L’articolo che segue si basa su uno studio condotto da Chiara Arrighini, dottoranda di ALTIS, l’Alta scuola di ricerca e formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha analizzato, a due anni dalla pubblicazione della Prassi di Riferimento 125:2022 (UNI/Pdr 125), i risultati raggiunti dalle aziende certificate per la parità di genere nelle diverse aree prevista dalla norma su dati forniti da Bureau Veritas. L’indagine di Arrighini è stata approfondita nel corso della stesura della mia tesi di laurea, che esplora l’evoluzione delle certificazioni di sostenibilità sociale, con particolare attenzione alla parità di genere. I risultati dello studio dell’Università Cattolica permettono di riflettere su alcune difficoltà che le aziende italiane incontrano nel mettere in atto le misure volte a favorire la parità di genere raccomandate dalla Prassi di Riferimento. Sono proposti di seguito.
Una premessa: come si valuta la parità di genere
Per procedere ad analizzare questi risultati dobbiamo prima ricordare brevemente su che base vengono valutate le azioni messe in atto dalle aziende, ovvero gli indicatori previsti dalla UNI/PdR 125. I KPIs (Key Performance Indicators, cioè “indicatori chiave di prestazione”) previsti dalla Prassi di Riferimento sono divisi in 6 aree e il numero di indicatori che si applicano a ciascuna azienda è proporzionale alla grandezza della stessa in termini di numero di dipendenti.
Le 6 aree individuate da UNI/PdR 125 e il relativo peso per valutare la maturità delle organizzazioni in materia di parità di genere sono:
Ogni area comprende indicatori sia quantitativi che qualitativi. Per ottenere la certificazione, è necessario raggiungere un punteggio minimo complessivo del 60%. Per approfondire si rimanda al sito di UNI. |
Ai fini della certificazione, le imprese possono essere divise in quattro categorie: micro (da 1 a 9 dipendenti), piccole (da 10 a 49 dipendenti), medie (da 50 a 249 dipendenti) e grandi (250 o più dipendenti). Questi indicatori si possono dividere in qualitativi, misurati in termini di presenza o assenza di una determinata condizione o procedura, e quantitativi, misurati invece in relazione a valori interni dell’azienda o al valore nazionale di riferimento corrispondente al codice ATECO di appartenenza.
Infine, ogni area della norma ha un proprio peso specifico, rendendo la certificazione sulla base della UNI/PdR 125 un processo piuttosto strutturato.
Spunti sulle difficoltà di applicazione della PdR 125, per area
Ora che si è ricordato su che base vengono valutate le aziende che si vogliono certificare PdR 125 possiamo entrare nel merito delle aree della norma e approfondire quali risultano più complesse da implementare o da raggiungere per le aziende. Per effettuare questa analisi nel citato studio di Arrighini è stato utilizzato un campione di 85 aziende di cui sono stati analizzati in modo anonimo ed aggregato le checklist e gli audit report compilati durante il processo di certificazione. Questo campione comprende 8 microimprese, 23 piccole imprese, 21 medie e 33 grandi. È importate sottolineare che queste aziende sono state tra le prime ad approcciare la certificazione per la parità di genere: sono quindi da considerare particolarmente attente al tema e, di conseguenza, i risultati emersi potrebbero essere superiori alla media.
Cultura e strategia
La prima area presente nella UNI/PdR 125 è quella indicata con la dicitura “Cultura e strategia”, che prevede per le medie e grandi aziende il raggiungimento di sette indicatori, tutti di natura qualitativa. Questi mirano a verificare l’attuazione a livello organizzativo di un piano strategico, le procedure interne, le attività di sensibilizzazione interna, la formazione e l’analisi delle percezioni dei dipendenti. Quest’area contiene il maggior numero di indicatori raggiunti da quasi tutte le imprese campionate, sia micro e piccole che medie e grandi.
Governance
La seconda area della norma valuta la maturità del modello di governance adottato dall’organizzazione e verifica ci sia la presenza del genere di minoranza negli organi di controllo e la messa in atto di processi volti a identificare eventuali episodi di discriminazione. Quest’area è composta da quattro indicatori qualitativi e un indicatore quantitativo, ed ha un peso del 15% per la certificazione. Per raggiungere questi indicatori, e più in generale per attuare un sistema per la gestione della parità di genere, è necessario uno sforzo di coordinamento tra molte funzioni aziendali. Da questi indicatori emerge una leggera differenza tra le grandi aziende, magari multinazionali, che da ormai molti anni sono sensibili a temi come la parità di genere e la diversità e l’inclusione, e le piccole e medie imprese italiane che invece sono attive su in questi ambiti da tempi più brevi e talvolta hanno una cultura aziendale meno attenta sul tema.
Processi di gestione delle risorse umane
La terza area è dedicata ai processi HR, comprende sei indicatori qualitativi ed ha un peso del 10%. Il fine degli indicatori di quest’area è monitorare che tutte le fasi del ciclo di gestione delle risorse umane siano basate sui principi dell’inclusione e del rispetto delle diversità. L’applicazione di tali principi si verifica, per esempio, considerando l’effettivo accesso paritario ai percorsi di crescita e formazione all’interno dell’azienda. Inoltre viene considerata la presenza di meccanismi di protezione del posto di lavoro in seguito alla maternità o ancora la presenza di persone di riferimento o procedure specifiche per gestire eventuali episodi di molestie e mobbing. Anche in quest’area si nota che le grandi aziende raggiungono risultati leggermente migliori, poiché spesso dotati di una funzione HR ampiamente strutturata e in grado di analizzare tutti i dati richiesti dalla norma.
Opportunità di crescita e inclusione delle donne
La quarta area riguarda le opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda, e monitora l’effettiva possibilità di accesso ai percorsi di crescita e di carriera per le donne, include sette indicatori quantitativi ed ha un peso del 20%, quindi maggiore delle precedenti. Il fatto che questi indicatori siano quantitativi – e quindi da comparare ad un valore di riferimento – secondo Arrighini li rende più difficili da raggiungere. Inoltre la richiesta della PdR di superare del 10% i valori nazionali di riferimento per considerare l’indicatore soddisfatto fa in modo che soltanto aziende veramente notevoli ottengano questo punteggio e non quelle che si collocano sui valori medi di riferimento. La conseguenza è che gli indicatori di quest’area sono raggiunti complessivamente solo dal 49,85% delle imprese campionate, meno della metà delle società incluse nel campione, mentre le aree precedenti erano raggiunte da una percentuale compresa tra l’85 e il 90% delle aziende. Gli indicatori di quest’area misurano il numero di donne sul totale dell’organico, oppure il numero di donne a capo di unità organizzative. Una delle ragioni per cui questi indicatori risultano più difficili da raggiungere consiste nel fatto che molte delle aziende che si certificano appartengono alle categorie di micro, piccole e medie imprese o sono imprese, tipicamente edili, che si avvicinano alla certificazione per avere dei punteggi premiali nei bandi di gara, come previsto dal codice degli appalti. (vedi articolo 2). Quest’area colleziona le percentuali di raggiungimento più basse: i dati ci mostrano quanto sia forte in Italia la necessità di una norma come la PdR 125, che porta le aziende a monitorarsi internamente e a sensibilizzare i propri dipendenti sul tema.
Equità remunerativa per genere
L’area successiva, la quinta, riguarda l’equità remunerativa per genere e monitora le differenze retributive tra uomo e donna, considerando anche le componenti variabili o non monetarie dello stipendio, come bonus e sistemi di welfare. Quest’area comprende tre indicatori quantitativi il cui peso è del 20%. In questo caso il 70% delle grandi e medie imprese campionate soddisfano l’indicatore che richiede che la differenza retributiva a parità di livello ed esperienza sia inferiore al 10%, mentre solo il 56% delle piccole imprese soddisfa questo indicatore. I risultati raggiunti dalle aziende ci mostrano quanto sia ancora diffuso in Italia il male bread winning model che è un paradigma di famiglia basata su una divisione dei ruoli in cui la figura maschile guadagna il denaro per sostenere gli altri componenti.
Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro
L’ultima area prevista dalla UNI/PdR 125 è quella della tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Quest’area misura il grado di maturità delle organizzazioni in relazione alla presenza di politiche a sostegno della genitorialità e l’adozione di procedure che facilitino la presenza in azienda di donne con figli in età prescolare. Monitora l’esistenza della possibilità di ricevere coaching al rientro dalla maternità o, più in generale, servizi che permettano un migliore equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa per i genitori. In quest’area troviamo tre indicatori qualitativi e due quantitativi, mentre il peso complessivo è del 20%. Un dato particolarmente significativo che emerge dall’analisi di questa sezione è quello del numero di padri che hanno usufruito del congedo di paternità: questo indicatore è stato raggiunto solo dal 63% delle grandi imprese e dal 52% delle medie e ci segnala chiaramente la necessità di agire sul tema della genitorialità anche dalla prospettiva della paternità.
Alcune riflessioni
Con questi dati alla mano, possiamo affermare che l’approcciarsi alla certificazione della parità di genere ha certamente portato le aziende a sistematizzare, formalizzare e strutturare il proprio impegno per avvicinarsi alla parità di genere.
Questo è dimostrato dall’alto numero di aziende che ha raggiunto gli indicatori delle prime tre aree della norma: i dati raggiunti in queste aree dimostrano che le strutture organizzative per soddisfare le richieste della PdR 125 e per attuare una parità di genere nelle organizzazioni sono pronte. I risultati più bassi raggiunti nelle ultime tre aree della norma mostrano però che c’è ancora della strada da fare in direzione della parità di genere.
In conclusione da questo studio emerge che, nonostante questa prassi di riferimento sia stata pubblicata da soli due anni (e proprio nel mezzo della ripresa post-Covid) è riuscita nell’intento di portare le aziende a monitorarsi, analizzare i propri processi interni e identificare le aree di miglioramento. Tutto ciò fa sperare che in qualche tempo vedremo miglioramenti anche nelle ultime aree della norma, con maggiori risultati concreti in termini di parità di genere all’interno delle nostre aziende.
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