ci avevano chiesto aiuto. Quando siamo riusciti a raggiungerli erano già morti».


Il rischio di morte imminente

Un racconto terribile quello di Zito: «Ci sono arrivate segnalazioni di tre minorenni soli e a rischio immediato di morte, probabilmente per ipotermia, vicino alla città di Burgas, nel sud-est della Bulgaria. I video che accompagnavano le segnalazioni mostravano due di loro sdraiati, privi di sensi, sulla neve. Abbiamo chiamato il numero di emergenza 112 numerose volte, chiedendo assistenza immediata. Allo stesso tempo ci siamo mossi per cercare di raggiungere i ragazzini ben sapendo per esperienza che la Polizia di frontiera è solita omettere il soccorso dei migranti o respingerli in Turchia (pratica definita pushback e dichiarata illegale da tutti i trattati internazionali, specie se nei confronti di minori non accompagnati)».


Il ritrovamento dei ragazzi morti

Zito e i suoi compagni vengono bloccati e minacciati più volte: «Alla fine quando li abbiamo raggiunti i ragazzi erano già morti. Potevano essere salvati, accanto ai corpi c’erano impronte degli scarponi della polizia e i cadaveri erano visibili dal sentiero». Questa ultima esperienza ha segnato profondamente il professore: «Ho partecipato a tanti soccorsi ma questa volta è stato tremendo».


Critica alle politiche migratorie

E aggiunge: «Impedirci di salvare quei ragazzini non è umano. Le politiche migratorie europee stanno trasformando le frontiere di terra e di mare in veri e propri tritacarne autorizzati, che mettono le persone in pericolo e poi ne omettono il soccorso, rendendosi di fatto dirette responsabili della loro morte.

Queste politiche hanno ucciso Ali, Samir e Yasser, così come decine di migliaia di individui alle frontiere europee negli ultimi vent’anni, e ne uccideranno molti altri se non verranno fermate. Non sono fallimenti delle politiche, ma le politiche stesse. Come premio per tutto ciò, alla Bulgaria è stato appena concesso l’accesso all’area Schengen».



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