L’omicidio del generale Igor Kirillov a Mosca, perpetrato con un ordigno celato in un monopattino elettrico, rappresenta un’escalation significativa nel conflitto tra Russia e Ucraina, che assume sempre più i contorni di una “proxy war“. Questo evento, per modalità e implicazioni, evoca le tattiche impiegate durante la Guerra Fredda, caratterizzata da operazioni clandestine, azioni di intelligence e conflitti per procura, sebbene adattate al contesto del XXI secolo con l’uso di nuove tecnologie e strategie. L’attentato a Kirillov, comandante delle truppe di difesa nucleare, chimica e biologica delle Forze Armate russe, non è solo un atto di violenza isolato, ma un segnale di come il conflitto si stia espandendo oltre i confini del Donbass e delle zone di combattimento tradizionali.
Colpendo un alto ufficiale nel cuore della capitale russa, si trascende la dimensione puramente militare per toccare quella simbolica e psicologica, portando la “guerra” direttamente sul suolo russo e nel suo apparato di sicurezza. Diversi elementi collegano questo episodio alle dinamiche della Guerra Fredda. L’utilizzo di un ordigno esplosivo in un contesto civile richiama le operazioni clandestine tipiche del periodo della Guerra Fredda, volte a destabilizzare il nemico attraverso azioni non convenzionali. L’attentato ha un forte impatto psicologico, mirando a instillare paura e incertezza nella leadership russa e nella popolazione. Questo aspetto era centrale anche durante la Guerra Fredda, con la propaganda e le operazioni di disinformazione.
L’omicidio di Kirillov non è certo il primo degli omicidi compiuti dai servizi ucraini, che certamente hanno l’intenzione di espandere il conflitto anche all’esterno del territorio ucraino, con azioni che colpiscono direttamente il territorio russo, affinché la sua popolazione possa percepirla più vicina di quanto la propaganda del Cremlino racconti. Questa dinamica ricorda la proliferazione di conflitti per procura in diverse aree del mondo durante la Guerra Fredda. L’impiego di un monopattino elettrico come vettore per l’esplosivo è un esempio di come le nuove tecnologie vengano integrate nelle strategie di guerra occulta, adattando le tattiche classiche al contesto contemporaneo. L’utilizzo di droni, cyberwarfare e disinformazione online sono altri esempi di questa evoluzione. Colpire figure chiave dell’apparato militare o di sicurezza nemico era una tattica utilizzata durante la Guerra Fredda per indebolire l’avversario e creare disordine.
L’omicidio di Kirillov si inserisce in questa logica. Questo evento, quindi, non è un semplice episodio di cronaca, ma un tassello di un conflitto più ampio che si svolge su diversi livelli, combinando guerra convenzionale, operazioni clandestine, guerra psicologica e utilizzo di nuove tecnologie. La “guerra occulta” tra Russia e Ucraina, con il coinvolgimento di attori internazionali, assume così contorni sempre più definiti, richiamando le dinamiche della Guerra Fredda ma con caratteristiche proprie del XXI secolo. È importante sottolineare che, mentre si osservano parallelismi con la Guerra Fredda, il contesto attuale è differente. La globalizzazione, l’interconnessione e la diffusione delle nuove tecnologie creano nuove dinamiche e nuove forme di conflitto. Pertanto, è necessario analizzare questi eventi con attenzione, tenendo conto sia delle analogie storiche che delle specificità del presente.
Sostegno, destabilizzazione e colpi di Stato: le azioni delle Superpotenze durante la Guerra Fredda
Durante l’intero periodo della Guerra Fredda, diverse dispute internazionali videro il coinvolgimento, più o meno diretto, delle due superpotenze. Queste si manifestarono come “guerre per procura”, in cui le due potenze non si scontravano apertamente, ma supportavano le fazioni opposte nei conflitti locali. Nel 1964, il politologo K. Deutsch descrisse questi conflitti come una disputa internazionale tra due nazioni estere, che si svolge sul territorio di uno Stato terzo, simulando una controversia su una problematica interna a quest’ultimo. Lo sfruttamento della forza lavoro, delle materie prime e del territorio di tale nazione rappresenta lo strumento per conseguire finalità aliene al paese in cui si verificano gli scontri. I conflitti per interposta persona riflettono battaglie ideologiche di più vasta portata intraprese dalle superpotenze. Si prenda in considerazione, la reazione di Carter e successivamente di Reagan all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, quando finanziarono e addestrarono i mujaheddin afghani. Un ulteriore caso fu l’impiego, da parte sovietica, di intermediari cubani durante la guerra civile in Angola, o durante la guerra del Vietnam.
Dopo la Seconda guerra mondiale (1945) e la disgregazione dell’Unione Sovietica iniziata nel 1991, le due potenze globali evitarono un conflitto bellico diretto. Tuttavia, entrambe perseguirono l’espansione della propria influenza e del proprio potere geopolitico, attraverso la manipolazione di nazioni più piccole. Questa influenza si concretizzò in diverse forme: azioni diplomatiche, stipula di trattati e alleanze, concessione di aiuti economici e accordi commerciali, sostegno a gruppi politici o leader considerati amici e fornitura di armi, intelligence, equipaggiamento militare e addestramento. Parallelamente, sia gli USA che l’URSS esercitarono pressioni su governi stranieri percepiti come “ostili”, arrivando, in situazioni estreme, a operazioni clandestine volte a destabilizzare o rovesciare tali governi. In Europa, l’URSS impose regimi socialisti allineati con Mosca, mentre in altre aree geografiche la Central Intelligence Agency (CIA) orchestrò o appoggiò colpi di Stato per deporre governi socialisti o di orientamento progressista. Tali interventi produssero frequentemente instabilità, conflitti e spesso anche considerevoli sofferenze umane.
Esistono i battaglioni che sintetizzano le informazioni (Big Data) che poi le trasferiscono agli Huge Spiders. Il termine militare proxista che identifica la popolazione dello Stato terzo che si ritrova ad essere lo scenario di guerra è Big Sleepers. Un maggior utilizzo da parte degli stati su PMC (Private Military Companies) è divenuto il contrassegno della politica di sicurezza contemporanea in Occidente. Nel corso della Guerra Fredda, numerosi leader democraticamente eletti furono sostituiti con governi fantoccio, giunte militari o dittature autoritarie, spesso caratterizzate da violenza e corruzione. Tra le nazioni (troppe per entrare nel dettaglio su ognuna) che sperimentarono mutamenti di regime in relazione alla Guerra Fredda figurano il Tibet (1950), l’Iraq (1958), Cuba (1960), la Bolivia (1970), l’Uganda (1971), l’Argentina (1976), il Pakistan (1977), l’Afghanistan (1978), l’Iran (1979), la Repubblica Centrafricana (1979) e la Turchia (1980).
Sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica furono coinvolti nelle guerre civili in Malesia (1948-60), Laos (1953-1975), Cambogia (1967-75), Etiopia (1974-91), Libano (1975-90) ed El Salvador (1980-92). Nel corso della Guerra Fredda, Washington dispiegò truppe statunitensi in Vietnam (1965-75), Repubblica Dominicana (1965), Libano (1982), Grenada (1983) e Panama (1989). La Dottrina Truman ideata per una politica di contenimento, si proponeva di arginare l’espansione del comunismo, mentre il Piano Marshall era un programma di ricostruzione dell’Europa postbellica. Entrambe queste iniziative plasmarono le dinamiche politiche della Guerra Fredda, unendosi tra l’altro, alla competizione per gli armamenti e la proliferazione nucleare, ove rappresentarono altrettante conseguenze rilevanti del periodo, instaurando un clima di reciproca deterrenza.
La recente svolta in Siria
Il conflitto siriano, iniziato nel 2011 come una rivolta interna contro il regime di Bashar al-Assad, si è rapidamente trasformato in un complesso scenario internazionale, divenendo un chiaro esempio di “proxy war” tra Stati Uniti e Russia (da non sottovalutare il ruolo della Turchia nella regione) per una competizione indiretta, sostenendo fazioni opposte e perseguendo obiettivi geopolitici ben definiti. Gli Stati Uniti, storicamente interessati alla stabilità del Medio Oriente e al contenimento dell’influenza russa (e precedentemente sovietica), hanno visto nella crisi siriana un’opportunità per ridisegnare gli equilibri regionali a proprio vantaggio. Inizialmente, Washington ha perseguito il rovesciamento del regime di Assad attraverso il programma Timber Sycamore (dal 2013), un’operazione della CIA che forniva armi, addestramento e finanziamenti a numerosi gruppi ribelli. L’obiettivo primario era la sostituzione di Assad con un governo più allineato agli interessi americani, riducendo l’influenza di Russia e Iran. Questa fase rappresenta un manuale di “proxy war“, con gli USA che agiscono tramite intermediari locali per destabilizzare un regime considerato ostile.
Tuttavia, l’intervento militare della Russia nel 2015 ha rappresentato una svolta decisiva, consolidando il regime di Assad e contrastando le ambizioni statunitensi. Le motivazioni dell’intervento russo erano molteplici e di natura squisitamente geopolitica: la preservazione della base navale di Tartus, un asset strategico fondamentale per la proiezione di potenza russa nel Mediterraneo; il supporto a un alleato storico come Assad, visto come una questione di prestigio e affidabilità internazionale; il contrasto all’egemonia statunitense e la riaffermazione del ruolo di Mosca come potenza globale, capace di proiettare forza militare al di fuori dei propri confini; infine, il conflitto siriano ha offerto alla Russia un’opportunità per il test e la “vetrina” delle sue nuove tecnologie militari. Di fronte al fallimento del rovesciamento di Assad, gli USA hanno progressivamente rivisto la propria strategia. Pur mantenendo un focus sulla lotta contro l’ISIS, è stata adottata una tattica di logoramento (“bleeding”), volta a prolungare il conflitto e a intrappolare la Russia in un costoso impegno militare, replicando in parte la strategia adottata in Afghanistan negli anni ’80. L’occupazione di aree strategiche, come al-Tanf, e il continuo supporto a milizie locali, in particolare quelle curde, rientrano in questa strategia di contenimento dell’influenza russo-iraniana e di mantenimento di una presenza americana nella regione.
La combinazione di queste strategie contrapposte rende la guerra in Siria un chiaro esempio di guerra per procura di stampo novecentesco. Entrambe le potenze hanno evitato uno scontro diretto, preferendo agire tramite intermediari e utilizzando il territorio siriano come campo di battaglia per la loro competizione per l’influenza regionale e globale. La Siria è diventata un laboratorio per la competizione tra due visioni del mondo e due modelli di potere, con conseguenze devastanti per la popolazione siriana, che ha subito milioni di rifugiati, centinaia di migliaia di morti e la distruzione di gran parte del paese. A questo quadro complesso si aggiunge ora un elemento nuovo e significativo: l’incontro tra funzionari statunitensi e Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un’organizzazione precedentemente classificata come terroristica da Washington. Le dichiarazioni di un alto funzionario americano che ha parlato di “segnali positivi” dall’incontro, e la notizia della rimozione della taglia su al-Jolani, suggeriscono un possibile cambiamento di strategia da parte degli Stati Uniti. Questo incontro solleva diverse questioni: un possibile riallineamento delle alleanze, attraverso l’apertura verso al-Jolani, un leader con un passato legato ad al-Qaeda, potrebbe indicare una volontà degli USA di trovare nuovi alleati sul campo, in funzione antirussa, anche a costo di collaborare con figure precedentemente considerate nemiche. Questo sviluppo potrebbe inaugurare una nuova fase della “proxy war“, con dinamiche ancora più complesse e imprevedibili, come anche la decisione di dialogare con un leader di un’organizzazione precedentemente classificata come terroristica pone interrogativi sulla coerenza della politica statunitense in materia di lotta al terrorismo.
È ancora presto per valutare appieno le conseguenze di questo incontro, ma è chiaro che rappresenta un elemento di discontinuità nel contesto siriano e merita grande attenzione. La “proxy war” in Siria si arricchisce quindi di un nuovo capitolo, che potrebbe portare a ulteriori cambiamenti negli equilibri regionali. A questo scenario si aggiunge un’ulteriore considerazione, legata alla potenziale riduzione della presenza militare russa in Siria. Con la fine delle operazioni su larga scala sul territorio siriano, si può ipotizzare una rimodulazione degli assetti militari russi. Per garantire la sicurezza delle basi di Tartus e Hmeymim, potrebbe essere sufficiente una forza ridotta, ad esempio un battaglione di polizia militare, mentre il resto delle forze terrestri, inclusi elicotteri da combattimento, mezzi corazzati e artiglieria, potrebbe essere ridispiegato. Le opzioni per questo ridispiegamento includono il fronte ucraino, la regione di Kursk, o trasferimenti, almeno parziali, in Libia o in altre nazioni africane dove la Russia mantiene una presenza militare. In questo contesto, Hmeymim assumerebbe un ruolo prevalentemente logistico, fungendo da hub per il traffico militare tra Medio Oriente, Africa e Russia. Sarebbe comunque necessario mantenere una difesa aerea e terrestre contro attacchi di droni, aerei e missili, probabilmente con un reparto di caccia multiruolo Su-35, mentre i bombardieri Su-24 e Su-34 potrebbero essere riportati in Russia. In ogni caso, la permanenza o meno delle basi russe in Siria e la consistenza delle forze schierate da Mosca appaiono come elementi che sono stati, o sono tuttora, oggetto di negoziati e forse di accordi tra Ankara e Mosca, sottolineando ulteriormente la dimensione geopolitica e strategica del conflitto siriano e del suo impatto sugli equilibri regionali.
La guerra per procura in Ucraina: il ruolo cruciale dell’Occidente nel confronto tra NATO e Russia attraverso il Formato Ramstein
“In Ucraina si sta combattendo una guerra per procura, e l’Occidente non sta dando ai suoi alleati locali gli strumenti necessari per vincerla”. Questa dichiarazione, tanto diretta quanto significativa, arriva dall’ex primo ministro britannico Boris Johnson. Durante un’intervista al podcast “Ukraine: The Latest” del “Telegraph“, Johnson ha affermato senza esitazioni che il conflitto in corso rappresenta una proxy war tra l’Occidente e la Russia, sottolineando che l’Ucraina è stata lasciata a combattere in condizioni svantaggiose, con una mano legata dietro la schiena. “È stato crudele,” ha aggiunto, puntando il dito contro le scelte passate. L’idea di una guerra a distanza tra NATO e Russia non è nuova e ha già trovato spazio nelle analisi di studiosi e osservatori, come il politologo americano Ian Bremmer. Tuttavia, il fatto che sia ora un ex leader europeo, protagonista delle prime fasi del conflitto, a parlare apertamente di proxy war amplifica il peso di queste affermazioni. Johnson, che era primo ministro durante l’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022, ha sottolineato la responsabilità morale dell’Occidente: “Abbiamo contribuito a creare questo incubo. Siamo responsabili, ed è nostro dovere intervenire in modo deciso”. Secondo Johnson, il sostegno fornito finora non è stato sufficiente. Ha ribadito la necessità di garantire all’Ucraina ciò che serve per affrontare il conflitto in modo efficace: armi moderne, supporto economico e autorizzazioni cruciali. La lentezza nell’assumere queste decisioni, ha spiegato, non solo ha rallentato i progressi sul campo, ma ha anche aggravato la posizione di Kiev. Ha criticato apertamente il governo laburista di Keir Starmer per aver tardato troppo a fornire i missili da crociera Storm Shadow, strumenti essenziali che potrebbero consentire agli ucraini di colpire anche il territorio russo. Guardando al futuro, Johnson ha ribadito che ogni cessate il fuoco in Ucraina dovrà essere monitorato da una forza multinazionale, comprendente anche truppe europee e britanniche. Tuttavia, ha evidenziato che la vera garanzia di sicurezza per Kiev risiede nell’ingresso nella NATO, con la protezione dell’articolo 5. “Solo questa forma di sicurezza collettiva ha mantenuto la pace in Europa per 80 anni”, ha dichiarato, citando come esempio gli Stati baltici, la Polonia e più recentemente Finlandia e Svezia, già integrati nell’alleanza.
L’ex premier ha quindi dipinto il conflitto non solo come una questione regionale, ma come un banco di prova per l’intero sistema di sicurezza occidentale. Per Johnson, continuare a trattare l’Ucraina come un semplice alleato in una guerra “proxy” non basta più: serve un impegno pieno, strategico e a lungo termine. L’idea che la guerra in Ucraina sia una “guerra per procura” è frutto di dichiarazioni esplicite in tal senso, come quella del ministro degli Esteri russo Lavrov, che ha apertamente definito la situazione come tale. In secondo luogo, gli obiettivi dichiarati delle forniture militari occidentali all’Ucraina sembrano andare oltre il semplice sostegno alla difesa del paese. Il segretario alla Difesa americano Austin, ad esempio, ha affermato che l’obiettivo non è solo quello di favorire un cessate il fuoco o una moderazione delle ambizioni territoriali russe, ma anche di consentire all’Ucraina di “vincere” il conflitto. Questo suggerisce un coinvolgimento più ampio da parte dell’Occidente, che mira non solo a respingere l’aggressione russa, ma anche a infliggere una sconfitta strategica a Mosca. Infine, un ulteriore obiettivo, sempre secondo Austin, è quello di indebolire la Russia in modo da impedirle future aggressioni verso altri paesi confinanti. Questo aspetto sottolinea ulteriormente la dimensione di confronto tra Russia e Occidente, in cui l’Ucraina diventa il teatro di uno scontro per la supremazia geopolitica.
Appare chiaro che, attraverso il sostegno militare ed economico all’Ucraina, la NATO starebbe combattendo indirettamente contro la Russia, con l’obiettivo di respingere l’invasione e di ridurre la capacità di Mosca di intraprendere nuove azioni militari in futuro. La definizione di “guerra per procura” è complessa e soggetta a diverse interpretazioni e varia da conflitto a conflitto. Alcuni esperti mettono in guardia dal rischio di oscurare le ragioni e la volontà di resistenza del popolo ucraino, che si difende da un’aggressione diretta. Altri invece, evidenziano come questa dinamica possa aumentare il rischio di un’escalation, con conseguenze potenzialmente molto gravi. Il Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina (Udcg), più noto come Gruppo Ramstein o Formato Ramstein, dal nome della base aerea statunitense in Germania dove si è tenuto il primo incontro, rappresenta un elemento chiave nel contesto del conflitto ucraino e della sua interpretazione come “proxy war“. Questo formato, istituito per volontà degli Stati Uniti il 26 aprile 2022, riunisce un’alleanza di 57 Paesi, tra cui tutti i membri della NATO, l’Unione Europea e altre nazioni provenienti da Africa e Asia, sebbene la partecipazione e la presenza ufficiale possano variare. L’obiettivo dichiarato del Formato Ramstein è il coordinamento degli aiuti militari all’Ucraina contro la Russia. Tuttavia, esso assume anche un ruolo di vertice politico dove vengono definite le “linee rosse” del conflitto e si prendono decisioni strategiche.
Ad esempio, a gennaio 2023, proprio in questo contesto, è stato dato il via libera all’invio di carri armati a Kiev, e a febbraio si è iniziato a discutere il trasferimento di aerei da combattimento. Il Formato Ramstein, con la sua ampia coalizione internazionale che fornisce supporto militare coordinato all’Ucraina, può essere interpretato come un meccanismo attraverso il quale l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, si confronta indirettamente con la Russia. Le decisioni prese all’interno del Gruppo Ramstein, come l’invio di armi sempre più sofisticate e l’apertura a nuove tipologie di forniture militari (dai carri armati agli aerei), non sono solo un sostegno alla difesa ucraina, ma rappresentano anche un’escalation strategica che incide direttamente sull’andamento del conflitto e sulla capacità della Russia di perseguire i suoi obiettivi. In questo senso, il Formato Ramstein diventa un simbolo della “guerra per procura”, un’arena in cui si definiscono le strategie e si misurano le forze in campo, con l’Ucraina che funge da teatro di questo confronto indiretto tra potenze. Questa interpretazione non nega la legittima difesa dell’Ucraina, ma evidenzia come il conflitto si sia trasformato in uno scontro più ampio tra Russia e Occidente, con implicazioni geopolitiche globali. Già un anno fa, un recente e massiccio leak di documenti online, molti dei quali contenenti valutazioni militari e di intelligence statunitensi classificate, mise in luce la profonda implicazione degli Stati Uniti in quasi ogni aspetto della guerra in Ucraina, con l’unica eccezione della presenza di truppe americane sul campo. Questa è la tesi centrale di un lungo editoriale del “Washington Post“, che sollevò interrogativi cruciali sul ruolo della Casa Bianca nel conflitto. In sostanza, il quotidiano statunitense si chiede se sia ancora appropriato parlare di semplice supporto alla resistenza ucraina o se, alla luce delle nuove rivelazioni, non sia più corretto definire la situazione una “guerra per procura”.
Sebbene alcuni possano considerare questa interpretazione non del tutto nuova, la fuga di notizie, originata dalla piattaforma Discord e diffusasi ampiamente online, ha sollevato questioni significative non solo sulle pratiche di sorveglianza dell’amministrazione Biden nei confronti degli alleati, ma soprattutto sul ruolo attivo degli apparati di Washington nel contrastare la Russia. Analizzando i documenti trapelati, il “Washington Post” descrisse la presenza di mappe dettagliate che mostrano la dislocazione delle truppe, i piani di battaglia e le possibili evoluzioni del conflitto, fino a includere informazioni sulle singole città e sulla forza delle difese russe. I documenti contengono anche inventari dei sistemi d’arma impiegati da entrambe le parti, stime delle perdite, trascrizioni di conversazioni intercettate e analisi che spaziano dalle capacità delle forze speciali al consumo di munizioni. Come afferma Karen DeYoung, autrice dell’articolo, i documenti divulgati confermano in modo dettagliato che gli Stati Uniti stanno impiegando un’ampia gamma di strumenti di spionaggio e sorveglianza, tra cui satelliti avanzati e intelligence di segnale, per fornire all’Ucraina informazioni anticipate sui piani di guerra di Mosca e per aiutarla a infliggere perdite alle forze russe. Questa rivelazione rafforza ulteriormente l’interpretazione del conflitto come una “guerra per procura”, in cui gli Stati Uniti, pur non essendo direttamente coinvolti con truppe sul campo, svolgono un ruolo cruciale nel sostenere militarmente e strategicamente l’Ucraina contro la Russia. Il leak mette in discussione la narrativa di un mero supporto difensivo, evidenziando un coinvolgimento ben più profondo e attivo nel conflitto.
Un campo di battaglia in Africa per la guerra ombra tra Russia e Occidente
L’Africa sta diventando un nuovo fronte nella guerra per procura tra Russia e Occidente, con gli Stati Uniti che giocano un ruolo chiave nel sostegno alle forze anti-russe. Un recente episodio in Mali evidenzia questa crescente tensione. Verso la fine di luglio, ribelli Tuareg avrebbero inflitto pesanti perdite a combattenti della compagnia militare russa Wagner in una battaglia nel deserto al confine con l’Algeria, nel distretto di Tinzaouatene. Verificare l’entità precisa delle perdite russe rimane difficile, data la natura delle fonti, tra cui il “Kyiv Post“, un quotidiano ucraino. Tuttavia, l’avvenuta imboscata, con conseguenti vittime e cattura di ostaggi, è corroborata da diversi video. I Tuareg sono stati visti esibire una bandiera ucraina, mentre Andrii Yusov, della Direzione principale dell’intelligence ucraina (GUR), ha affermato che le forze ucraine hanno fornito supporto operativo e di intelligence all’operazione Tuareg. Questo non è un caso isolato. Ciò che emerge è un quadro in cui l’Africa si configura sempre più come un nuovo teatro di scontro tra Russia e Occidente, con un ruolo attivo degli Stati Uniti nel fornire supporto indiretto all’Ucraina e ad altre forze che si oppongono all’influenza russa. Una coalizione separatista a maggioranza Tuareg ha rivendicato una significativa vittoria sull’esercito del Mali e i suoi alleati russi dopo intensi combattimenti a Tinzaouatene. Mohamed Elmaouloud Ramadane, portavoce dell’alleanza Quadro Strategico Permanente per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo (CSP-PSD), ha dichiarato che le loro forze hanno inflitto pesanti perdite alle “colonne nemiche”. Tinzaouatene, situata vicino al confine algerino, è stata teatro di scontri tra separatisti e l’esercito maliano anche prima del colpo di Stato del 2020 che ha portato al potere la giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goita.
La particolarità di questo scontro risiede nel presunto elevato numero di mercenari del gruppo Wagner uccisi, stimati da osservatori esterni in almeno una ventina. Mossa Ag Inzoma, leader del movimento separatista, ha affermato che dozzine di soldati Wagner sono stati uccisi o catturati, come mostrato in video pubblicati online. Il gruppo Wagner è presente in Mali dal 2022, a seguito dell’espulsione delle forze francesi da parte della giunta militare. L’obiettivo era rafforzare le forze di sicurezza contro separatisti come i Tuareg e gruppi islamisti radicali. Un elemento chiave è il coinvolgimento dell’Ucraina. Come riportato dal “Kyiv Post“, Andrii Yusov del GUR ha dichiarato che “i ribelli hanno ricevuto le informazioni necessarie, e non solo le informazioni, che hanno permesso loro di condurre un’operazione militare di successo contro i criminali di guerra russi“, suggerendo un supporto ucraino ai Tuareg con intelligence e forse anche mezzi o personale. Il giornale ha anche diffuso una foto di Tuareg che mostrano una bandiera ucraina dopo la battaglia. Questo episodio si inserisce in un contesto più ampio di assistenza fornita dalle forze speciali ucraine a gruppi che combattono contro Wagner in Africa. Ad esempio, un video precedente mostrava forze speciali ucraine che interrogavano mercenari russi catturati in Sudan. Analisti come Francesco Dall’Aglio sottolineano la complessità della situazione, mettendo in dubbio la capacità dell’Ucraina di operare autonomamente su tale scala.
È plausibile che gli Stati Uniti, insieme ad altri paesi occidentali, stiano utilizzando personale dei servizi ucraini per operare in queste zone, garantendosi una negazione plausibile del loro coinvolgimento diretto. Questo configurerebbe una vera e propria guerra per procura, in cui gli Stati Uniti forniscono supporto logistico, finanziario e di intelligence, mentre l’Ucraina agisce come intermediario sul campo. Il Mali e l’intera regione del Sahel assumono quindi un’importanza strategica nel confronto tra Russia e Occidente. Il Mali, insieme a Niger e Burkina Faso, fa parte della neonata Confederazione degli Stati del Sahel, che promuove una lotta anticoloniale contro le ingerenze occidentali. Questo rende l’Africa un teatro di guerra sempre più rilevante in questo conflitto globale. L’impegno degli Stati Uniti in Africa, sebbene spesso indiretto, è volto a limitare anche le influenze di altri attori internazionali come Cina e Iran.
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