E dunque, a sorpresa, la legge di bilancio 2025 non ha rinnovato il fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. L’enorme cantiere educativo messo in campo negli ultimi otto danni in tutto il Paese, con più di 800 progetti finanziati e mezzo milione di minori coinvolti, rischia così di fermarsi: di certo però non si ferma perché la povertà educativa minorile è scomparsa e nemmeno perché lo Stato, facendo tesoro degli apprendimenti di questi anni, ha messo in campo delle policy strutturali per affrontarla.
A essere precisi il “perché” dello stop a questa grande e soprattutto efficace esperienza nemmeno lo si sa, visto che – dice Marco Rossi-Doria, presidente dell’impresa sociale Con i Bambini, il soggetto attuatore del fondo – «ancora a dicembre» il Comitato di indirizzo strategico del fondo era «concorde sulla prosecuzione del fondo», che nelle settimane di discussione della Legge di Bilancio sono «continuamente arrivate rassicurazioni, anche dal Mef» e che finora nessuno dal Governo o dai ministeri ha alzato il telefono per dare una spiegazione.
Che il fondo “scadesse” con il 2024 lo sapevano tutti, tant’è che in Commissione Bilancio erano stati presentati diversi emendamenti in proposito. C’era la disponibilità di Acri a proseguire, c’erano gli appelli del Forum del Terzo settore, c’era il fatto che il Governo siede nella “cabina di regia” del fondo e pure quello che Daria Perrotta, da agosto alla guida della Ragioneria di Stato, è stata presidente del comitato di indirizzo strategico di quel Fondo Repubblica Digitale che del fondo contro la povertà educativa ha copiato il modello. Eppure il tema non è mai entrato davvero nella discussione della Legge di Bilancio, per quanti lai oggi si levino.
Come funziona il fondo
Ad alimentare il fondo per il contrasto della povertà educativa minorile – nato sotto il governo Renzi con la Legge di Bilancio 2016 – sono le fondazioni di origine bancaria attraverso un meccanismo sperimentale, inedito e innovativo, per cui il Governo riconosce loro un credito di imposta: in questi anni il fondo ha raccolto 800 milioni di euro, di cui 466 già impegnati sui progetti già realizzati o già approvati. Al momento quindi non c’è più una copertura finanziaria che permetta di proseguire con questo meccanismo e di garantire così azioni molteplici e multiformi per contrastare la dispersione scolastica, le disparità nelle opportunità educative, per garantire l’accesso allo sport, alla cultura, al benessere psicologico, il sostegno della genitorialità, la costruzione e il la manutenzione delle comunità educanti e pure la definizione di modelli innovativi per affrontare temi specifici e spinosi come la presa in carico degli orfani di femminicidio.
Cosa succede ora
In discussione non è la prosecuzione dei progetti già avviati, né di quelli in rampa di lancio: il problema è di scelte strategiche e di prospettiva. Rossi-Doria la spiega così: «Gli aspetti tecnici sono sicuramente un tema e li approfondiremo, perché spero ancora che si possa trovare una soluzione. Ma prima di ogni ragionamento dobbiamo mettere questo: siamo un paese ricco, in squilibrio demografico gravissimo, con quasi 1 milione e 400 mila minori che vivono in povertà assoluta e altri 2,2 milioni in povertà relativa. Significa che un quarto del nostro futuro è ipotecato, “parte male”, in un tempo della storia in cui la conoscenza e le capacity sono fondamentali per la tenuta dell’economia. Questo dovrebbe interessare trasversalmente tutta la politica e tutto il Paese».
L’intervista a Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini
In legge di bilancio il fondo non è stato rifinanziato, benché Acri avesse dato disponibilità per continuare. In passato il fondo è sempre stato rinnovato, anche da governi differenti. È stata una sorpresa o c’erano dei segnali?
Ho fatto il sottosegretario e so che ci sono dei vincoli europei che costituiscono la cornice dei giochi, vincoli che quest’anno sono tornati stringenti rispetto al post Covid: questo rende molto difficile la costruzione della Legge di Bilancio, ci sono tecnicalità specifiche, bisogna stare attenti a molti dettagli e capita che alcune cose possano saltare. Ma pur nella prudenza, posso dire che per me il mancato rinnovo del fondo è stata una sorpresa. Sicuramente lo è stato anche per Acri e il Forum Terzo Settore. Ma forse lo è stato anche per alcune parti del Governo, visto che il ministero dell’Economia ha dato sempre segnali positivi. Insomma, eravamo tutti relativamente tranquilli.
In questi giorni sono arrivate spiegazioni da parte del Governo per questa scelta?
Non c’è stata ancora l’occasione, verificheremo nei prossimi giorni le ragioni di quel che è accaduto.
C’è margine per intervenire in altri modi oppure, chiusa la legge di bilancio, è
chiusa anche questa partita?
Questo fa parte degli aspetti tecnici da approfondire, per esempio per verificare se nelle norme applicative della Legge di Bilancio, che quest’anno sono oltre 100, quasi il doppio rispetto al solito, c’è margine per recuperare. Credo che si debba esplorare questo margine.
Quindi non è stata fatta una valutazione esplicita rispetto al raggiungimento o meno degli obiettivi del fondo?
Il Comitato di indirizzo strategico del fondo – dove ci sono il Governo, Acri e Forum del Terzo settore – ancora a dicembre era concorde sulla prosecuzione dell’esperienza e c’è sempre stata grandissima attenzione da parte del viceministro Bellucci. Credo quindi che ci sia margine per dare continuità al fondo, in una forma che dovrà essere individuata. Il dato politico che mi preme evidenziare però è un altro: è giusto ragionare sulle tecnicalità, ma prima di queste c’è un problema di fondo che non può essere messo dietro alle ragioni tecniche ma che deve stare sempre davanti ad esse.
Il Comitato di indirizzo strategico del fondo ancora a dicembre era concorde sulla prosecuzione dell’esperienza. C’è sempre stata grandissima attenzione da parte del viceministro Bellucci. Credo quindi che ci sia margine per dare continuità al fondo, in una forma che dovrà essere individuata
Marco Rossi-Doria, presidente dell’impresa sociale Con i Bambini
Quale?
Il fatto che siamo un paese ricco, in squilibrio demografico gravissimo, con quasi 1 milione e 400mila minori che vivono in povertà assoluta e altri 2,2 milioni in povertà relativa. Significa che un quarto dei nostri concittadini più giovani, anche piccolissimi, “parte male”, già candidato ad essere escluso dai diritti, con un futuro ipotecato, in un tempo della storia in cui la conoscenza e le capacity sono fondamentali per la tenuta dell’economia. Questo è un problema che dovrebbe interessare trasversalmente tutta la politica e tutto il Paese, sia in punta di diritto sia per la sostenibilità sociale ed economica. È un problema che merita di essere affrontato con una politica strutturale. È questo il tema, lo ripeto fino a tediare me stesso. Da qui ne deriva un secondo, che viene anch’esso prima della tecnicalità. Se la povertà che colpisce le famiglie e i minori in Italia cresce con questa magnitudo, occorre mettere in campo interventi permanenti e strutturali: allora bisogna decidere – lo diceva nei giorni scorsi in un’intervista anche don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana – se immaginiamo davvero di poter affrontare questo problema con risorse derivanti interamente dallo Stato (cosa che a me pare improbabile) o se invece serve una alleanza strutturale tra Stato e società, dove si mettono in gioco le pubbliche amministrazioni, le fondazioni, le imprese, le organizzazioni di Terzo settore. Se la risposta è la seconda – e il mondo va in questa direzione – allora il fondo per il contrasto della povertà educativa minorile è stato davvero un buon esempio di alleanza strategica tra pubblico e privato: è un’esperienza che ci dà speranza di poter affrontare in termini nazionali, politici e operativi, un problema di dimensioni così rilevanti come la povertà educativa minorile, a condizione che rimaniamo nel solco dell’articolo 118 della Costituzione. Questa è la cosa positiva che noi avviamo verificato. Gli interventi a pioggia di alcuni ministeri, invece, anche in questi anni, anche con risorse del Pnrr, sono stati oggettivamente meno impattanti. Questa è la questione cruciale, perché fondo o non fondo questo problema l’abbiamo.
Se la povertà che colpisce le famiglie e i minori in Italia cresce con questa magnitudo, occorre mettere in campo interventi permanenti e strutturali: bisogna decidere se immaginiamo davvero di poter affrontare questo problema con risorse derivanti interamente dallo Stato (cosa che a me pare improbabile) o se invece serve una alleanza strutturale tra Stato e società
A chi si riferisce quando dice che gli interventi a pioggia di alcuni ministeri hanno avuto poco impatto?
Il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fatto significativi passi avanti in direzione della sussidiarietà, per esempio. Il ministero dell’Istruzione no.
Il fondo ha una disponibilità complessiva di 800 milioni di euro, di cui per i progetti finora approvati sono stati utilizzati 466 milioni. Che succede ora? I progetti sono di media-lunga durata, immagino che andranno avanti. Ci saranno nuovi bandi?
Io per “domani” non sono preoccupato. Il fondo ha un margine importante, per cui tutti i progetti avviati chiaramente sono finanziati fino al termine. C’è in avvio anche la sperimentazione importante delle 15 aree strategiche di cui dicevamo prima, che ha già tutte le coperture necessarie. Più o meno siamo intorno ai 550 milioni di euro impegnati, abbiamo ancora risorse per lavorare. Quanto a nuovi bandi, è una scelta che riguarda il comitato di indirizzo strategico. Il problema è il “dopodomani”, in un Paese che si deve dotare di una politica strutturale per il contrasto della povertà educativa minorile. Torno ancora lì: quando un Paese fa una grande sperimentazione e poi vuole mettere a sistema quello che ha appreso, deve trovare anche la veste giuridica per garantire all’azione una cornice efficace ed efficiente, tale per cui le risorse che investi possono avere un impatto maggiore in tempi più brevi. La nostra grande leva è l’articolo 118 della Costituzione: questo è il tema.
Quando un Paese fa una grande sperimentazione e poi vuole mettere a sistema ciò che ha appreso, deve trovare anche la veste giuridica per garantire all’azione una cornice efficace ed efficiente, tale per cui le risorse investite possono avere un impatto maggiore in tempi più brevi. La nostra grande leva è l’articolo 118 della Costituzione: questo è il tema
Il fondo è sperimentale ed è nato con l’esplicita missione di individuare “cosa funziona e cosa no”, nel contrasto della povertà educativa minorile: per questo ha puntato molto sulla valutazione d’impatto. L’obiettivo era quello di consegnare ai decisori politici una “mappa” che permettesse poi di definire delle policy strutturali. Non sembra però di poter dire che l’esperienza del fondo sperimentale chiude perché si stanno avviando policy strutturali…
In realtà quello che vediamo è una situazione di chiari e scuri: io sono contrario a veder le cose in maniera semplificata e banalizzante. Torno a fare l’esempio del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che con il bando DesTeenazione ha stanziato ingenti risorse per gli adolescenti e le periferie e nel farlo ha tenuto conto di moltissimi aspetti emersi nell’esperienza del fondo. Inoltre l’ha fatto di concerto con il fondo, per cui non ci saranno duplicazioni di interventi, coinvolgendo i Comuni e i ragazzi. Questo stesso metodo lo ha portato nella costruzione, insieme al fondo, di “Organizziamo la speranza”, un’iniziativa da 50 milioni di euro per realizzare un cambiamento reale in 15 aree socio-educative strategiche caratterizzate da vulnerabilità ed esclusione sociale. Anche questo esempio dice come sia possibile muoversi nella direzione giusta. In altri casi invece – penso appunto come detto al ministero dell’Istruzione – si è continuato a non utilizzare questo paradigma costituzionalmente fondato, dando sì delle risorse ai presidi ma lasciandoli soli, nel marasma delle difficoltà burocratiche e nella fatica di costruire reti con i loro potenziali alleati. Ecco, questi sono due modelli abbastanza significativi che dicono come sia necessario uscire da giudizi generiche: ci sono cose che funzionano e altre no.
E se la guardiamo dal lato Con i Bambini? Il fondo è riuscito realmente a realizzare questo pezzo della propria mission, al di là del finanziamento dei progetti e del loro accompagnamento? Di restituzione delle valutazioni d’impatto di fatto si è iniziato a parlare da pochissimo e con poche, per ora, evidenze rese pubbliche…
La valutazione d’impatto ha i suoi tempi, perché va a vedere le trasformazioni dei luoghi, delle comunità e delle vite delle persone dopo almeno un anno e mezzo dalla fine del progetto. Noi abbiamo pubblicato il primo bando nel 2016, i progetti selezionati con il Covid di mezzo si sono chiusi nel 2021/22, poi c’è stato da far passare quell’anno e mezzo dalla fine dei progetti… Le prime valutazioni d’impatto sono arrivate da poco, nei tempi previsti e programmati. Con i Bambini le ha rese pubbliche e d’ora in avanti faremo una disclosure costante nel tempo, abbiamo fatto un enorme lavoro per organizzare questa restituzione perché si tratta di migliaia di progetti. Tutto questo entrerà nella discussione pubblica, come è giusto che sia.
Quali sono le evidenze emerse con chiarezza?
Dalle valutazioni d’impatto emergono molti apprendimenti specifici e stiamo costruendo un repertorio di pratiche che siamo già portando nella sperimentazione delle 15 aree socio-educative strategiche che stanno partendo. A livello trasversale, senza dubbio tre concetti. Primo, le cose funzionano meglio quando pubblico e privato vanno insieme, apprendendo uno dall’altro. Se fai un progetto per il contrasto della dispersione scolastica senza la scuola o senza il Terzo settore, non funziona. La prima evidenza è questa. La seconda è che il principio giuda deve essere la prossimità con le persone: bisogna avere la cultura dell’ascolto. Il 7 aprile ci sarà la prima giornata dell’ascolto, sembra una cosa piccola ma invece è di grandissima importanza: solo nell’ascolto e nella prossimità capsici il bisogno vivo e vero delle persone, ma anche le disponibilità che le persone in difficoltà possono mettere in campo. È questo che fa la differenza, che genera cambiamento: altrimenti le persone rimangono persone deboli. Se invece le fai diventare cittadini, è un’altra cosa. Terzo, ci vuole una manutenzione ordinaria della comunità educante, che non è trovarsi a tavolino ogni due mesi, con un verbalino. È un incontro costante tra realtà diverse, con culture, linguaggi, modi di pensare e di agire diversi. Occorre prendersi cura delle persone che si occupano della cura. Noi abbiamo allestito delle comunità di pratiche ed è stato importantissimo, queste persone si sono viste tante volte e hanno potuto riconoscere i meriti reciproci.
VITA insieme a Con i Bambini ha realizzato un volume e un podcast per raccontare l’esperienza delle comunità di pratiche. Scarica qui il focus book curato da Mattia Schieppati e ascolta qui il podcast di Diletta Grella. In apertura, foto di Cottonbro Studio, su Pexels.
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