Alcune esperienze lasciano un segno indelebile. E questo è esattamente ciò che ho vissuto durante il workshop C.A.R.E., organizzato da Ierfop Onlus a Cagliari. Vedere giovani ipovedenti e non vedenti cimentarsi nella creazione di opere in ceramica ha scosso le mie emozioni e mi ha fatto riflettere sul significato della vera inclusione.
Mentre osservavo e scattavo fotografie, ho sentito emozioni contrastanti: tristezza e speranza, sconforto e meraviglia. Vedere questi studenti impegnarsi e superare difficoltà non semplici da gestire, mi ha profondamente colpito, ed è da questo punto che voglio partire nel raccontare l’essenza del progetto C.A.R.E., con le testimonianze di chi l’ha vissuto in prima persona.
Per comprendere appieno la portata del progetto C.A.R.E., è fondamentale ascoltare le parole di chi ha ideato e guidato l’iniziativa. Roberto Pili, Presidente della Comunità Mondiale della Longevità e Presidente di IERFOP ONLUS., ci ha offerto una visione illuminante dell’intera iniziativa.
“Il progetto C.A.R.E. nasce dalla necessità di dare voce e spazio ai giovani con disabilità, offrendo loro strumenti creativi per esprimersi,” ha spiegato Pili durante la nostra intervista. “L’arte è un veicolo potente per l’inclusione sociale e lo sviluppo personale, soprattutto per chi, come i partecipanti del nostro progetto, vive con disabilità visive. Lavorare la ceramica, un materiale tangibile e modellabile, ha permesso a questi ragazzi di sperimentare una forma d’arte che parla attraverso il tatto, superando così la barriera della vista.”
Il Presidente Pili ha sottolineato l’importanza di progetti come C.A.R.E. nell’evoluzione delle pratiche educative e inclusive. “Non stiamo parlando solo di insegnare una tecnica artistica,” ha detto, “ma di offrire uno spazio sicuro dove ognuno possa sentirsi accolto e libero di esprimere sé stesso. Per noi, la disabilità non è un limite, ma una diversa prospettiva da cui guardare il mondo.”
L’inizio di un viaggio creativo
Appena entrati nel laboratorio, l’atmosfera vibrava di entusiasmo. Giovani di ogni età e di diverse provenienze geografiche (Polonia, Grecia,Cipro, Irlanda…) esploravano i tavoli, dove erano disposti argilla e strumenti per la modellazione. Gli artigiani presenti, tra cui Giovanni Pulli, avevano predisposto ogni cosa con grande attenzione. Le postazioni erano organizzate per permettere agli studenti di sperimentare direttamente con l’argilla, percependo la sua consistenza e imparando i movimenti necessari per modellarla.
“Il nostro obiettivo non era solo insegnare l’arte della ceramica,” ha aggiunto Pili, “ma promuovere l’inclusione sociale attraverso lo sviluppo di competenze psicomotorie. L’argilla diventa, così, un linguaggio universale che non ha bisogno della vista per essere compreso e apprezzato.”
Una testimonianza da lontano: l’esperienza di una giovane partecipante al workshop.
Una delle storie più toccanti che ho avuto modo di ascoltare durante il workshop è stata quella di una giovane ragazza proveniente dalla Polonia, affetta da una grave disabilità visiva. La sua testimonianza mi ha offerto uno spaccato commovente di cosa significhi scoprire un’arte attraverso il tatto e il suono.
“Quando ero bambina,” mi ha raccontato in un inglese impeccabile, “mia madre mi regalò una scatola di plastilina, con cui passavo ore a creare figure e animali. Nonostante non potessi vedere perfettamente i colori, mia madre mi spiegava tutto con amore: ‘Questo è rosso, questo è blu’, mi diceva, mentre io sentivo la plastilina tra le mani. Attraverso il tatto, riuscivo a conoscere il mondo.”
“Questo workshop mi ha riportato a quei momenti,” ha continuato. “L’argilla tra le mani mi ha ricordato quanto l’arte sia stata la mia piu’ importante esperienza multisensoriale, qualcosa che va oltre la vista. Quando ho iniziato a lavorare la ceramica oggi in aula, ho sentito la stessa libertà che provavo da bambina. È stato come tornare indietro nel tempo, ma con la consapevolezza, ora e grazie a mia mamma, di essere in grado di creare qualcosa di mio, senza dipendere da nessuno.”
La forza del gruppo
Una delle dinamiche più belle osservate durante il workshop è stata la collaborazione tra i partecipanti. Molti di loro, pur avendo disabilità visive diverse e significative, erano desiderosi di aiutarsi a vicenda. Una delle ragazze irlandesi, ad esempio, ha trovato grande supporto in una sua compagna di corso, che nonostante le sue difficoltà visive, riusciva a percepire le forme e le proporzioni con grande precisione.
“Mi sono sentita davvero accolta,” ha spiegato. “C’era un senso di comunità che non avevo mai provato prima. Nonostante le nostre difficoltà, ci siamo aiutati a vicenda, scambiando consigli e cercando di superare insieme le sfide. In un certo senso, eravamo una famiglia, uniti dall’argilla e dal desiderio di creare.”
Questa sinergia tra i partecipanti ha permesso a ognuno di loro di sviluppare non solo nuove competenze artistiche, ma anche una maggiore fiducia in sé stessi. Il workshop ha senza dubbio creato un ambiente in cui non c’erano giudizi, ma solo supporto reciproco e crescita personale.
Il potere dell’argilla
L’argilla è diventata un mezzo attraverso cui esprimere emozioni profonde. Come ha osservato uno dei ceramisti che avevano il compito di aiutare i ragazzi, “La ceramica offre una possibilità unica di esprimersi attraverso il tatto. Per chi non vede, toccare, modellare e sentire la trasformazione di un materiale tra le proprie mani è un’esperienza estremamente potente. Che poi e’ quello che anche io faccio spesso nei miei momenti creativi, mi isolo, chiudo la porta del laboratorio, chiudo gli occhi e provo a creare qualcosa.”
Una delle ragazze greche mi ha confessato che l’argilla le ha dato da giovanissima un nuovo senso di libertà: “All’inizio ero terrorizzata. Non sapevo cosa aspettarmi e avevo paura di non riuscire a fare nulla di buono. Ma poi, quando ho cominciato a sentire l’argilla tra le mani, qualcosa è cambiato. Ho capito che potevo creare qualcosa di bello, qualcosa che era solo mio. È stata una sensazione di libertà che non provavo da anni.”
Un percorso multisensoriale
E’ implicito che l’aspetto più affascinante di questo workshop è stato il modo in cui i partecipanti hanno sperimentato l’arte attraverso i sensi. Il tatto, in particolare, è diventato il senso principale attraverso cui gli studenti hanno potuto percepire e creare. Nello stesso momento hanno lasciato spettatori ignari come me stupefatti.
Un altro partecipante, stavolta italiano, ha parlato anche del ruolo del suono nel suo processo creativo: “Il suono dell’argilla che veniva manipolata quando era un adolescente mi ha aiutato a capire cosa stavo facendo. Ogni volta che modellavo una forma, ascoltavo attentamente come cambiava il rumore intorno a me. L’argilla ha un suono speciale, che varia a seconda di come la tocchi e di quanta acqua usi. Era come se stessi creando una musica silenziosa con le mani.”
La guida degli artigiani
Gli artigiani che hanno guidato il workshop hanno svolto un ruolo fondamentale. Non si sono limitati a insegnare tecniche, ma hanno lavorato fianco a fianco con i partecipanti, offrendo sostegno e incoraggiamento costanti.
“Il nostro compito non è solo insegnare l’arte della ceramica,” ha detto Giovanni Pulli, uno degli artigiani presenti. “Si tratta di creare un legame con i ragazzi, di capire le loro necessità e aiutarli a esprimersi. L’argilla è solo il mezzo; l’obiettivo è far emergere la loro creatività e dare loro la possibilità di raccontare una storia attraverso il tatto.”
Attesa e speranza
Alla fine del workshop, l’attesa per la cottura delle opere era palpabile. Ogni partecipante era ansioso di vedere (o sentire) il risultato del proprio lavoro. Per molti di loro, la cottura rappresenta il culmine di un processo creativo che li aveva visti protagonisti.
Una giovanissima ragazza, sempre dalla Polonia, mi ha espresso il suo entusiasmo mentre scattavo sulle sue mani decorate in ogni unghia con la bandiera italiana: “Non vedo l’ora di toccare la mia piastrella finita. So che non sarà perfetta, ma per me rappresenta qualcosa di molto importante. È la prova che posso ancora creare, nonostante le mie difficoltà.”
La riflessione di Roberto Pili sull’inclusività
Nel chiudere la nostra conversazione, il Presidente Roberto Pili ha riflettuto sull’importanza dell’inclusività nell’arte: “Il nostro obiettivo di creare uno spazio in cui ognuno possa esprimersi liberamente credo sia riuscito. Il lavoro non e’ finito, ogni anno serve ideare nuove idee e non abbandonare i progetti precedenti. L’inclusività, come ho detto molte volte, non è una questione di adattamento tecnico, ma di mentalità. Dobbiamo abbattere i pregiudizi e creare opportunità per tutti, indipendentemente dalle loro capacità fisiche. E’ una battaglia che va combattuta ogni giorno, perche’ fuori da queste mura, da questi workshop, c’e’ tanta gente che ha occhi perfetti, ma non vede quelli che hanno invece difficolta’ in questo settore.”
“Il progetto C.A.R.E. è solo l’inizio,” ha concluso Pili. “Vogliamo continuare a promuovere iniziative che mettano al centro la persona, permettendo a tutti di scoprire e coltivare il proprio potenziale creativo.”
Un futuro di possibilità
Il workshop C.A.R.E. ha lasciato un segno profondo nei cuori e nelle menti di chi ha partecipato. Dei ragazzi, ma anche dei ceramisti che hanno aiutato i ragazzi e pure di quelli come me, che erano li per testimoniare fotograficamente l’evento e che non ha potuto rimanere insensibile.
Mi ha ancora una volta dimostrato che l’arte è accessibile a tutti, a patto che ci sia la volontà di renderla tale. Grazie a progetti come questo, il futuro appare più luminoso, un futuro in cui nessuno sarà escluso dall’esperienza creativa, e l’argilla, nelle mani di chiunque, puo’ raccontare storie anche senza bisogno di parole. Per certi versi quello che faccio anche io con la fotografia.
Altri servizi su questa iniziativa, che ITALIA News Media ha coperto precedentemente, sono rintracciabili in questo punto preciso.
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